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A GIUGNO A ROMA IL CONVEGNO INTERNAZIONALE SULL’ADORAZIONE EUCARISTICA

CHIESA NEL MONDO (Roma) – Su iniziativa del vescovo di Fréjus-Toulon, monsignor Dominique Rey, a Roma dal 20 al 24 giugno si terrà il Convegno internazionale sull’adorazione eucaristica, che vedrà la partecipazione di sei cardinali. Organizzata dai Missionari della Santissima Eucaristia (la comunità fondata nel 2007 dallo stesso vescovo Rey), la conferenza riunirà una folta schiera di relatori internazionali, compresi sei eminenti vescovi.

In un’intervista rilasciata a Zenit, monsignor Rey spiega l’importanza dell’adorazione eucaristica per la Chiesa di oggi e quali benefici essa potrà trarre da questo importante convegno internazionale.

La Chiesa si sta mobilitando intensamente per preparare questo Convegno internazionale sull’adorazione eucaristica. Qual è la sua importanza e quali sono le aspettative per questo convegno?

“Questo convegno si inquadra perfettamente nell’opera portata avanti da Papa Benedetto XVI che, sulle orme di Giovanni Paolo II, intende promuovere una nuova presa di coscienza sull’urgenza missionaria con cui si confronta, oggi più che mai, la Chiesa. Il tema del convegno ‘Dall’adorazione all’evangelizzazione’ sottolinea che questo nuovo impulso missionario si deve radicare nella vita ecclesiale ed eucaristica. La prima condizione dell’evangelizzazione è l’adorazione. Purtroppo alcune proposte missionarie di oggi si presentano più come marketing o promozione commerciale che come testimonianza di fede. Il rischio è quello di una distorsione del metodo di evangelizzazione. È la prima volta che a Roma si svolge un incontro su questo tema. E la partecipazione di numerosi cardinali, vescovi e testimoni che operano nel campo come evangelizzatori e adoratori, evidenzia l’interesse suscitato dall’argomento. Questo congresso vuole dare un’anima e una spiritualità a questa nuova evangelizzazione così necessaria per il rinnovamento della Chiesa e per l’irradiazione del messaggio evangelico”.

Perché è importante l’adorazione? Chi è chiamato, secondo lei, all’adorazione?

“L’adorazione eucaristica costituisce un prolungamento della celebrazione eucaristica. Il credente accoglie l’offerta di Cristo che si dà al Padre per la salvezza di tutti. Adorare il Santissimo Sacramento significa entrare in contemplazione di Gesù Eucaristia. Significa accettare, al contempo, come dirà l’apostolo Paolo, di offrire la nostra stessa vita in sacrificio per partecipare alla salvezza di Cristo. L’adorazione è un gesto di riconoscimento, nel contemplare fino a che punto Cristo ci ama, facendosi alimento, ed è anche un gesto personale in cui anche noi possiamo entrare, in Lui e per Lui, in questa opera di salvezza. Ogni cristiano è chiamato, in virtù della sua consacrazione battesimale, a diventare adoratore in spirito e verità. Ricordo la frase della filosofa Simone Weil, che usava dire dopo la sua conversione: ‘Finalmente ho scoperto qualcuno davanti a cui mettermi in ginocchio’. Nell’Apocalisse scopriamo che la gloria celeste consisterà nel giubilo e nell’adorazione. Se inizio ad adorare oggi, mi preparo ad entrare nella pienezza della mia condizione filiale di quando contemplerò il volto di Dio. Ogni uomo è fatto per adorare, ovvero per riconoscere la signoria di Cristo e, in questo gesto di donazione di se stessi, che implica l’adorazione, donarsi totalmente e definitivamente a Lui”.

Il convegno è organizzato dai Missionari della Santissima Eucaristia, una nuova comunità che lei ha fondato nella sua diocesi nel 2007. Qual è la missione di questa comunità nella Chiesa di oggi?

“Questa associazione di chierici di diritto diocesano è chiamata, sotto la mia vigilanza, a sviluppare nella Chiesa l’adorazione eucaristica nel cuore della vita parrocchiale. Questa associazione organizza missioni eucaristiche in collaborazione con le diocesi e i sacerdoti che ricorrono ai suoi servizi non solo per sviluppare un’autentica devozione eucaristica, ma anche per far entrare le comunità cristiane in uno spirito missionario, in un nuovo impulso pastorale. I parrocchiani sono chiamati ad avvicendarsi, giorno e notte, nell’adorazione del Santissimo Sacramento esposto. Per questo occorre fornire loro una catechesi eucaristica. I Missionari del Santissimo Sacramento sono presenti negli Stati Uniti e in Italia, anche se la loro sede centrale si trova a Sanary (Var, Francia). Vanno di parrocchia in parrocchia, diffondendo e promuovendo l’insegnamento del Magistero e di autori spirituali, sul valore dell’adorazione eucaristica”.

