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LA PROTESTA DELLE DONNE IN ARABIA SAUDITA: VOGLIONO VOTARE MA LA LEGGE NON GLIELO PERMETTE

ESTERI (Ryadh, ARABIA SAUDITA) – A settembre in Arabia Saudita si terranno elezioni comunali a livello nazionale; la seconda volta in 40 anni. Ma sin da ora si sa che nove milioni di donne ne verranno escluse. Le elezioni per i consigli municipali mettono in luce le contraddizioni nel regno gestito dalla monarchia wahabita, dove un sistema religioso particolarmente austero rende la democrazia molto incerta nelle sue espressioni. Il regno non permette che esistano partiti politici, o un Parlamento elettivo. E la polizia religiosa pattuglia le strade, per assicurare la tutela dei costumi, e la segregazione fra i sessi.Già nel marzo scorso il governo ha annunciato le elezioni per metà dei seggi municipali, ma le donne non potranno essere candidate, né votare. La giustificazione addotta da funzionari locali è la difficoltà di organizzare sedi elettorali distinte in base al sesso.

Tale decisione ha però dato origine a una campagna, nata su Facebook e Twitter, da parte di molte donne saudite, e intitolata “Baladi”, “Il mio Paese”. Questa campagna fa sì che le donne si presentino agli uffici elettorali, in tutta l’Arabia saudita, chiedendo di poter esercitare il loro diritto di voto. Di solito sui muri appaiono solo slogan che incitano gli uomini a registrarsi agli uffici elettorali. “Sii una parte nel processo decisionale”, è una delle scritte. Ma in molte parti del regno sono state le donne a rispondere all’appello. Dalle province occidentali, Gedda, Mecca e Medina, alle province orientali e persino fino alla capitale Ryadh, dozzine di donne si sono recate agli uffici elettorali, per chiedere di essere registrate. “Attraverso questa pressione stiamo cercando di modificare la decisione del governo di escludere le donne dal voto, sostenendo che la ragione che hanno dato non è convincente – ha dichiarato Nailah Attar, una delle organizzatrici della campagna -. Continueremo a provare fino a che non ci fermeranno”. 

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GIOVANI E LAVORO, RAGAZZI DISORIENTATI NEGLI ATENEI E PRECARI UN ANNO DOPO LA MATURITÀ

GIOVANI (Italia) – C’è soprattutto l’università e un po’ di lavoro nei giorni dei giovani che hanno superato da un anno la maturità. Ci sono le lezioni, il caos delle aule e le nuove amicizie. Ma anche gli ordini del capo, le mansioni quotidiane e la paga a fine mese. I primi passi negli atenei e nelle imprese produttive. Eppure un sesto di loro sono fuori da tutto questo. Qualcuno, così presto, sta facendo i conti con il muro altissimo della disoccupazione e altri non hanno non neppure quello. Né un po’ di studio, né un impiego. Né la voglia di cercarlo più. E’ molto complessa e articolata la realtà dei giovani che escono in questi anni dalle superiori. Il consorzio interuniversitario AlmaLaurea ne restituisce un articolato profilo nel Rapporto sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati che verrà presentato all’università di Sassari giovedì 26 maggio. Nell’indagine, realizzata insieme all’organizzazione AlmaDiploma, vengono esplorati con attenzione i percorsi di un campione di giovani, circa 20.000, che si sono diplomati nel 2009 e nel 2007. 

Nella gran mole di dati si registra un leggero calo, rispetto agli anni scorsi, della proporzione di chi sceglie l’università. A un anno dal diploma, sei su dieci si sono iscritti a un ateneo. Ma non tutti seguono, o possono seguire, i corsi alla stessa maniera. Tre quarti di loro sono così studenti a tempo pieno mentre gli altri cercano di tenere insieme studio e lavoro. Poi c’è chi lavora e basta. Chi con lo studio, almeno per ora, ha chiuso. Sono in tutto il 23,6 per cento. E poi, ci sono i ragazzi più in difficoltà. L’undici per cento della generazione uscita dalla maturità nel 2009 cerca un impiego ma non lo trova. Sono loro a fare i prematuri conti con il permanere anche in Italia del mostro della disoccupazione. A loro si aggiunge un altro cinque per cento che ha smesso di studiare e un lavoro neppure lo cerca più.

