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ASIA BIBI, NUOVO APPELLO PER RECLAMARE GIUSTIZIA

RELIGIONE NEL MONDO (Pakistan) – A poco più di due anni dal suo arresto avvenuto il 19 giugno del 2009, dopo 755 giorni trascorsi in cella, il “caso” di Asia Bibi continua ad essere focale nell’attenzione del mondo verso la difficile realtà delle minoranze in Pakistan. Indebolita nel fisico e prostrata dalle minacce e dalla condizione di clandestinità in cui la famiglia è costretta a vivere, la donna non ha tuttavia rinunciato a pregare e a lottare. Nei giorni scorsi il suo avvocato ha rivolto un altro appello formale contro la sentenza capitale comminata nel novembre dello scorso anno, pur sapendo che la pressione fondamentalista è al momento elemento decisivo nell’atteggiamento delle autorità e dei giudici nella vicenda. «L’influenza dei radicali religiosi è troppo forte, solo un miracolo può salvarla, secondo l’opinione di un esperto legale citato da AsiaNews.

L’avvocato S.K. Chaudhry ha nuovamente consegnato la richiesta di appello dopo la sostituzione improvvisa di quattro giudici dell’Alta Corte di Lahore, capoluogo del Punjab. Chaudhry aveva presentato a gennaio un primo appello contro le prove consegnate per sostenere la condanna, a suo parere «palesemente false». Nel silenzio ormai pesante delle autorità, con una condanna a morte decretata dai radicali estremisti assai più concreta di quella comminata dai giudici di prima istanza nel novembre scorso, Asia Bibi continua la sua lunga detenzione in segregazione, ancora più stretta dopo che lo scorzo marzo un cristiano condannato all’ergastolo per blasfemia, Qamar David, è deceduto in circostanze sospette nella prigione centrale di Karachi.

«È fragile e può a malapena parlare, ma mantiene una forte fede in Dio e non ha perso la speranza», hanno fatto sapere il marito e una delle figlie che recentemente l’hanno visitata in carcere. Ashiq Masih ricorda come «Bibi chiede ogni volta dell’Alta Corte e ogni volta devo dirle con dispiacere che stiamo ancora aspettando che il tribunale si occupi del caso». «Siamo costretti a pagare la conseguenza delle determinazione nella fede di mia madre. Tuttavia preghiamo per lei e manteniamo la speranza che un giorno saremo di nuovo insieme per vivere normalmente – ha riferito la figlia maggiore ad AsiaNews –. «Ogni volta che sento parlare di persecuzione o di blasfemia sono terrorizzata perché temo che qualcosa possa capitare a mia madre». Un rischio concreto ed elevato che il carcere sembra accrescere anziché ridursi.

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GIOVANI E LAVORO, RAGAZZI DISORIENTATI NEGLI ATENEI E PRECARI UN ANNO DOPO LA MATURITÀ

GIOVANI (Italia) – C’è soprattutto l’università e un po’ di lavoro nei giorni dei giovani che hanno superato da un anno la maturità. Ci sono le lezioni, il caos delle aule e le nuove amicizie. Ma anche gli ordini del capo, le mansioni quotidiane e la paga a fine mese. I primi passi negli atenei e nelle imprese produttive. Eppure un sesto di loro sono fuori da tutto questo. Qualcuno, così presto, sta facendo i conti con il muro altissimo della disoccupazione e altri non hanno non neppure quello. Né un po’ di studio, né un impiego. Né la voglia di cercarlo più. E’ molto complessa e articolata la realtà dei giovani che escono in questi anni dalle superiori. Il consorzio interuniversitario AlmaLaurea ne restituisce un articolato profilo nel Rapporto sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati che verrà presentato all’università di Sassari giovedì 26 maggio. Nell’indagine, realizzata insieme all’organizzazione AlmaDiploma, vengono esplorati con attenzione i percorsi di un campione di giovani, circa 20.000, che si sono diplomati nel 2009 e nel 2007. 