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GERUSALEMME: L’UNITÀ E LA PACE AL CENTRO DELLA PREGHIERA QUOTIDIANA

GERUSALEMME – Sabato, 25 settembre 2010, alle ore 15, ora di Terra Santa, dopo le prime edizioni tenutesi rispettivamente presso le Chiese e comunità siriana ortodossa, luterana e greco melchita cattolica, la Chiesa ortodossa apostolica armena di Gerusalemme ospiterà, nella sua cattedrale di San Giacomo, la quarta preghiera straordinaria di tutte le Chiese per la Riconciliazione, l’Unità e la Pace, cominciando da Gerusalemme – chiamando tutti i cristiani nel mondo ad unirsi a lei, in una grande preghiera di intercessione a Dio Padre per il nostro tempo. Questa preghiera proveniente da Gerusalemme venne ispirata nel corso di una veglia di preghiera al Santo Sepolcro – il luogo stesso dove Cristo è morto e risorto – cinque anni fa. Trattasi di una solenne chiamata della Chiesa Madre, agente nella sua ricca diversità e in comunione, a tutti i cristiani nel mondo, ad unirsi con profonda fede in una preghiera di intercessione insistente e gioiosa, ogni sabato alle ore 18:00, ora locale. Essa si fonda sulla convinzione che il nostro tempo ha molto bisogno di una tale solenne preghiera da parte della Chiesa, come una volta la Chiesa praticava nei momenti di grandi prove e difficoltà, sulla chiamata dei suoi capi spirituali; che la comunione tra le Chiese in questa preghiera è un presupposto perché il Signore l’ascolti; e che questa comunione aumenterà molto la sua forza spirituale. L’atto volontario di pregare insieme per queste intenzioni, in un luogo così significativo per il cristianesimo, dove la mancanza di comunione tra i fratelli cristiani appare più evidente – costituisce di per sé un primo, ma fondamentale atto di conversione riguardo alla mancanza di Pace nella Chiesa. Un atto di conversione molto modesto, in verità, ma allo stesso tempo, immenso.

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“PRIMA ERO UN CRISTIANO TIEPIDO, A MEDJUGORJE HO RITROVATO LA FEDE” PAROLA DI NEK

ROMA – Il direttore di Pontifex (quotidiano on line) Bruno Volpe parla con Nek, nome di arte di Filippo Neviani da Sassuolo, la stessa cittadina che ha dato i natali al Cardinale Camillo Ruini e al genio del giornalismo religioso apologetico Vittorio Messori: insomma buon sangue,non mente. Nek è un ragazzo sensibile e dotato di grande fede, che,inutile girarci attorno, è stata ulteriormente aumentata dalle sue visite a Medjugorje. “ In quel posto ci sono stato ben tre volte e le assicuro, senza con questo cadere nella sterile ed inutile retorica, che la mia fede prima era molto, ma molto più tiepida, poi si è riscaldata e mi sono infervorato. Del resto, a Medjugorje ho toccato con mano che cosa vuol dire,in un luogo tanto lontano,ma nello stesso tempo geograficamente accessibile, la fede in Dio, grazie all’opera della Madonna che, come instancabile mediatrice, opera autentiche grazie”. Eppure su Medjugorje molti sono scettici, anche all’interno della Chiesa. “ Guardi, io metterei da parte le polemiche che non portano da nessuna parte e guardo al lato positivo. Bisogna considerare che in quel santuario avvengono tante, tantissime conversioni, si amministrano sacramenti, insomma si crea la aspettativa del sacro e di Dio e questo mi pare un frutto buono e lodevole, da rimarcare”. Ma la posizione della Chiesa ufficiale sul tema non è ancora apertamente per il sì: “ ma neppure per il no. Io comprendo e forse anche giustifico la saggezza e la calma della Chiesa che davanti a fatti inspiegabili,visioni e miracoli si è sempre manifestata cauta. Del resto occorre riconoscere che, nel caso di Medjugorje, le veggenti hanno ancora visioni,parlano, quindi penso che la cautela della Chiesa, da questo punto di vista ,sia lecita. Poi come in ogni cosa umana gli scettici esistono sempre e dappertutto. La mia esperienza è positiva e dico grazie a Medjugorje che ha rafforzato la mia fede”.

Per leggere tutto il tsto visita:  http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=2293

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IL SANTO PADRE ALL’ANGELUS: ‘CONVERSIONE ‘ ACCOGLIERE LA SALVEZZA ED IL DONO DI AMORE DI GESU’

CITTA’ DEL VATICANO – Benedetto XVI ha fatto gli auguri del Nuovo anno cinese a tutti i popoli dell’Asia orientale, che seguono il calendario lunare è che da domani celebrano l’Anno del Bue. Parlando alla fine della preghiera dell’Angelus con i fedeli in piazza san Pietro, il Papa ha detto: I popoli di vari Paesi dell’Asia Orientale si preparano a celebrare il capodanno lunare. Auguro a loro di vivere questa festa nella gioia. La gioia è l’espressione dell’essere in armonia con se stessi: e ciò può derivare solo dall’essere in armonia con Dio e con la sua creazione. Che la gioia sia sempre viva nel cuore di tutti i cittadini di quelle Nazioni, a me tanto care, e si irradi sul mondo!”. Fra i Paesi che seguono questo calendario vi sono la Cina, Giappone, Taiwan, Hong Kong, Singapore, le Coree, il Vietnam e tutti i Paesi dove vi sono importanti comunità cinesi come l’Indonesia, la Malaysia, le Filippine. Ma il tema della sua riflessione prima della preghiera mariana è stato focalizzato dalla conversione di san Paolo, la cui memoria viene celebrata oggi dalla Chiesa. “Per la verità – ha detto il Papa – nel caso di Paolo, alcuni preferiscono non usare questo termine, perché – dicono – egli era già credente, anzi ebreo fervente, e perciò non passò dalla non-fede alla fede, dagli idoli a Dio, né dovette abbandonare la fede ebraica per aderire a Cristo. In realtà, l’esperienza dell’Apostolo può essere modello di ogni autentica conversione cristiana”.