Le traiettorie dei giovani sono molto diverse a seconda delle superiori che hanno frequentato. Il settanta per cento di quelli che sono stati al liceo, a un anno dal diploma, si impegnano solo negli studi universitari. Un altro 22 per cento è uno studente-lavoratore. Molto diverse le proporzioni negli altri casi. Va all’università il 51,6 per cento dei diplomati degli istituti tecnici e il 21,4 per cento degli istituti professionali. Così come sono diverse le proporzioni di quelli che a un anno dal diploma hanno già un impiego: il 53 per cento dei giovani usciti dagli istituti professionali, il 28 per cento dai tecnici e solo il 4 per cento dei liceali. Allo stesso tempo, i ragazzi degli istituti professionali sono quelli che più di altri stanno soffrendo la disoccupazione o lo “scoraggiamento”: il 25,6 per cento di loro sono in questa condizione. Tanti sono anche i ragazzi dei tecnici senza un impiego o che non lo cercano (il 19,7 per cento). “Il successo formativo del sistema scolastico secondario superiore – dice Andrea Cammelli – non si misura solo dall’esito finale dell’Esame di Stato, ma anche e soprattutto sulla capacità di inserimenti professionali o formativi di alto livello qualificati, dove sia certificato e valorizzato il sapere come il saper fare. Capire quali scelte, al di là delle intenzioni e dei desideri, i diplomati hanno compiuto per davvero, quali strade hanno seguito o abbandonato a uno e tre anni dal conseguimento del titolo, è una sfida importante perché incide sul miglioramento del sistema scolastico, sulle politiche all’istruzione, e sull’orientamento”.

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HANOI, IN DEMOLIZIONE LA CASA DELLE SUORE DELLA CONGREGAZIONE DI SAN PAOLO, CENTRO PER I DISAGIATI

ESTERI (Hanoi) – Rischia di essere demolita la ad Hanoi, che attualmente ospita opere assistenziali per giovani donne, una residenza per bambini orfani o disabili ed un dispensario per i poveri. Le autorità locali hanno annunciato che sulla loro proprietà sorgerà un ospedale. Una scelta apparentemente irrazionale dalla quale si aspettano le reazioni dell’arcivescovo della capitale e della Commissione giustizia e pace per permettere alle suore di continuare la loro missione e contribuire così allo sviluppo del Paese.

Creata nel 1883, la Congregazione di Saint Paul di suore vietnamite ha la sua sede principale a Hanoi, al n. 37 di Hai Bà Trưng Street, Tràng Tiền Ward, Hoàn Kiếm District. Da allora, e anche durante la guerra, le suore hanno sempre svolto attività pastorali, servizi sanitari e sociali per la popolazione di Hanoi e contribuito alla costruzione della nazione. Il nome della strada, Hai Bà Trưng, è quello di due donne che hanno sfidato l’invasione del regime feudale cinese e quello del distretto, Hoàn Kiếm, indica la restituzione a Dio della spada magica con la quale l’imperatore Lê Lợi, eroe della tradizione vietnamita, vinse gli aggressori e l’espansionismo della dinastia Ming. Al momento della sua istituzione, la congregazione aveva 200 suore che si dedicavano ad attività pastorali e sociali per i poveri, sparse in tutto il nord del Paese. Nel 1954, la maggior parte delle suore si rifugiarono a Da Nang e Saigon. Rimasero, come testimoni, in 11, 10 delle quali sono morte, mentre una, ancora vivente, ha 100 anni. “In quel periodo – ricorda suor T. – la situazione nel nord era davvero difficile. La gente viveva in grandi difficoltà, ovunque guerra e bombardamenti, vita e morte.

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GIORNATA DELLA DIVINA MISERICORDIA:CHIESA THAILANDESE PREGA GIOVANNI PAOLO II PER LA PACE NEL PAESE

ESTERI (Bangkok) – “Benedica le nostre famiglie e dia pace alla Thailandia”: queste le parole del cardinale Michael Michai Kitbunchu, arcivescovo emerito di Bangkok, durante la celebrazione della giornata della Divina Misericordia nella cattedrale dell’Assunzione a Bangkok. La cerimonia, celebrata in occasione della beatificazione di Giovanni Paolo II,ha rappresentato un momento di unione con la Chiesa universale. Nominato cardinale nel 1983 da Giovanni Paolo II nel quinto anno del suo pontificato, Kitbunchu, nella sua omelia, ha affermato: “oggi i cattolici in Thailandia si uniscono alla Chiesa universale per dichiarare pubblicamente al mondo che Giovanni Paolo II è celebrato per la sua santità, la sua fede, e un testimone della fede in Dio. Siamo fortunati di essere in questa cattedrale dove Giovanni Paolo II si è incontrato con i sacerdoti, i religiosi e i fedeli”.

Inoltre, nel corso dell’omelia, l’arcivescovo di Bankok ha invitato i fedeli “a sopportare ogni tipo di genere di prove temporali nelle nostre vite restando fedeli alla verità, alla speranza e alla fede in mezzo a tutte le difficoltà legate alla nostra società presente. Ringraziamo Dio nei tempi difficili, qualunque siano le difficoltà, salute, economia e così via. Non scoraggiatevi, ma rimanete forti nell’amore provvidenziale di Dio per voi”. Ha, poi, aggiunto: “Il popolo thailandese è vicino al beato Giovanni Paolo II sin da quando sua Santità ha visitato la Thailandia nel 1984. In quel momento alcuni non cattolici mi chiedevano perché il papa è così grande per i cattolici. Ho risposto perché il papa, capo della Chiesa universale, ci ama, e noi dobbiamo ricambiare il suo amore”.