Nella gran mole di dati si registra un leggero calo, rispetto agli anni scorsi, della proporzione di chi sceglie l’università. A un anno dal diploma, sei su dieci si sono iscritti a un ateneo. Ma non tutti seguono, o possono seguire, i corsi alla stessa maniera. Tre quarti di loro sono così studenti a tempo pieno mentre gli altri cercano di tenere insieme studio e lavoro. Poi c’è chi lavora e basta. Chi con lo studio, almeno per ora, ha chiuso. Sono in tutto il 23,6 per cento. E poi, ci sono i ragazzi più in difficoltà. L’undici per cento della generazione uscita dalla maturità nel 2009 cerca un impiego ma non lo trova. Sono loro a fare i prematuri conti con il permanere anche in Italia del mostro della disoccupazione. A loro si aggiunge un altro cinque per cento che ha smesso di studiare e un lavoro neppure lo cerca più.

Le traiettorie dei giovani sono molto diverse a seconda delle superiori che hanno frequentato. Il settanta per cento di quelli che sono stati al liceo, a un anno dal diploma, si impegnano solo negli studi universitari. Un altro 22 per cento è uno studente-lavoratore. Molto diverse le proporzioni negli altri casi. Va all’università il 51,6 per cento dei diplomati degli istituti tecnici e il 21,4 per cento degli istituti professionali. Così come sono diverse le proporzioni di quelli che a un anno dal diploma hanno già un impiego: il 53 per cento dei giovani usciti dagli istituti professionali, il 28 per cento dai tecnici e solo il 4 per cento dei liceali. Allo stesso tempo, i ragazzi degli istituti professionali sono quelli che più di altri stanno soffrendo la disoccupazione o lo “scoraggiamento”: il 25,6 per cento di loro sono in questa condizione. Tanti sono anche i ragazzi dei tecnici senza un impiego o che non lo cercano (il 19,7 per cento). “Il successo formativo del sistema scolastico secondario superiore – dice Andrea Cammelli – non si misura solo dall’esito finale dell’Esame di Stato, ma anche e soprattutto sulla capacità di inserimenti professionali o formativi di alto livello qualificati, dove sia certificato e valorizzato il sapere come il saper fare. Capire quali scelte, al di là delle intenzioni e dei desideri, i diplomati hanno compiuto per davvero, quali strade hanno seguito o abbandonato a uno e tre anni dal conseguimento del titolo, è una sfida importante perché incide sul miglioramento del sistema scolastico, sulle politiche all’istruzione, e sull’orientamento”.

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TORNA DI NUOVO L’ALLARME A FUKUSHIMA: FUSE LE BARRE DI COMBUSTIBILE DEI REATTORI 2 E 3

ESTERI (Tokyo) – La società che gestisce l’impianto di Fukushima, la Tokyo Electricity Power Company (Tepco) ha annunciato che si sono parzialmente fuse le barre di combustibile dei reattori N. 2 e 3. L’accaduto, però, non modifica l’intenzione della Tepco, quella di arrivare a una “chiusura fredda” dell’impianto entro il gennaio del 2012. I tecnici hanno affermato che nel reattore N. 1 si è sciolto il combustibile in seguito al terremoto e allo tsunami dell’11 marzo scorso, mentre il reattore N. 2 ha subito danni tre giorni dopo il sisma. Si sono guastate anche le barre di uranio del reattore N. 3 durante il pomeriggio del 13 marzo. Le conseguenze provocate dal terremoto e dallo tsunami hanno bloccato il sistema di raffreddamento dei reattori che, in base a quanto sostengono i tecnici, si trova in una condizione stabile. E’ stata creata una zona di sicurezza, di circa 20 km, nelle vicinanze della centrale a causa della fusione del combustibile e della fuga radioattiva. 

