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HAITI AD UN ANNO DAL TERREMOTO: ANCORA LONTANA LA RICOSTRUZIONE

HAITI – Oggi per Haiti è il giorno del ricordo. Ad un anno dal devastante terremoto che il 12 gennaio 2010 causò 250 mila morti e immani distruzioni, il cardinale Robert Sarah celebra una solenne liturgia, nella capitale Port-au- Prince sulla spianata antistante la Cattedrale distrutta dal sisma. Il presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum leggerà un Messaggio del Papa. Ieri il porporato aveva presieduto una Messa nel campo sfollati di Parc Acra. Ad Haiti sono oltre un milione le persone, di cui la metà bambini, che continuano a vivere nelle tende, mentre un’epidemia di colera ha provocato più di 3.600 morti da ottobre. Helene Destombes ha intervistato l’ambasciatore haitiano presso la Santa Sede, Carl-Henri Guiteau:

R. – C’est difficile de faire un bilan…
E’ difficile riuscire a fare un bilancio un anno dopo una catastrofe di tali proporzioni. E’ necessario anzitutto sottolineare la resistenza straordinaria del popolo haitiano, che malgrado sia ancora in mezzo alle macerie e nelle tende dà un senso alla vita. Questo è un popolo che ha sofferto molto nella sua storia ma che ha imparato a sorridere, a vivere. Tuttavia c’è un limite a questa capacità di adattamento. Bisogna anche sottolineare che l’aiuto umanitario è stato essenziale ed è arrivato da tutti i Paesi del mondo, permettendo di ridare speranza tante persone. Ora, a livello della ricostruzione – bisogna dirlo francamente – la situazione è penosa: ci sono state molte promesse, ma non abbiamo visto ancora segni reali di ricostruzione. Abbiamo la sensazione che non sia stato fatto molto in tale direzione.

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EDITORIALE DI AVVENIRE: NULLA DEVE INARIDIRE LA SOLIDARIETÀ, NEANCHE LE INGIUSTIZIE

GESTO DA CONTINUARE – Ci si potrebbe chiedere perché. Perché una catastrofe umanita­ria, a detta dell’Onu «più grave dello tsumani», con 21 milioni di sfollati e 10 milioni di senzatetto, un quinto del Pakistan sepolto dal fango, raccolti di­strutti, a un mese di distanza rag­giunga l’Occidente come una debole eco. Perché gli allarmi delle organiz­zazioni di soccorso, che hanno rac­colto sì e no un quarto degli aiuti ne­cessari, non faccia breccia nei nostri notiziari. Eppure anche solo i nume­ri, dal Pakistan, sono terribili: metà degli alluvionati sono bambini e, di questi, quasi tre milioni hanno meno di cinque anni. Molti non hanno più una casa, e neanche tre su dieci han­no acqua potabile da bere. Questo si­gnifica epidemie. Tuttavia, l’attenzio­ne del mondo non si accende.

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