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DALLA CARITAS 2.500 POSTI IN 93 DIOCESI ITALIANE PER ACCOGLIERE PROFUGHI E IMMIGRATI

CHIESA CATTOLICA (Roma) – Duemilacinquecento posti distribuiti in 93 diocesi sono a disposizione per l’accoglienza dei profughi che i conflitti in Nord Africa stanno spingendo sulle coste italiane. Lo ha annunciato il segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), mons. Mariano Crociata, illustrando oggi a Roma in conferenza stampa il comunicato finale del Consiglio permanente dell’organismo dei Vescovi italiani, svoltosi dal 28 al 30 marzo scorsi. Le strutture disponibili per l’accoglienza nelle Diocesi italiane afferiscono direttamente o indirettamente alle Caritas; duecento posti sono stati trovati nella “Casa della fraternità” dell’Arcidiocesi di Agrigento, “la più esposta – ha spiegato Crociata – all’emergenza profughi per la presenza nel suo territorio dell’isola di Lampedusa e, per questo, anche la più sostenuta da Caritas italiana”.

Si tratta di un segno concreto, ha affermato mons. Crociata, che si accompagna “all’incoraggiamento all’accoglienza verso persone che rischiano la vita, non solo per venire in Italia ma già nei Paesi d’origine, che la Chiesa italiana rivolge a tutti”. Anche all’Europa. Infatti, “un coinvolgimento degli altri Paesi dell’Unione, sia per quanto riguarda l’emergenza immediata che per le esigenze di più lunga durata, rappresenta un test del livello di tenuta dello stesso processo di unificazione europea che non può essere limitato all’aspetto economico, ma deve investire soprattutto quello sociale”. Un “metodo” quindi, quello del coinvolgimento dei Paesi europei, per creare “una cultura condivisa”. Significativo il richiamo del Card. Bagnasco alla “necessità che l’Europa che è, non da oggi, in debito verso l’Africa sappia evitare l’illusione di poter vivere sicura chiudendo le porte al grido dei popoli in difficoltà: soltanto autentiche politiche di cooperazione potranno assicurare a tutti sviluppo e pace duratura”. A questo riguardo “la Chiesa in Europa non è insensibile”, ha affermato mons. Crociata, preannunciando un intervento del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee sull’emergenza umanitaria determinata dalle tensioni politiche in Nord Africa.

Sull’intervento militare in Libia “la preoccupazione costante dei Vescovi – ha sottolineato Crociata – è stata la tutela dei civili inermi e dei più deboli, che muta a seconda delle circostanze”, nella convinzione che “vada perseguita la strada della diplomazia come premessa per individuare una ‘via africana’ per il superamento dei conflitti”. Nel corso dei lavori del Consiglio permanente, “alla lettura credente del momento presente” si è accompagnata la “valutazione del momento culturale in Occidente”, che “riguarda anche il modo di reagire a queste situazioni di crisi”. La tentazione di chiudersi nel particolare e nel privato, frutto di un “paradigma antropologico che sostituisce la persona con l’individuo”, interpella, secondo mons. Crociata, “il nostro sforzo educativo”, richiamando alla necessità di “aprire a una visione più ricca dell’essere umano non solo come individuo ma come essere sociale”. In questa temperie culturale si inserisce il problema demografico, al quale sarà dedicato il prossimo
Rapporto del Progetto culturale della CEI.

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MINORI IN CARCERE, INTERVISTA A PADRE GRECO: “È ANCORA EMERGENZA EDUCATIVA”

MINORI (Roma) – Dopo la riforma del codice di procedura penale minorile del 1988, il carcere per i ragazzi autori di reati è divenuta ormai un rimedio estremo. Eppure, gli istituti penali per minorenni sono diventati dei luoghi di marginalità sociale in cui finiscono solo stranieri, rom e ragazzi del Sud d’Italia. Questa la fotografia scattata dall’associazione Antigone, che ha redatto il “Primo rapporto sugli istituti penali minorili”, un dossier che racconta di un sistema che funziona bene, anche se non per tutti. L’associazione ha confrontato le denunce, gli ingressi nei 27 centri di prima accoglienza – che ospitano i minorenni fino a 96 ore dopo l’arresto – e le presenze nei 19 istituti penali del territorio italiano: i numeri dicono che gli stranieri sono una minoranza tra i denunciati, ma una maggioranza nelle case circondariali. Mariaelena Finessi di Zenit ha intervistato padre Gaetano Greco, cappellano da trent’anni al carcere minorile romano di Casal del Marmo, che ci spiega la situazione delle carceri minorili italiane.

D – Dal 1998 al 2010 i minori stranieri che infrangono le regole sono diminuiti del 60%, eppure c’è una sovrarappresentazione nei cosiddetti “luoghi di privazione della libertà”, dove finiscono con l’eguagliare se non addirittura superare la componente dei minori italiani. Può spiegarne il senso?