La conversione di Paolo, ha continuato il Papa, “maturò nell’incontro col Cristo risorto; fu questo incontro a cambiargli radicalmente l’esistenza. Sulla via di Damasco accadde per lui quello che Gesù chiede nel Vangelo di oggi: Saulo si è convertito perché, grazie alla luce divina, “ha creduto nel Vangelo”. In questo consiste la sua e la nostra conversione: nel credere in Gesù morto e risorto e nell’aprirsi all’illuminazione della sua grazia divina. In quel momento Saulo comprese che la sua salvezza non dipendeva dalle opere buone compiute secondo la legge, ma dal fatto che Gesù era morto anche per lui – il persecutore – ed era risorto”.

Per leggere tutto il testo visita:  http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=2139

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IL MOVIMENTO MARIANO ‘REGINA DELL’AMORE’ DI SCHIO: LUOGO DI CONVERSIONE PER INCONTRARE GESU’

SCHIO – Cari amici dei Papaboys, sono un vostro associato del Veneto; invio questo piccolo estratto della storia di Schio e del movimento mariano e vi ricordo che ogni 4a domenica del mese i giovani si incontrano al cenacolo per un rosario ed una adorazione e viene svolta da parte del responsabile del movimento Mirko Agerde una catechesi per i giovani. E’ una bella testimonianza di amore per la mamma celeste che volentieri pubblichiamo, ricordando anche ai nostri associati del Veneto che a Schio si staffo formando anche dei piccoli gruppi di ragazzi dei Papaboys.

La città di Schio
Schio è una cittadina dio 39.000 abitanti della provincia e diocesi di Vicenza.

Cosi incominciarono le apparizioni
Il 25 Marzo 1985, Renato Baron si era recato nella chiesetta di San Martino per alcune incombenze, poi si era fermato a pregare inginocchiato in un banco davanti alla statua della Madonna del Rosario, quando questa all’improvviso si mise a parlare. Sorridendo diceva: “Ti aspettavo anche ieri. Da oggi in poi verrai sempre qui, perchè devo parlare con te di tante cose e poi… scriverai, ma intanto aspetta, vieni domani e ti dirò il resto”. Renato, terminata l’apparizione, rimase cosi sconvolto che scappo via. Il giorno dopo ritorno alla chiesetta, e cosi racconta: “Mi inginocchiai davanti alla statua e comincia a pregare. Feci delle letture e allungavo la preghiera per portare avanti il colloquio con Dio quando Maria venne un’altra volta. Mi sentii nuovamente uscire lo spirito, mentre la voce ripeteva: “Sono Io, sono Maria, sono la Madonna, sono Io che ti parlo veramente, prendi sul serio quanto ti dico ed ora in poi scriverai tutte le mie parole. Ti preparerò. Un giorno parlerai, perchè noi insieme dovremmo convertire tante anime e portarle a Gesu”.

Per leggere tutto il testo visita: http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=1985 

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“Ogni conversione implica un cambiamento”

BARCELLONA, martedì, 22 aprile 2008 (ZENIT.org).- La figura di San Paolo che in cammino verso Damasco cade da cavallo è diventata la metafora di ogni conversione, “un topos della nostra cultura occidentale che celebra la sottomissione dell’uomo al disegno divino”.

Maria Laura Giordano, docente all’Università Abad Oliba CEU di Barcellona, laureata in Storia Moderna presso l’Università di Catania, lo spiega in questa intervista.

Chi è stato il primo convertito della storia?

Giordano: Sicuramente i “primi convertiti della storia” sono stati tutti coloro che si sono convertiti al cristianesimo dopo la predicazione di Cristo. Credo che siano stati senza dubbio quegli stessi ebrei che, conquistati dalla figura di Gesù, credettero in lui.

Accanto all’opinione abbastanza diffusa che in forma schematica e antistorica riconosce negli ebrei solo il popolo che uccise Cristo, si dimentica spesso che nello stesso racconto evangelico si fa continuamente riferimento a “quanti credettero”, e invito in questo senso a rileggere il Vangelo di Giovanni, e che diventarono suoi discepoli, anche se evidentemente il messaggio cristiano venne rifiutato dai capi della comunità ebraica del tempo di Gesù.

La loro incredulità ostacolò la penetrazione di quel messaggio tra gli ebrei, ma non impedì che trovasse proprio lì i suoi primi seguaci e che da lì si diffondesse nel mondo civilizzato, vale a dire in Grecia, Turchia, Nordafrica, fino ad arrivare a Roma.

Oggi molta gente non capisce cosa significhi che San Paolo fu l’“apostolo dei gentili”. Come lo spiegherebbe a un giovane del nostro tempo?

Giordano: Molta gente non lo capisce perché spesso le Scritture sono state interpretate “dimenticando” che Gesù discendeva dalla stirpe di Davide e che era un circonciso, così come si è “dimenticato” che i primi destinatari del messaggio cristiano furono gli ebrei.

A questo proposito, negli Atti degli Apostoli (11, 1-18) c’è un episodio in cui Pietro fa un sogno nel quale il Signore gli diceva di andare a predicare in casa di un non circonciso. Vale a dire che serve un sogno ispirato da Dio per vincere le resistenze di Pietro che non voleva andare a mangiare e a predicare in casa di un uomo non circonciso.

Non si possono dimenticare, inoltre, i problemi che la comunità degli ebrei convertiti sottopose a Paolo: avevano difficoltà a comprendere che non avevano più bisogno della circoncisione per essere cristiani, né di seguire la legge mosaica per salvarsi.

San Paolo fu l’apostolo dei gentili perché annunciò il Vangelo, dopo aver realizzato i suoi primi viaggi missionari in Oriente, anche a quanti non erano ebrei, ai gentili, vale a dire ai pagani d’Occidente.