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UN SANTUARIO FILIPPINO DIVENTERÀ UN PARROCCHIA: UN EVENTO COMMEMORATIVO DEDICATO AL NEO BEATO

ESTERI (MANILA)- Nello stesso luogo in cui Giovanni Paolo II celebrò una Messa il 21 febbraio 1981, pochi giorni fa è stato inaugurato, a Batan a nord di Manila, un santuario Commemorativo per il neo Beato. A gran richiesta il popolo desidera che il santuario, di proprietà del governo filippino, diventi una parrocchia dedicata al neo Beato, un progetto che il Vescovo Ruperto Santos di Balanga sembra propenso ad accettare. Il Vescovo di Balanga ha dichiarato a CBCP News che la struttura dovrebbe essere di proprietà della Diocesi in maniera tale che si possa creare una cappellania e poi una parrocchia nel nome del Beato Giovanni Paolo II.Il Santuario Commemorativo, attualmente, è diretto dalla parrocchia di Nostra Signora del Pilar a Morong Town,situato nell’ex Philippine Refugee Camp Processing Center, ora Bataan Technology Park, Inc. (BTPI). 

Il Santuario Commemorativo si è ispirato, per la costruzione, all’altare papale sul quale è posta un’immagine a dimensioni reali del Pontefice su una barca con una famiglia di “boat people”. Nel santuario sono stati incorporati anche altri elementi della visita papale, come la facciata dell’altare e tavole del palco. L’ex commodoro della Marina Amado Sanglay, direttore esecutivo del santuario, non ha espresso problemi riguardo la richiesta dei Vescovi per accogliere, nel santuario, gruppi di rifugiati indocinesi che cercavano di reinserirsi in modo permanente in altre Nazioni. “Sicuramente il consiglio d’amministrazione del BTPI comprenderà questa condizione… Non vedo alcuna difficoltà”- ha dichiarato Sanglay- il campo è servito da sistemazione temporanea per circa 400.000 rifugiati vietnamiti, laotiani e cambogiani, noti come “boat people”.

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BENEDETTO XVI IN PRIMA UDIENZA DI QUARESIMA:“DIGIUNO È ASTINENZA DAL MALE, ELEMOSINA SCELTA DEL BENE

Nel Mercoledì delle Ceneri, Benedetto XVI sollecita tutti fedeli, raccolti nell’Aula Paolo VI per l’udienza generale, ad entrare nel tempo di Quaresima prendendo ogni giorno la propria croce per seguire Gesù. “La Quaresima è un cammino, è accompagnare Gesù che sale a Gerusalemme, luogo del compimento del suo mistero di passione, morte e resurrezione”. Questo itinerario di fede – ha sottolineato Benedetto XVI – “ci ricorda che la vita cristiana è una ‘via’ da percorrere, consistente non tanto in una legge da osservare, ma nella persona stessa di Cristo, da incontrare, da accogliere, da seguire”. “Gesù infatti ci dice: ‘Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua’”.

“La Chiesa sa che, per la nostra debolezza, è faticoso fare silenzio per mettersi davanti a Dio, e prendere consapevolezza della nostra condizione di creature che dipendono da Lui e di peccatori bisognosi del suo amore; per questo, in Quaresima, invita ad una preghiera più fedele ed intensa e ad una prolungata meditazione sulla Parola di Dio”. Ed è soprattutto la Liturgia, ha ricordato il Papa, a condurci in questo cammino con il Signore, per ripercorrere gli eventi che ci hanno portato la salvezza, ma “non come una semplice commemorazione, un ricordo di fatti passati”, perché “nelle azioni liturgiche”, “quegli avvenimenti salvifici diventano attuali”. “Partecipare alla Liturgia significa allora immergere la propria vita nel mistero di Cristo, nella sua permanente presenza, percorrere un cammino in cui entriamo nella sua morte e risurrezione per avere la vita”.

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AIUTO, I GIOVANI SONO «SCOMPARSI»…

ROMA – Non può non colpire il contrasto tra il giovanilismo postsessantottino, modello sociale che tenne il campo a lungo nella pubblicistica e nell’opinione pubblica, e la sparizione odierna della figura giovanile dall’immaginario sociale oppure il suo apparire solo come fonte di preoccupazione o icona ludica della moda, dello spettacolo, dell’intrattenimento: il giovane o è disoccupato, disadattato, drogato o è velina o giù di lì. È evidente che tra i due momenti vi è la simmetria di un comune imbarazzo nei confronti della condizione giovanile e del suo posto nel contesto storico-sociale nazionale: allora si trattava di metabolizzare la grande paura della contestazione “idolatrando” la figura giovanile, oggi si cerca di esorcizzarla incastonandola in categorie sociali marginali o laterali. In un caso e nell’altro, la condizione giovanile è avvertita molto più come problema o divagazione che non come risorsa. Ovviamente, per chi non ha perso del tutto il contatto con la realtà – cioè per chi ha un contatto che non sia completamente filtrato dai sistemi della disinformazione nazionale – le cose non stanno così. Il mondo giovanile presenta una gamma amplissima di situazioni e di tipologie umane e culturali, in cui la negatività è più grave e endemica e in cui la positività costruttiva, la buona volontà, l’ingegnosità, la generosità, la capacità aggregativa sono molto superiori e diffuse, rispetto a quanto rappresentato.