R – Padre Greco: Il fatto è che i minori stranieri non usufruiscono di tutta la gamma delle pene alternative al carcere. Ad esempio, non avendo molto spesso una famiglia alle spalle qui in Italia, non possono tornare nelle proprie abitazioni oppure quando usufruiscono della comunità, vi si allontanano e allora i magistrati tendono a non concedere una seconda volta questo genere di misura, confermando per loro la pena detentiva.

D – Qual è la composizione dei minori nell’istituto penale minorile di Casal del Marmo, dove lei è cappellano? Antigone spiega nel dossier che i ragazzi sono in maggioranza rom e che, quando sono italiani, provengono dalle periferie delle grandi città del Sud.

R – Anche a Roma la maggioranza, è vero, è fatta di stranieri, perlopiù rom della Romania. C’è però un nuovo elemento, ossia il ritorno massiccio degli italiani in carcere, anche qui – ipotizzo – per via del non rispetto delle misure alternative da parte dei ragazzi che si allontanano dalla comunità alla quale sono stati assegnati. Che siano invece del Sud questo non lo condivido, a meno che intendiamo i migranti meridionali di lungo corso, non certamente degli ultimi anni. E che provengano dalle periferie delle città, questo sì. Specie quelle difficili e degradate, come è Tor Bella Monaca a Roma, o l’ex Bastogi o il Laurentino 38.

D – Padre, su chi pensa debbano ricadere le responsabilità dello sbandamento dei giovani?

R – Viviamo una situazione nuova, forse inaspettata ma è ciò che accade quando non ci si assume la responsabilità delle proprie azioni, dei propri gesti. Il nodo fondamentale è la deresponsabilizzazione degli adulti, comprese le agenzie di formazione, che ad un certo momento hanno cominciato a sentire di meno il senso della propria missione e del proprio ruolo nei confronti dei ragazzi, lasciandoli in balia delle proprie fragilità.

D – È dunque vero che c’è una contrazione del volontariato in carcere?

R – Dando per assodato e consolidato ciò che di buono è stato fatto e continua a farsi, non può essere negata una minore attenzione verso i ragazzi detenuti. È anche questo un aspetto di una società che vive una profonda crisi valoriale, dove a prevalere sono gli egoismi. Riemerge dunque oggi un elemento che è proprio dell’uomo a cui è venuto meno il senso di appartenenza ad una collettività.

D – È l’emergenza educativa di cui parla più volte Benedetto XVI, come ad esempio nella Lettera inviata nel 2008 alla diocesi e alla città di Roma, nella quale scrive che la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa è la «crisi di fiducia nella vita» o, come scrive al cardinale Bagnasco, presidente della Cei, nell’ottobre 2010, là dove si riconosce la «fatica di tanti adulti nel concepirsi e porsi come educatori».

R – Esatto. Questo documento ha illuminato una realtà che molti non hanno voluto vedere. Il cardinale Bagnasco ha fatto suo l’appello del Santo Padre e la Cei ne ha preso atto nel redigere il documento conclusivo della 46esima Settimana sociale. E così nei prossimi dieci anni l’impegno della Chiesa, e mi auguro della società tutta, andrà in questa direzione: ridare vigore alla formazione. L’augurio è che ciascuno di noi si senta responsabile e provi a porre rimedio al degrado educativo in cui siamo caduti. Lo dobbiamo ai ragazzi, questo è ovvio, ma anche della nazione. In fondo sono loro il nostro futuro.

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IL CASO: COSÌ IL CARDINALE BAGNASCO RISOLVE IL “CONFLITTO” TRA SCIENZA E FEDE

CHIESA CATTOLICA (Perugia) – «Noi siamo convinti che esiste una verità e tale verità è oggetto della ricerca scientifica». Ad affermarlo non è uno scienziato preso dal fervore della sua ricerca, tantomeno un filosofo positivista: è un passaggio dell’intervento che il Cardinale Angelo Bagnasco ha tenuto venerdì scorso a Perugia sul rapporto tra scienza e fede. Forse potrà sorprendere qualcuno, ma non è affatto una novità che il magistero della Chiesa, superate le note difficoltà di quattro secoli fa, sostenga con decisione ed entusiasmo la scienza come genuino valore di conoscenza, di contemplazione e di uso della natura per il bene dell’uomo. E in questi quattrocento anni, la scienza moderna ha dimostrato di avere molte frecce al suo arco per lottare alla conquista dei segreti del mondo fisico in tutte le sue manifestazioni, dalle sfuggenti particelle elementari, alla complessità delle strutture biologiche, alla grandiosa evoluzione dell’universo nel suo insieme.