Fu il momento di maggiore apertura del messaggio cristiano che esce dalla terra che lo ha generato per proiettarsi verso il mondo, per universalizzarsi. Solo uno come Paolo, cittadino romano, di cultura greca e di razza ebraica, avrebbe potuto farlo.

San Paolo conservò il fervore della conversione fino alla morte?

Giordano: Sì. Altrimenti la sua vita non si comprenderebbe.

Quali sono le conseguenze di una conversione come quella di San Paolo, e come si applicano oggi alle nuove conversioni?

Giordano: Ogni conversione implica un cambiamento. Nella figura di Paolo, il cambiamento riesce ad essere rappresentato con una potente drammaticità, che porta con sé anche un carico simbolico di una bellezza indiscutibile: il passaggio dalle tenebre alla luce della fede si esprime attraverso il paradosso della luce che rende ciechi.

Paolo muore e rinasce, la sua cecità è un battesimo terribile e rigeneratore. La figura di San Paolo che nel cammino verso Damasco cade da cavallo è diventata una metafora di qualsiasi conversione, un topos della nostra cultura occidentale che celebra la sottomissione dell’uomo al disegno divino.

Ogni conversione continua ad essere oggi come allora un momento di cambiamento, un passaggio dalla morte a una nuova vita. Anche se, come direbbe San Paolo, è la grazia che sceglie e “predestina”, l’uomo è libero di rispondere o meno alla chiamata divina, visto che è la libertà, il suo libero arbitrio che si mette in gioco ogni volta che si relaziona con Dio.

Come dicono i Vangeli, Cristo ha voluto che la fede fosse un atto libero e quindi non soggetto ad alcun determinismo divino o ad alcuna costrizione umana.

Questa idea della religione cristiana come religione della libertà è un asse fondamentale dell’insegnamento paolino e una scuola di civiltà e umanità che dobbiamo alle nostre radici giudaico-cristiane.

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A GROUND ZERO PER RICORDARE LE VITTIME DELLE TORRI GEMELLE E AUSPICARE LA CONVERSIONE DEI TERRORISTI

NEW YORK – “Sopraffatti dalla dimensione immane di questa tragedia, Dio della comprensione, cerchiamo la Tua luce e la Tua guida mentre siamo davanti ad eventi cosi’ tremendi”. Ha rinunciato a qualunque discorso e ha affidato i suoi sentimenti a questa semplice preghiera, Benedetto XVI nel pellegrinaggio compiuto al Ground Zero. “Guarisci – ha chiesto – la sofferenza delle famiglie ancora in lutto e di quanti hanno perso persone care in questa tragedia. Concedi a coloro le cui vite sono state risparmiate di poter vivere – ha continuato – in modo che le vite perdute qui non siano state perdute in vano”. E ha pregato il “Dio della pace” anche per i terroristi: “Volgi verso il Tuo cammino di amore – ha detto con un filo di voce – coloro che hanno il cuore e la mente consumati dall’odio”. Sotto un cielo grigio che avvolgeva Manhattan come una cappa, Benedetto XVI e’ sceso con la papamobile nel cratere delle Twin Tower, ferita ancora aperta nel cuore di New York…

Puoi continuare a leggere la notizia su: http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=1220

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MI FIDO DI TE! …COSA SEI DISPOSTO A PERDERE? DA GIOVANI PER I GIOVANI

DUE TESORI – Tu vali. No, non è una pubblicità di cosmetici. C’è un tesoro, qualcosa di molto prezioso in te che ti accompagna. Certo, magari non te ne rendi conto subito, ma istante per istante sei diverso! – «Come sono diverso?», direte voi. «Diverso da cosa? Diverso da chi? Perché?» Ti tranquillizzo intanto: resti sempre tu, anzi sei proprio tu, questa è la cosa più bella! – «Ma se sono sempre io, cosa dovrei avere di diverso?» Un attimo di pazienza, se hai voglia di seguirmi un po’, ti spiego meglio che cosa intendo! Prova a ripensare a quando eri piccolo, ti ricordi? Ti piaceva andare a passeggio tenendo per mano il papà, giocavi a saltare nelle pozzanghere, ti sbucciavi le ginocchia cadendo dalla bici. E poco dopo tornavi in sella a pedalare con gli amici tutto il giorno arrivando sempre a casa in ritardo! Ricordi vero? Bene questo è un buon segno, vuol dire che eri davvero tu! Da allora però, molte cose sono cambiate nella tua vita: gli impegni, il modo di parlare, il modo in cui ti vesti, le cose che studi, i tuoi interessi, il tuo relazionarti con gli altri, i desideri e i tuoi sogni!

Hai già scoperto quindi, e stai continuando a scoprire, che in te ci sono tante capacità, sentimenti e desideri. Molte persone amiche, ti hanno aiutato e accompagnato a scoprire queste cose belle che fanno sì che la tua vita sia piena di colori! Non solo il seme, le sue possibilità e le sue potenzialità, sono in te, ma anche il buon terreno in cui farlo crescere: il tuo talento, i tuoi desideri di bene, l’impegno nelle tue attività, il tuo servizio e ascolto verso le persone che ti stanno attorno, i sorrisi che regali e che ti sono regalati! L’esperienza della vita vissuta in prima persona, amicizie e relazioni, ti portano ad incontrare, a conoscere, a scegliere, a crescere.

La vita diviene sempre; cambia perché tu possa crescere, prender forma, e portare frutto. Non un frutto a caso, bensì il frutto giusto!