D’altra parte, è anche vero che il ceto giovanile oggi stenta a trovare le sue forme di autorappresentazione e di comunicazione e quando prende iniziativa pubblica collettiva si segnala per lo più con gesti di esasperata reazione o di opposizione inconcludente. Il problema è dunque l’assenza complessiva del giovane dalla scena pubblica, come protagonista, come modello, come interrogativo: è come se non si sapesse che posto dare al ceto giovanile nel contesto della vita e della storia nazionale, ed è anche come se i giovani non sapessero neppure loro che posto riconoscersi di diritto e costruirsi di fatto. Le analisi psico-socio-economiche, a questo punto, possono dire moltissime cose, evidenziando i tanti aspetti del problema e chiarendo cause e condizioni. Ci possono far capire, ad esempio, quali scelte hanno condotto la politica del Paese a garantire le posizioni acquisite nel passato contro le risorse del futuro; oppure quale sia il fondamento della diffusa sensazione giovanile di non essere oggetto di cura e di investimento da parte della Nazione che pur li ha generati, eccetera. Insomma, possono spiegarci ciò che ha condotto in una situazione in cui è diventato oscuro se e quale eredità avranno in sorte le giovani generazioni. Ma per comprendere il punto cui siamo arrivati abbiamo bisogno di mettere in risalto le categorie antropologiche – nascita, generazione, cura, eredità –, di cui abbiamo fatto uso. Perché sono esse la vera posta in gioco; meglio, dicono tutto ciò da cui si è preteso (e si continua a pretendere) di prescindere nel gestire la vita comune e le grandi questioni sociali. In un’implicita continuità con una sindrome ideologica antiautoritaria, antipaterna, antifamiliare, eccetera, si fa della questione giovanile una questione solo di cronologia, piuttosto che di genesi. Come si parlava negli anni ’60 dello scontro tra generazioni, si parla oggi della loro estraneità; ma continuando a non soppesare il termine “generazione”, che prima di indicare quelli che sopravvengono, significa l’azione con cui la vita re-inizia e continua. Con profonda intuizione Hanna Arendt vedeva in ogni autentico agire umano una “nascita” e un “inizio”; come a dire che il nascere/prendere inizio è il senso dell’essere-in-azione dell’uomo e del suo stesso vivere.

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HAITI UN ANNO DOPO, UN ABBRACCIO NUOVO: QUI, PERCHÉ IL FILO NON SI SPEZZI E PERCHÉ QUESTO È PARADISO

HAITI – È passato un anno. Tempo di bilanci sembrerebbe, tempo per guardarsi indietro e dire cosa si è fatto e cosa non si è fatto, chi ha lavorato bene e chi no, di chi i meriti e di chi le colpe. A noi del Vilaj Italyen di Haiti non interessa guardare indietro, vogliamo guardare avanti e per farlo capiamo che dobbiamo guardare all’istante che oggi ci è dato di vivere. E così… guardiamo all’oggi, chiedendoci cosa ci ha tenuto qui in questi lunghi mesi, cosa ci ha fatto muovere sfidando l’impossibile della ricostruzione di un Paese da sempre devastato, cosa ci muove oggi davanti agli alti e bassi del colera. E perché continuiamo a proporre ai nostri amici di aiutarci e continuiamo, su un immondezzaio che sembrerebbe non aver futuro, a vivere le giornate con la nostra gente, indicando una strada, una speranza, un abbraccio nuovo. Guardando il volto della mia gente, fermandomi a parlare con loro o prendendo in braccio i loro bimbi sporchi e nudi, è come se mi fosse data la possibilità di ripartire ogni giorno dall’unica ragione che può tenere una persona qui: la generosità ed il buonismo finiscono in fretta in un posto così. Per cosa si resta e si continua a credere che anche qui sia possibile l’esperienza di felicità per l’uomo? Per Cristo, per l’Unico che questa condizione umana l’ha abbracciata come compito e l’ha vissuta fino in fondo, non rifiutando nulla di ciò che comportava.