Ma con altrettanta chiarezza Bagnasco, anche qui in piena continuità con la tradizione cattolica, ha sottolineato il fatto che il metodo scientifico non esaurisce la possibilità di conoscenza di ciò che è reale. È la nostra stessa esperienza, del resto, a mostrarci che la ragione umana non si comporta come un monolite nella sua tensione a conoscere la realtà, ma utilizza approcci diversi a seconda dell’oggetto dell’indagine: «Alla differenziazione degli oggetti corrisponde una differenziazione dei metodi». Non abbiamo bisogno di fare un’analisi chimico-fisica del DNA, ad esempio, per avere la conferma che è giusto che uomini e donne abbiano gli stessi diritti civili: è questa una verità filosofica. Così la scienza ci può dire qualcosa sul meccanismo geofisico che ha provocato lo tsunami in Giappone, e speriamo che un giorno (che purtroppo si preannuncia ancora lontano) sia in grado di fare previsioni che ci consentano di prevenire i devastanti effetti di questi fenomeni. Ma di certo nessuna analisi scientifica potrà dirci qualcosa davanti al dolore delle madri che hanno perso i loro figli sulle spiagge di Sendai, o sul senso della vita di chi, come noi, è sopravvissuto. La scienza non sa rispondere alle domande brucianti e inevitabili sul significato ultimo delle cose e sul destino della singola persona: è questo il terreno della fede.

A questo punto normalmente si cambia registro e si dice che la fede non attiene al “conoscere” la realtà, ma al “credere” in qualche cosa. Essa quindi non avrebbe niente a che fare con la ragione e con il giudizio: saremmo nel campo della scelta arbitraria, del sentimento, della pura opinione. Bagnasco, invece, nel suo intervento, prende una via diversa: egli identifica la fede, nel suo livello basilare, con una forma o metodo particolare di conoscenza. «Ogni uomo vive di “fede”, più esattamente di “fiducia”: è infatti un atteggiamento di base, che appartiene alla vita stessa. Ognuno, per vivere, deve fidarsi degli altri, deve accettare moltissime cose senza verificarle di persona». E in effetti è ragionevole affermare come vero qualcosa che afferma un altro, nel momento in cui abbiamo ragioni adeguate per stabilire la credibilità del testimone. «Si intrecciano il riferimento a qualcuno che conosce una cosa e che è persona qualificata e degna, la testimonianza della fiducia di altri, e, infine, una certa verifica nella nostra esperienza quotidiana». Occorre naturalmente allenamento al giudizio e al senso critico per esercitare bene tale “conoscenza per fede”, nell’applicare la quale non siamo infallibili come del resto non lo siamo quando applichiamo altri metodi di conoscenza. Ma si tratta, continua Bagnasco, di «un fondamento senza il quale nessuna società potrebbe sopravvivere, e innanzitutto nessuna persona». In effetti, anche il procedere della scienza si appoggia pesantemente sulla capacità criticamente assunta di “conoscere per fede”. Sarebbe, infatti, impossibile, oltre che irrazionale e persino ridicolo, pretendere di ripetere direttamente tutti gli esperimenti e le osservazioni che altri hanno condotto prima di noi, invece che fidarsi del lavoro riportato da altri.

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UN MINORE SU 4 MENO IMBARAZZATO SE «PARLA» ON-LINE

EUROPA – Per un quarto dei ragazzi italiani dagli 11 ai 16 anni è più facile essere se stessi su internet piuttosto che di persona. Il dato sconcertante che dovrebbe indurre a riflettere genitori ed educatori emerge dal progetto europeo “Eu kds on-line II” che ha raccolto le interviste di un campione di oltre 25mila studenti e altrettanti genitori. In occasione della giornata mondiale della sicurezza on-line cerchiamo di capire come viene percepita e utilizzata la rete dai più giovani e quali sono i pericoli a cui sono esposti. In base alla ricerca emerge che i ragazzi italiani usano internet per svolgere attività utili e divertenti, allacciare nuovi legami di amicizia e di intimità o coltivare quelli vecchi.

Un terzo di loro riesce a parlare di più cose su internet rispetto a quando si trovano con qualcuno di persona. Mentre il 19% parla on-line di cose private che non condivide di persona con altri. Internet un pericoloso surrogato dei rapporti personali diretti? Secondo la ricerca non è così. Per “Eu kids on-line” opportunità e rischi della rete sono fortemente connessi. Perciò quello che può essere divertente per qualcuno può risultare rischioso per un altro.

Bisogna considerare che sperimentare ed esprimere la propria personalità è un po’ l’essenza dell’adolescenza. Dunque i ragazzi che dicono che è “abbastanza vero” che è più facile esprimere se stessi on-line (20%) potrebbero semplicemente sfruttare le opportunità offerte dalla rete. Magari perché discutere di questioni personali on-line è meno imbarazzante. È invece fonte di qualche preoccupazione il fatto che per il 5% dei ragazzi italiani è “molto vero” che è più facile essere se stessi on-line. La risposta potrebbe essere che hanno qualche problema nelle relazioni interpersonali faccia a faccia oppure perché passano molto, troppo tempo al computer. In base alla ricerca emerge che non tutti hanno buoni rapporti con i coetanei.