Leggendo con più attenzione, ci accorgiamo che il tesoro non è solamente uno, ma sono almeno due: il primo è la tua vita, il tuo essere qui, l’occasione di poter vivere questa bellissima esperienza che è la vita. Attenzione: non una a caso fra tante, ma la Tua Vita fatta di Nome e Cognome, casa, mamma e papà, fratelli, amici, scuola e lavoro, fatiche e gioie, successi, insuccessi, sogni e desideri.

Il secondo a volte sfugge dall’attenzione e spesso passa sottovoce! L’attore principale, il vero protagonista della Tua Vita sei Tu!

Rispondere agli inviti della vita – (Response + Ability)

La possibilità di scegliere è sempre un dono, non è cosa scontata: proprio questa possibilità è una forte espressione della libertà. Fin da piccoli impariamo con le persone che ci sono vicine tutte le cose più importanti,utili alla nostra vita: mangiare, camminare, parlare, gioire, imparare a conoscersi pian piano. Da un certo punto in poi però, sentiamo il desiderio di andare oltre: il nostro corpo comincia a cambiare, così i nostri pensieri, le nostre azioni, le relazioni e i nostri interessi. Ogni giorno che viviamo, se abbiamo l’attenzione di guardarci attorno, possiamo vedere come il mondo si tinga di colori sempre nuovi e, nel conto delle nostre esperienze, sembra ci sia posto sempre per qualcosa di nuovo. Ci sembra possibile che il mondo sia tutto da scoprire e (quasi in uno slancio di orgoglio) sembra che solo ognuno di noi possa capire tutto e dominarlo, quasi cambiarlo a proprio piacimento. Una esperienza bellissima, perché è quella che ci offre l’occasione, e assieme il timore, di essere protagonisti. Gli antichi chiamavano questo processo che porta alla conoscenza e alla consapevolezza di sé con il verbo “adolescere” che significa, non a caso, proprio crescere, svilupparsi, prendere forma.

Questo tempo è una occasione, un invito, che ci offre la vita, proprio per farsi conoscere e per darci l’occasione di riconoscerci: tempo della scoperta e tempo di forte crescita, non tempo del caso!

La vita, la Tua stessa Vita ti chiede di essere vissuta in pieno. Questo è il più grande di tutti gli inviti. Una risposta porta ad una presa di posizione, a distinguere ciò che vuoi da ciò che non vuoi, ciò che fai da ciò che non fai, ciò che è bene per te, da ciò che è male: scegliere qualcosa a scapito di altro.

La scelta non implica solo la libertà della persona, ovvero il fatto che se devo decidere, quella persona devo essere io. La persona in sé, prima che essere una libertà che decide, è figlio, è una libertà donata. Il dono della mia vita non è una cosa neutrale, ma è un dato di partenza, un legame sostanziale. Se la persona si trova a rispondere è evidente che la sua è solo la seconda battuta di un dialogo dove uno prima ha donato, ha creato, ha proposto! Prima la proposta e quindi, poi, il nostro agire motivato a una vita donata, da figli. Proprio in questa libertà donata per prima possiamo vedere i due passaggi: prima la creazione e poi l’alleanza (nell’ Antico Testamento da Mosè in poi fino a quella definitiva con Gesù).

Avere la capacità di rispondere a questi continui inviti richiama ad una parola inglese che ben si presta ad illustrare questo concetto: Responsability, “Response” (=risposta) + “Ability” (=capacità). Ecco che cosa è la responsabilità: 1. accogliere il dono della vita, desiderare una vita piena, desiderare di portare frutto, 2. intuire la domanda, l’invito (il che presuppone la capacità di ascolto), 3. scegliere e impegnarsi per prendere forma, concretizzare nel Tuo tempo e nel Tuo spazio. Ovvero proprio la capacità scegliere e saperne indicare il motivo.

Non scegliere, allora, porta a non prendere forma, quindi a non crescere. Un albero che spunta ma non è piantato da nessuna parte, non mette fuori le foglie, non fa capire che specie di albero sia e non ha la possibilità dare frutti, togliendo alle api e al vento, la possibilità di impollinare i fiori (che non fa germogliare). Un albero che si tiene aperte tutte le possibilità di dichiararsi, aspettando un “momento giusto” che non arriva, perché è già ora. Portare la pianta a dar frutto, portare a compimento tutta se stessa: ecco il desiderio della Vita. Di ogni vita. Ma io, che pianta sono?

Cosa sei disposto a perdere?

Questa domanda sembra proprio la più difficile alla quale dover rispondere. Certo, io voglio essere felice e realizzare pienamente tutti i desideri che porto nel mio cuore! Diventa difficile dover eliminare sogni futuri o equilibri raggiunti. Ma poi mi chiedo: e se potessi tenere solo i più importanti? O se potessi tenerne solo uno? Comincerei allora a vedere quelli facili e quelli difficili, quelli che hanno un compimento e quelli che sono che promettono qualcosa che non ha fine… Resta comunque difficile! Proviamo allora a girare la domanda: cosa vuoi veramente? Cosa è così importante che il confronto con il resto non regge? La prima parola che mi viene in mente è felicità, la seconda è infinita, senza fine, eterna. Felicità eterna. Io voglio essere pianta che porta frutto, per sempre.

Nello scegliere di crescere e di prendere forma, di realizzare il mio più grande desiderio ho bisogno allora di nutrirmi, di fare esperienza dell’eternità: il terreno che alimenta la pianta allora deve essere intriso di Eternità, di Amore. Un amore umile, silenzioso, quotidiano, che ascolta, che si fa vicino, che cura, che accoglie e che fa nascere il desiderio di scegliere l’Amore.

