DIALOGO INTERRELIGIOSO (Bose, PG) – Il Monastero di Bose è di nuovo al centro di un importante incontro ecumenico. Da oggi al 27 maggio, le sue mura ospitano il primo incontro della terza fase di dialogo tra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana, con la riunione della Commissione internazionale anglicana-cattolica-Arcic. L’avvio di questa nuova fase di dialogo era stata annunciata dallo stesso Benedetto XVI e dall’arcivescovo anglicano di Canterbury, Rowan Williams, nel loro incontro di un anno e mezzo fa a Roma. Il tema della “comunione” sarà centrale nelle relazioni dei lavori, sostenuti da parte cattolica tramite il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Philippa Hitchen, della redazione inglese di Radio Vaticana, ha incontrato a Bose uno degli officiali del dicastero vaticano, mons. Mark Langham.
R – In realtà, questo tema è nato dai colloqui tra il Santo Padre e l’arcivescovo Rowan Williams, in occasione del loro incontro a Roma, riguardanti argomenti che toccano da vicino la Comunità anglicana in questo periodo. I temi trattano di ciò che compone la Chiesa, come le Chiese particolari si pongono nei riguardi della più ampia Comunione. Ecco, quindi, che il punto fondamentale dei colloqui torna alla “comunione”: comunione a livello universale e locale. Un argomento, dunque, ben radicato all’interno della Comunione anglicana: come per l’Arcic e per tutti gli altri dialoghi ecumenici, si tratta di qualcosa che veramente può aiutare la Comunione a comprendere come proseguire su questa strada.
D – In che modo tutto questo si pone in relazione con le pressanti questioni etiche che ambedue le Chiese si trovano ad affrontare?
R – Sì, è inevitabile che tali questioni siano parte importante degli argomenti che andremo ad affrontare. Però, voglio dire anche che il nostro impegno non è soltanto quello di immergerci in questi argomenti “caldi” e parlare solo di questi: cercheremo di andare al di là di questi per cercare l’origine delle nostre differenze. E questo permette di tornare all’essenza stessa del dialogo ecumenico, nel quale abbiamo iniziato sottolineando ciò che abbiamo in comune, individuando i campi nei quali possiamo professare comunemente la nostra fede e da lì partire per comprendere dove, quando e perché nascono le nostre divergenze. Questo è un modo più produttivo e creativo per affrontare i vari punti del colloquio. Se invece ci limitassimo a immergerci nei punti controversi e a parlare soltanto di quelli, si finirebbe per trincerarsi e arroccarsi su posizioni preesistenti e così non arriveremo da nessuna parte. L’aspetto entusiasmante del dialogo ecumenico è che esso cerca di superare questi punti, cercando cosa c’è “sotto” e “dietro” di ciò che possiamo condividere: e questa è la strada sulla quale possiamo progredire.
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