Così l’11% non si sente ben accettato, mentre il 38% solo in parte (dichiarando un “abbastanza”). Sono i ragazzi che hanno maggiori difficoltà relazionali a sentirsi più se stessi on-line. Proprio per questo secondo gli esperti questi soggetti sembrano essere i più vulnerabili e quindi più esposti a pratiche rischiose. In effetti il 57% di coloro secondo cui è più facile essere se stessi on-line che di persona ha cercato negli ultimi dodici mesi nuovi amici in rete, il 40% ha aggiunto alla lista degli amici o dei contatti persone mai incontrate off-line, il 16% ha inviato informazioni personali a persone che non ha mai visto, il 14% ha finto di essere un’altra persona e il 16% è stato in contatto su internet con persone mai incontrate off-line.

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BENEDETTO XVI APPROVA IL DECRETO, GIOVANNI PAOLO II SARÀ BEATO IL PRIMO MAGGIO 2011

CITTA’ DEL VATICANO – Giovanni Paolo II sarà beatificato il prossimo primo maggio. La cerimonia sarà celebrata inVaticano e sarà presieduta da Benedetto XVI. La data è stata ufficializzata questa mattina, con la firma da parte del Papa del decreto di Beatificazione, nel quale figurano anche i nomi di altri prossimi candidati agli onori degli altari, tra i quali il prof. Giuseppe Toniolo – fondatore della Settimana sociale dei cattolici italiani – e cinque suore bosniache uccise in odio alla fede. Certamente, la notizia che sta facendo velocemente il giro del mondo riguarda la figura di Papa Wojtyla, spentosi il 2 aprile 2005 e giunto al traguardo della Beatificazione dopo il riconoscimento di un miracolo avvenuto poco dopo la sua morte, riguardante una suora francese. Al microfono di Roberto Piermarini, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato, parla del miracolo attribuito a Giovanni Paolo II e del modo in cui si è sviluppato l’iter della Causa:

R. – Dico subito che questa Causa ha avuto due facilitazioni. La prima riguarda l’esonero pontificio dall’attesa dei cinque anni per il suo inizio, e la seconda il passaggio per una corsia preferenziale, che non la mettesse in lista di attesa. Però, per quanto riguarda il rigore e l’accuratezza procedurale non ci sono stati sconti. La causa è stata trattata come le altre, seguendo tutti i passi previsti dalla legislazione della Congregazione delle Cause dei Santi. Anzi, se posso avanzare una mia prima constatazione, proprio per onorare degnamente la memoria di questo grande Pontefice, la causa è stata sottoposta a uno scrutinio particolarmente accurato, per fugare ogni dubbio e superare ogni difficoltà.

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VESCOVI EUROPEI E USA A GERUSALEMME: PIÙ SOLIDARIETÀ PER I CRISTIANI IN MEDIO ORIENTE

GERUSALEMME – Prosegue il viaggio in Terra Santa del Gruppo di Coordinamento delle Conferenze episcopali di Europa e Nord America, nei luoghi di Gesù per la loro annuale missione di sostegno alla comunità cristiana locale. Dopo le tappe di Betlemme, Gerico, Nablus e sul fiume Giordano, oggi i vescovi sono giunti a Gerusalemme. Qui, il patriarca latino Fouad Twal ha affermato – riferisce il Sir – che la minoranza cristiana è preoccupata “per i due estremismi, quello islamico con i suoi attacchi contro le chiese e i fedeli, e quello della destra israeliana che invade sempre di più Gerusalemme cercando di trasformarla in una città solo ebraica, escludendo le altre fedi”. “La nostra gente – ha proseguito – ha bisogno di passi concreti nel campo della giustizia, della pace e della dignità, ha bisogno di essere maggiormente coinvolta. Ormai non crede più alle parole di tante personalità”. Partecipa alla visita del gruppo di Coordinamento anche mons. Joan Enric Vives Sicilia, vescovo di Urgell, in Spagna, e coprincipe di Andorra. Sergio Centofanti lo ha intervistato:

R. – E’ molto importante dare appoggio a queste piccole Chiese. Quest’anno la sfida è più ecumenica degli altri anni. Gli ortodossi hanno cominciato le celebrazioni del Natale; oggi siamo andati tutti a portare le nostre felicitazioni al Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme e a tutti i rappresentanti delle altre Chiese che sono presenti in Terra Santa.

D. – Quale situazione avete trovato? Come stanno i cristiani in Terra Santa?

R. – Sono sotto shock per le violenze anticristiane a Baghdad e in Iraq in generale, e poi in particolare per quelle nella Chiesa copta di Alessandria in Egitto. Siamo preoccupati per loro, per la situazione dei cristiani che si trovano in minoranza negli Stati del Medio Oriente. Abbiamo, però, trovato anche tanta speranza: la gente è coraggiosa ed è molto consapevole di quello che deve fare, e cioè: restare qua. In molti sono preoccupati per le difficoltà della vita quotidiana, per la mancanza di lavoro: sono problemi molto concreti e drammatici. Ma ciò nonostante, conservano la speranza. Vogliamo condividere questa speranza con loro, perché quando la fede si confronta anche con il martirio diviene più forte, diviene più grande. Questa è l’esperienza che questi cristiani, nostri fratelli e sorelle, condividono con tutti noi, cristiani d’Occidente, che siamo più stanchi…