Fino a questo punto sembra bello e tutto facile. La vita però ci insegna che niente è “a gratis”, facile, immediato, comodo. La vita è sempre drammatica, non è sospesa nel vuoto, ma è concreta, nel mondo con tutto a contatto con tutto ciò che c’è nel mondo. Non è facile mettere da parte tutto ciò: pressioni affettive, sociali, psicologiche, condizionamenti di familiari e amici e conoscenti, senza considerare poi i nostri egoismi, le nostre gelosie, i nostri comodi, il nostro attaccamento alle “nostre cose” il nostro voler schivare tutto ciò che ci può portare a dover dare risposta delle nostre azioni. Questa è la condizione dell’uomo: piccolo, limitato, fallibile ma con un desiderio nel Cuore che va oltre tutto ciò, perché sa che non è un sentire vano. E’ una esperienza vera, solida, reale. Persone hanno saputo rispondere all’invito fatto per loro, nei modi più disparati: Massimilano Kolbe, una vita preparata al martirio, per salvare un padre di famiglia da una esecuzione sommaria; l’impegno civile e sociale tra studenti universitari, operai e meno abbienti di Pier Giorgio Frassati; la vita vissuta da Madre Teresa tra gli ultimi e i dimenticati del mondo; la vita immobilizzata a letto, donata nella preghiera per la santificazione dei giovani, di Alexandrina Da Costa. Sono solo alcune vite di scelte sofferte, pagate, e quindi libere, perché danno una risposta al loro essere figli di Dio. Una tensione e desiderio continui che portano ad alzare gli occhi verso l’Alto, e a spendere tutto nei luoghi che abitiamo.

Se scegli di diventare un albero, allora, non hai bisogno solo di mettere fuori le foglie, i rami e desiderare che crescano i frutti: serve, anche, scegliere un luogo e piantare bene a fondo le radici. Più la pianta sale verso l’alto, più le sue radici affondano nel terreno. E viceversa. Senza terreno o senza radici la pianta ha dei problemi.

Ritornando alla domanda… Cosa perdo allora? A ben vedere non si perde niente di così importante, perché si arriva a realizzare pienamente il nostro sogno e desiderio più importante, realizzare pienamente la nostra Vita! Certo, bisogna desiderarlo proprio! Cosa ci guadagno? Se proprio guardo bene devo dire che ci guadagno i due tesori che già sono in me: con tutto me stesso accolgo, scelgo di realizzare, e compio, il mio più grande desiderio. Prendo forma e porto frutto. E con ciò la mia più grande gioia. Eterna.

Articolo di Luca Magarotto
Giovani per Giovani su Donboscoland.it

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QUALE AMORE VUOI? ANCHE TRA FIDANZATI CRISTO E’ IL VINCOLO LEALE DI GARANZIA E CONTINUITA’

UNO IN DUE – L’amore per sua natura tende a comunicarsi ad altri per coinvolgerli: suscitare in loro maggior capacità di dono e gioia di vivere. L’uomo è felice quando realizza se stesso: vive in pienezza la vita. L’amore e solo l’amore porta a compimento le realtà umane e divine possedute dalla persona. umana. Una sua componente fondamentale è la sessualità . Essa si realizza unicamente attraverso un dono totale dato e ricevuto da una persona complementare, cioè con l’amore del matrimonio. Amore che si esprime, si rende visibile attraverso la corporeità, in modo particolare attraverso il rapporto sessuale, che lo apre alla paternità e maternità, ulteriori componenti della persona umana. La sessualità realizzata apre infatti le porte del cuore ad essere padre o madre: a comunicare la vita o meglio generare altre persone per amare. Il matrimonio infatti perpetua nel mondo la presenza dell’amore. Questo dovrebbe essere il desiderio che anima ogni coppia, aprendola alla vita. Sovente succede invece che gli sposi sono unicamente guidati dalla brama di perpetuare nel tempo la propria stirpe. Scopo limitante, che restringe il campo di scelta anche dei figli. Essi infatti realizzeranno tale fine unicamente sposandosi come i loro genitori e mai scegliendo il matrimonio della consacrazione totale a Dio.

Gli sposi devono riscoprire la vocazione fondamentale del matrimonio che non si limita a generare ma che vuole donare al mondo nuove creature capaci d’amare, di accrescere nel mondo l’amore. La vocazione fondamentale di ogni creatura infatti è amare e donare amore. L’amore e solo l’amore è la vera vita. Tutto ciò comporta negli sposi una apertura amorosa e cosciente alla paternità e maternità, cioè una ricerca della vita vissuta in modo responsabile. La paternità o maternità responsabile non si limita a generare la vita, ma continua a farla crescere nella vivificante dolcezza dell’amore, perché possa essere realmente amore nel mondo. E questo continuo generare all’amore che deve impegnare gli sposi ad accrescere sempre più intensamente la fiamma calda e rigenerante dell’amore presente nei loro cuori. Nessuno infatti può dare amore se non lo possiede realmente. Una sorgente può dissetare, quindi dare vita, solo se da essa sgorga acqua.