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RIDURREBBE VOLENTIERI LA TERRA A UNA ROVINA E IN UN SOLO SBADIGLIO INGOIEREBBE IL MONDO. È LA NOIA!

ELOGIO DELLA NOIA – La scuola è una noia. I grandi sono una noia. Lo studio è una noia. Ma anche questa festa è una noia. Lo aveva già detto con immaginifica potenza Baudelaire: “Ma in mezzo ai mostri che guaiscono, urlano, grugniscono entro il serraglio infame dei nostri vizi, uno ve n’è, più laido, più cattivo, più immondo. Sebbene non faccia grandi gesti, né lanci acute strida, ridurrebbe volentieri la terra a una rovina e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo. È la Noia!”

La noia. Il nemico mortale dei miei studenti, il nemico mortale delle nostre giornate. La noia che ti prende sia quando lavori sia quando sei in vacanza. Anzi a volte ci si annoia di più in vacanza che al lavoro. La noia non dipende da quello che si fa, ma è una condizione del cuore. Non è altro che un preziosissimo indicatore: non stai vivendo tutta la vita che c’è da vivere, la tua vita non è all’altezza della vita vera. Manca qualcosa. Ci sono due possibili soluzioni. La prima facile, ma incerta: cercare subito un’emozione forte che mi tiri fuori dalla noia. Compro qualcosa di nuovo, lavoro di più, mi sballo… Ma finito l’effetto “adrenalina” ritorno alla noia di prima, divenuta però più profonda, perché sono caduto da più in alto. Seconda soluzione: mi fermo e mi chiedo cosa mi manca? Cosa manca alla mia vita per essere all’altezza di sé stessa? Di cosa ho nostalgia? La risposta è: manca la meraviglia. La meraviglia sta in ciò che è nuovo, ma non in senso cronologico: l’ultima cosa che è uscita (l’ultimo film, l’ultimo paio di scarpe… insomma il nuovo della pubblicità), che è sinonimo di “meno vecchio”.

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E’ UN BACIO COLLETTIVO DI DUECENTO OMOSESSUALI A TESTIMONIARE L’AMORE VERO? ABBIAMO FORTI DUBBI….

BARCELLONA – Rispettiamo, ma non condividiamo affatto, la decisione di cento (circa ndr) coppie omosessuali – una di più una di meno – che hanno inscenato a Barcellona questa mattina sulla piazza della Cattedrale una banale e futile protesta contro il Santo Padre Benedetto XVI; non condanniamo sia chiaro, ma ci fa davvero ridere – da giovani laici italiani e non da membri del Vaticano – questa carnevalata, o poco più che tale.

Nella Spagna di Zapatero che ha così tanto lavorato per i diritti degli omosessuali, per i matrimoni tra essi, per le adozioni di padri gay o mamme lesbiche è davvero questo il risultato che si ottiene? E’ necessario esprimere, così quella che alcuni movimenti, più politicizzati che umanizzanti, definiscono ‘conquista?’. E perché il buon Zapatero invece di stare con le sue coppie bacianti, se ne è andato in Afghanistan? Misteri della fede. Siamo convinti che non scapperà di fronte a due milioni di giovani che ad agosto invaderanno di gioia e di fede la capitale della Spagna.