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OGGI LA GIORNATA MISSIONARIA DEI RAGAZZI PER AIUTARE I COETANEI PIÙ IN DIFFICOLTÀ

ROMA – La Giornata missionaria dei ragazzi, che si celebra oggi in molti Paesi del mondo, invita i più giovani a intensificare il loro impegno di annuncio e di solidarietà verso i coetanei vicini e lontani. “Tanti bambini e ragazzi – come ha ricordato stamani Benedetto XVI dopo l’Angelus – formano una rete spirituale e di solidarietà per aiutare i loro coetanei più in difficoltà”. E’ importante – ha aggiunto il Papa – che crescano con sentimenti di amore superando l’egocentrismo e il consumismo. La “Giornata” è anche occasione di approfondimento del significato dell’Epifania.

Ma come viene vissuta dai ragazzi? Adriana Masotti l’ha chiesto a Baptistine Ralamboarison, segretario generale della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria, organismo che promuove l’iniziativa.

R. – I bambini fanno una sintesi – se così si può dire – di tutte le iniziative che hanno avviato, delle azioni da loro intraprese. Il culmine di questa giornata dell’infanzia è la celebrazione eucaristica, durante la quale viene fatta – da parte loro – una colletta che rappresenta la concretizzazione di quello che sentono spiritualmente e che va ad alimentare il Fondo universale dell’infanzia.

D. – Questa colletta, poi, serve a finanziare tanti progetti: può farci qualche esempio?

R. – L’Infanzia missionaria, grazie allo sforzo e ai sacrifici dei bambini, finanzia circa 2.500 progetti l’anno. Siamo vicini ad una cifra pari a 20-22 milioni di dollari. I progetti che finanziamo sono soprattutto progetti destinati a risvegliare il senso missionario dei bambini, perché questo è lo scopo dell’Opera, attraverso la pastorale ordinaria che va intrapresa in ogni diocesi proprio per far prendere coscienza al bambino del ruolo che ha nella Chiesa. Ci sono poi anche progetti di formazione scolastica, essendo le scuole cattoliche uno strumento eccellente per l’evangelizzazione; ma ci sono poi quei progetti che noi chiamiamo di “protezione della vita” e che riguardano gli orfanotrofi, i centri per handicappati, i centri di accoglienza. Laddove c’è bisogno, cerchiamo di dare un aiuto affinché i bambini possano avere un piccolo capitale per realizzare il loro progetto.

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BEATO TU CHE LAVORI. GLI EFFETTI DI UN LICENZIAMENTO DAL PUNTO DI VISTA RELAZIONALE

LAVORO – Abbiamo parlato più volte di crisi del lavoro, disoccupazione, precariato, povertà dei giovani, difficoltà a realizzare progetti, ad affermarsi, ad esprimere i propri talenti. Abbiamo ascoltato e riportato le paure di chi trascorre le giornate a scrivere curriculum, a leggere e rispondere agli annunci, ad andare a colloqui e tornare con il naso rotto per una porta in faccia sbattuta troppo violentemente, a inventarsi i mestieri più improbabili, a elemosinare soldi a genitori, zii, nonni e amici, a piangere lacrime di disperazione. Un po’ meno, forse, abbiamo parlato di chi un lavoro ce l’aveva e adesso non l’ha più, di chi credeva di aver trovato stabilità e sicurezza economica e adesso deve ricominciare tutto da capo.

Giovani coppie, con uno o più figli, in difficoltà a pagare le bollette, a onorare le scadenze del mutuo o di prodotti acquistati a rate, costrette a rinunciare anche a generi alimentari di prima necessità. Oppure persone meno giovani che – nel bel mezzo del cammin della loro vita, quando dovrebbero tirare il fiato – sprofondano in drammi che inevitabilmente coinvolgono i figli ormai cresciuti ma ancora studenti, più che mai bisognosi di aiuto e sostegno. Cresce la quota di famiglie che dichiara di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà. Si affacciano alla povertà individui appartenenti a categorie sociali che fino a poco tempo fa si sentivano tutelate. Nuovi poveri che restano occulti perché – come sottolinea la Commissione d’indagine sull’esclusione sociale (Cies) – “non chiedono e non si espongono: si vergognano, sono restii a raccontarsi perché sono ancora troppo immersi nelle loro difficoltà, provano disorientamento e spiazzamento, non sanno orientarsi nella rete dell’aiuto, sono del tutto impreparati e reagiscono con una forma ansiosa nel modo di rapportarsi con la famiglia e il contesto sociale di riferimento”. Sono sempre più frequenti depressioni, esaurimenti, patologie mentali in giovanissimi, giovani e adulti. Gli effetti di un licenziamento o della disoccupazione, dal punto di vista relazionale, sono devastanti. Intere famiglie si chiudono e soffrono in solitudine, piene di sensi di colpa e di vergogna, quando invece avrebbero bisogno di una rete sociale che li accolga, che faccia venire allo scoperto quel disagio sommerso – quindi ancora più distruttivo – che colpisce sempre più le famiglie “normali”, in difficoltà a riconoscere tale disagio e a chiedere aiuto prima che esso abbia superato la soglia critica. Non diamo i numeri che ogni giorno i media diffondono per aggiornare il quadro della crisi, non riportiamo i dati dell’ennesima indagine. Non ce n’è bisogno, perché se ci soffermiamo a riflettere e ci guardiamo bene intorno ci accorgiamo che la vicina anziana da un po’ di tempo ti chiede i giornali non per leggerli ma per accendere il fuoco nella stufa a legno, perché il riscaldamento non lo può pagare. Se ci interessiamo agli altri, scopriamo che la tal famiglia di stranieri che si è trasferita nella casa di fronte non ha abbastanza da mangiare perché lui non ha lavoro e i soldi di lei come colf non bastano per sfamare i suoi bambini.