La procreazione responsabile implica quindi, da parte degli sposi, un impegno costante per essere sorgente inesauribile d’amore, per maturare e far crescere in essa i figli, comunicare loro la voglia d’amare realmente, imparare l’amore e sviluppare in loro la capacità di realizzarlo. Gli sposi realizzano questo loro scopo fondamentale se realmente e costantemente accrescono, attraverso le manifestazioni sensibili proprie dell’amore coniugale, il loro amore. Ciò comporta da parte loro il coltivare e sviluppare la fiamma dell’amore, emancipandolo dall’egoismo ed eliminando quei difetti, che precludono all’amato/a di entrare o meglio di penetrare, attraverso il dono, più intensamente e profondamente in loro stessi. Allo stesso tempo devono sviluppare le capacità espressive dell’amore: tenerezza, sentimento e sesso. Questo cammino esige inoltre da parte degli sposi, un’attenzione continua e delicata sull’altro/a per scoprire e capirne la sensibilità corporea e spirituale ed allo stesso tempo comporta un impegno educativo costante su loro stessi per plasmare le doti corporee ad esprimere la propria originalità affettiva in un modo completamente gradito all’amato/a. E’ un’ educazione all’amare che inizia nel fidanzamento, per continuare, intensificandosi, nel matrimonio, prolungandosi fino alla morte. E la vera conoscenza sessuale dell’amato/a. Il matrimonio nei suoi gesti d’amore diventa come una sinfonia in continua composizione, che attinge momenti estatici successivi (rapporto sessuale), ma che tende ad un’estasi totale finale: l’immergersi nell’amore divino.

Solo in Dio cuore e corpo raggiungono la pienezza d’amore a cui aspirano. Il fidanzamento deve preparare questa sinfonia dell’amore matrimoniale. Deve cioè educare il cuore e il corpo degli amanti a vivere i gesti sensibili dell’amore in tutto lo splendore della loro ricchezza espressiva. La gestualità amorosa degli sposi può dirsi pure: ‘”Liturgia dell’amore coniugale”. La liturgia sacra infatti, attraverso i gesti sensibili, rende presente la realtà che celebra, aumentando la sua azione benefica e la sua presenza nei celebranti ed annunciandone, allo stesso tempo, la pienezza di possesso nella vita futura. Così i gesti sensibili, esprimenti l’amore coniugale, lo rendono presente in tutta la sua calda tenerezza, facendo sperimentare e crescere la comunione degli sposi ed annunciando, attraverso la pienezza della gioia sensibile (il piacere), la realtà futura del possesso definitivo e totale di un amore senza fine: Dio.

L’estasi della carne infatti, raggiunta nell’apice dell’amplesso fisico, proietta gli sposi ai margini del tempo… facendo loro intravedere i bagliori dell’Eterno Amore. Il piacere infatti genera in essi la brama ardente di immergersi in un amore-comunione immensa, senza fine, per sempre. Questa esperienza se è mal compresa o frustrata nel suo sorgere dalla passione del sesso, che riduce l’amplesso ad una pura ricerca di piacere fine a se stesso, sollecita gli innamorati a moltiplicare gli amplessi sessuali come risposta a questa aspirazione d’immergersi in un amore eterno, senza fine.

Il fidanzamento deve preparare i fidanzati a vivere con tutto loro stessi questa dimensione liturgica e profetica dell’amore coniugale. Attraverso l’esperienza religiosa i fidanzati devono sperimentare che non sono solo creature create ad immagine del Cristo, quindi portanti in tutto il loro essere l’immagine divina, ma che sono allo stesso tempo figli di Dio e come tali in cammino verso la casa del Padre, verso l’abbraccio tenero, dolce e senza fine con Lui, per immergersi nell’immenso suo Amore. Solo così saranno abilitati a vivere e sperimentare nell’amplesso fisico del matrimonio l’annuncio futuro del beatificante abbraccio con Dio. Ciò comporta una rivalutazione del piacere sensibile legato ai gesti corporei dell’amore. La castità vissuta in tutta la sua ricchezza educherà i fidanzati a tutto questo. Occorre infatti che si preparino a stimare e a vivere nel giusto senso l’apice sensibile del piacere legato al rapporto sessuale. Esso infatti ha uno scopo ben preciso: fare sperimentare la comunione dei cuori. Unicamente vissuto in questo modo il piacere sessuale assume il suo vero volto: l’amore che si fa carne, sprigionando attraverso le sue dolci sensazioni ed emozioni lo splendore dei suo essere. E’ un’educazione a vivere il piacere non semplicemente come creature, ma come figli di Dio. Il battesimo infatti ha introdotto nel cuore del cristiano un nuovo modo di essere, di vivere l’amore. Un modo divino, che perfeziona il modo umano, rendendolo simile a quello di Dio. Le tre persone divine infatti gioiscono infinitamente di essere, attraverso l’amore, che le unisce in uno, presenti l’una nell’altra (Gv. 17, 20). Esperienza meravigliosa! Gli sposi possono assaporarne una scintilla attraverso il loro amore, in particolare nel rapporto sessuale (Bardelli R., Il significato dell’amore, Elle Di Ci, Torino 1994, p.196-202).

I fidanzati cristiani devono vivere il loro amore in tutta la loro realtà concreta, cioè di creature diventate per azione dello Spirito figli di Dio. Nei gesti d’amore non devono dimenticare mai questa loro dignità. Non è un limite alla loro spontaneità, è una maggior ricchezza, che aumenta e perfeziona anche le sensazioni scaturenti dalle loro manifestazioni d’amore. L’amore divino riversato nei loro cuori dallo Spirito perfeziona anche il corpo. Ogni gesto autentico d’amore vissuto in tutta la sua ricchezza, anche di sensazioni, aumenta l’amore divino presente nei loro cuori, unendoli più profondamente fra di loro.

Articolo di Raimondo Bardelli

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TESTIMONIANZE: NICOLA LEGROTTAGLIE ‘CON LA FEDE LA MIA VITA E’ CAMBIATA’.