E poi siamo sicuri che ‘Amore vero’ sia quello che si celebra baciandosi per strada? Il ‘bacio collettivo’ è una semplice provocazione che solamente media imbalsamati dalle lobbies di pressione che hanno alle spalle possono evidenziare. Una convinzione però ce l’abbiamo, e da oggi si conferma ancora più forte: l’Amore vero, è quello che il Papa, la Chiesa tutta, e Gesù per primo, portano a questo dolorante mondo: la carità, verso tutti, il perdono quando offesi, l’ascolto. Nella certezza che anche un ‘bacio collettivo’ quando una papamobile attraversa la piazza, sia un modo, purtroppo estremo, per dire: con il Papa, alla fine, c’eravamo anche noi!

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LA CHIESA PROPONE NEI SANTI MODELLI DI VITA CRISTIANA. “PERCHÉ I SANTI” L’EDITORIALE DI P. LOMBARDI

SULLE VIE DELLA SANTITA’ – Fra poco più di una settimana la Chiesa celebrerà la Solennità di Tutti i Santi. Ieri è stata avviata la fase diocesana della causa di Beatificazione di un grande testimone della fede, il cardinale vietnamita Xavier Nguyên Van Thuân, mentre il 17 ottobre scorso il Papa ha proclamato 6 nuovi Santi facendo accorrere in San Pietro pellegrini di tutto il mondo. Ascoltiamo in proposito la riflessione del nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per “Octava Dies”, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

Le canonizzazioni del 17 ottobre sono state un po’ particolari. Soprattutto due fra i nuovi Santi hanno mobilitato un interesse molto speciale nei loro Paesi. Parliamo di Mary MacKillop e il Fratel André Bessette. Gli altri Santi e Sante erano italiani, spagnoli, polacchi…e perciò – pur grandissimi – non erano una novità assoluta… ma l’Australia non aveva ancora avuto una santa e anche il Canada aveva minore familiarità con le canonizzazioni. Gruppi di migliaia di pellegrini hanno affrontato viaggi lunghissimi e costosi per essere presenti in Piazza San Pietro; molti giornalisti e troupes televisive sono venuti a Roma per scrivere articoli, fare reportages, interviste, dirette sulla cerimonia e gli altri festeggiamenti. Di solito i media si muovono quando capiscono che c’è un interesse popolare ampio e diffuso. Insomma. La Chiesa propone solennemente nei Santi dei modelli di vita cristiana, ma lo fa riconoscendo quello che il popolo perlopiù ha già capito: che certe persone incarnano il Vangelo con esemplarità straordinaria, e così diventano per chi li incontra degli amici spirituali, delle guide affascinanti per arrivare all’amore di Dio, alla fede, alla speranza. Le canonizzazioni sono il riconoscimento che lo Spirito di Dio soffia in persone comuni, come Mary e Fratel André, e produce frutti di virtù che sono fonte di conforto e luce per moltissimi altri. La canonizzazione è veramente una festa. Alcuni santi vengono riconosciuti solennemente; la grande maggioranza non diventano universalmente famosi, ma diffondono ugualmente attorno a loro fede, speranza, amore. Questo è il lato più bello della Chiesa. Nella Chiesa tutto il resto è al servizio di uomini e donne di ogni Paese e condizione, perché possano camminare incontro a Dio sulle vie della santità. Impariamo a vedere la Chiesa in questa prospettiva e a rinnovarla continuamente, cominciando da noi.

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LA FAMIGLIA AL CENTRO DEL PENSIERO DI PAPA BENEDETTO XVI: FAMIGLIE DIVISE PORTANO GIOVANI A DISASTRI

CITTA’ DEL VATICANO – Una situazione di assedio”: così, il Papa parla della condizione che vive la famiglia oggi nel discorso ai vescovi della Conferenza episcopale del Brasile, (Nordeste 1-4), incontrati questa mattina durante la visita “ad Limina”. “…a consciência difusa no mundo secularizado vive na incerteza…” Sui temi della famiglia “la coscienza diffusa nel mondo secolarizzato vive nell’incertezza più profonda da quando le società occidentali hanno legalizzato il divorzio”. E’ quanto afferma il Papa ricordando che “crescono le unioni di fatto e i divorzi”. Benedetto XVI parla di “uno stato di fragilità in cui si consuma il dramma di tante creature private dell’appoggio del padre, vittime – dice – del disagio, dell’abbandono e dell’espandersi del disordine sociale”.

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