RECENSIONE – Tanti film sul pugilato, nessuno sul wrestling. Il punto è che i due sport non hanno così tanti punti di contatto e che il wrestling vive comunque di una fama quasi circense, di spettacoli preparati a tavolino con mosse concordate, di legnate che se fossero vere ammazzerebbero un toro, di folklore, di abbigliamenti più che pittoreschi. Insomma, di un alone mitico che basta poco a ricondurre sulla Terra. Si ricorderà che anche Rocky Balboa, all’apice della carriera, si prestava a salire sul ring del wrestling per un’esibizione estemporanea. Tanto più inatteso arriva il successo a sorpresa di «The Wrestler» di Darren Aronofsky, premiato a Venezia con il Leone d’Oro e ignorato nella notte degli Oscar, quando forse Mickey Rourke ci aveva fatto un pensierino. A cose fatte, non è facile spiegarsi il motivo di un simile exploit. Da una parte un attore ormai relegato in ruoli da caratterista che improvvisamente ritrova, con la complicità di fortissimi richiami autobiografici, lo smalto del mattatore. Dall’altra un regista che, venendo da film come «? – Il teorema del delirio», «Requiem for a Dream» e, soprattutto, «L’albero della vita», si fatica a ritenere capace di miracoli. La realtà, a nostro parere, è che «The Wrestler» è un film convenzionale reso di livello superiore da due magnifici protagonisti. Randy Robinson, detto «the Ram» (l’Ariete), è un ex-campione di wrestling ridotto dall’età e da vari acciacchi ad esibirsi in combattimenti di basso livello.
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