TESTIMONIANZA – Nicola Legrottaglie è un giocatore di calcio, della Juventus, nato il 20 Ottobre 1976 a Gioia del Colle, fa il difensore. Legrottaglie incominciò con le giovanili del Bari nel 1994. Dopo i primi anni di esperienza in Serie C1 con la Pistoiese e il Prato tra il 1996 e il 1998, Legrottaglie fu acquistato dal Chievo nella stagione 1998/99. In seguito, il difensore passò in prestito alla Reggiana nel 1999/2000 e al Modena nel 2000/01 (dove vince il campionato di serie C1 con la squadra guidata da Gianni De Biasi), per poi ritornare con gli scaligeri l’anno successivo, quando la squadra veronese fece il suo storico ingresso in Serie A. Legrottaglie esordì nella massima serie il 14 ottobre 2001 contro il Brescia.

Nelle due stagioni di militanza al Chievo, Legrottaglie fu uno dei protagonisti della “favola” che accompagnò la squadra presieduta da Luca Campedelli, tanto da essere convocato da Giovanni Trapattoni in Nazionale, esordendovi il 20 novembre 2002 nella gara amichevole contro la Turchia. Dopo aver segnato anche il primo (e finora unico) gol in Nazionale contro la Svizzera in amichevole il 30 aprile 2003, il difensore divenne l’oggetto del desiderio dei grandi club italiani, finché, nella stagione 2003/04, Legrottaglie fu acquistato dalla Juventus, che lo strappa alla Roma. Che è successo di importante nella sua vita oltre a questo bel curriculum? Scopriamolo in questa intervista dell’Espresso che vi proponiamo per la lettura.

La nuova vita di Legrottaglie
di Emanuele Gamba

“Sono fratello Nicola: ho incontrato Gesù, leggo la Bibbia”
“Faccio parte degli Atleti di Cristo, come Kakà. Frequento la chiesa evangelica e una comunità di Beinasco” Il cambiamento – Ho passato molte notti in discoteca. Se stavo dieci giorni senza una donna battevo la testa contro il muro. Adesso posso tranquillamente farne a meno: so che la persona giusta arriverà Nicola Legrottaglie è davvero quello che sembra, o che sembrava?

«Le meches bionde, l´aria da fighettino, la fama di tiratardi e di donnaiolo?».

Quello.

«Credo che qualcosa sia cambiato, rispetto a tre anni fa».
E cosa?

«Qualcosa di vero c´era: ho sbagliato a curare troppo l´esteriorità e a non mostrarmi per quello che sono veramente. Per fortuna me ne sono accorto in tempo. E nel gennaio del 2006 ho avuto l´incontro che mi ha cambiato la vita».

Chi ha incontrato?

«Una persona molto speciale. Si chiama Gesù».

Ha scoperto la vocazione, vuol dire?

«Ho avuto un´educazione religiosa, ma quel che sapevo l´avevo imparato al catechismo, avevo un´istruzione dogmatica. Ora la mia esperienza spirituale è diversa, più profonda. Vivo seguendo la parola di Dio e gli insegnamenti della Bibbia. Ho capito, finalmente».

Chi le è indicato la strada?

«Stavo a Siena e a gennaio arrivò un ragazzo dal Crotone: Tomas Guzman. Un giorno bussò alla mia schiena e mi disse: Nicola, perché non credi? È stato lì che ho aperto gli occhi e ho cominciato questo bellissimo cammino».

Come testimonia la sua fede?

«Con la preghiera, con la lettura della Bibbia e con comportamenti coerenti. Qualsiasi cosa faccia, mi chiedo cosa farebbe Gesù al posto mio. È chiaro che sono un uomo e quindi è nella mia natura sbagliare, però so cosa è giusto e cosa no. Prima ero rancoroso, adesso perdono. E vivo meglio».

Riesce ancora a riconoscere il Legrottaglie di qualche anno fa?

«Riconosco il cambiamento e rivedo un tipo appariscente, superficiale. Le mie prospettive sono cambiate: se prima potevo essere contento di giocare bene qualche partita, ora la vittoria è seguire la parola di Gesù, e poterne parlare».

E ne parla?

«Certo, l´evangelizzazione è una delle mie missioni. Faccio parte degli Atleti di Cristo, sono il primo italiano a essere entrato in questo gruppo. E poi frequento la chiesa evangelica di via Spalato e un´altra comunità di Beinasco. All´inizio erano stupiti di vedere un calciatore tra di loro, ma adesso soltanto Nicola. Anzi, fratello Nicola: tra di noi ci chiamiamo così».

Non l´abbiamo mai vista fare il segno della croce in campo, come molti colleghi: come mai?

«Perché essendo protestante protesto contro tutte le cose rituali. Quelli sono gesti che possono essere scambiati per scaramanzia, il mio rapporto con il Signore è personale. In pubblico contano i comportamenti, le parole, la condivisione di quello in cui credo, l´osservazione dei dieci comandamenti, il tentativo di non peccare e anche di non fare cose contrarie a questa morale».

Tipo?

«Andare in discoteca e ubriacarsi, per esempio».

E il donnaiolo Legrottaglie dov´è finito?

«Non c´è più. Ne ho fatte di notti al Toqueville, all´Hollywood. Se stavo dieci giorni senza una donna battevo la testa contro il muro, mentre adesso sono serenissimo anche senza, perché so che la persona giusta arriverà e quando la incontrerò sarà ancora più bello».

Le piace molto parlare della sua fede?

«Sì, perché voglio condividerla e trasmetterla. Mi basta mettere il dubbio a chi mi ascolta, non pretendo molto di più. Ma credo che mi impegnerò sembra di più per diffondere la parola di Cristo».

Tutta l’intervista su

http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=1091

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