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BENEDETTO XVI: “OGNI GMG È UN AUTENTICO REGALO” . IL PAPA RISPONDE ALLE TUE DOMANDE

LUCE DEL MONDO – Nel nuovo libro La Luce del mondo, il Papa risponde alle tue domande: Che cosa provò quando fu eletto Papa? Come prega da quando è stato nominato Pontefice? Come ha affrontato il tema degli scandali sessuali? Come arrestare l’AIDS in Africa? Cosa ne pensa delle Giornate Mondiali della Gioventù? Qual è la principale sfida per i cristiani oggi? Benedetto XVI risponde alle domande del giornalista tedesco Peter Seewald nel suo nuovo libro-intervista La luce del mondo. Tra molti altri temi, il Papa parla delle Giornate Mondiali della Gioventù, delle quali ha detto che da quando furono create si sono trasformate in “un autentico regalo”. Come se si trattasse di una conversazione vis-a-vis, il Papa rivela le sue preoccupazioni, i pensieri e i modi di essere più intimi. Di seguito proponiamo un estratto di alcuni “passaggi”.

Giornate Mondiali della Gioventù

“Quando penso a quanti giovani trovano in queste giornate un nuovo punto di partenza e vivono poi spiritualmente da quel momento, a quanta allegria resta dopo l’evento, ma anche a quanto raccoglimento c’è durante le Giornate, devo dire che lì succede qualcosa che non creiamo noi”. Le Giornate Mondiali della Gioventù non sono un puro atto di massa, e così lo percepiscono tutti coloro che si trovano implicati in esse: “In Australia ci si aspettava grossi problemi di sicurezza, difficoltà, conflitti, tutto quello che succede in manifestazioni di massa. C’era inquietudine e un atteggiamento critico. Alla fine, però, la polizia era entusiasta, e tutti erano contenti perché non si era verificato alcun incidente”. Il segreto? “Semplicemente, ci spinse l’allegria comune della fede e ciò rese possibile che centinaia di migliaia di persone rimanessero in silenzio, unite al Santissimo Sacramento. In questo raccoglimento e in questa allegria, nel godimento interiore e nell’incontro autentico, nella assenza di criminalità e in tutto il resto, accade qualcosa di estremamente meraviglioso, qualcosa molto diverso da ciò che di solito succede negli eventi di massa”. Conclude: “E da Sidney continuano a prodursi effetti, come per esempio, le vocazioni al sacerdozio. Credo che con le Giornate Mondiali della Gioventù si è trovato qualcosa che aiuta tutti (…) La Spagna è sempre stata uno dei grandi Paesi cattolici con vitalità creativa. Se Dio vuole, entrerò di nuovo in contatto con lui nella Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid.

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AMARE CON CORAGGIO E SINCERITÀ CRISTO E LA CHIESA: COSÌ IL PAPA ALL’UDIENZA GENERALE

CITTA’ DEL VATICANO – Il Papa ha dedicato l’udienza generale di stamani, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, a santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa, Patrona d’Italia e d’Europa. Si tratta di una donna – ha detto il Papa – che ci insegna ad amare con coraggio Cristo e la Chiesa.

Benedetto XVI ricorda come santa Caterina visse durante la travagliata epoca del 14.mo secolo, illuminando un periodo critico “per la vita della Chiesa e dell’intero tessuto sociale in Italia e in Europa”. “Anche nei momenti di maggiore difficoltà, il Signore non cessa di benedire il suo Popolo, suscitando Santi e Sante che scuotano le menti e i cuori provocando conversione e rinnovamento”. Caterina, terziaria domenicana e semi-analfabeta, era una mistica d’azione, tra estasi e missioni di pace nel continente europeo. E in questo contesto, il Papa rinnova il suo appello all’Europa a non dimenticare le sue radici cristiane. Con le sue energiche esortazioni la Santa riuscì a far tornare i Papi a Roma da Avignone. Nello stesso tempo si dedicava ai più umili, i poveri, i malati, i carcerati. Attorno a Caterina – sottolinea Benedetto XVI – si andò costituendo una vera e propria famiglia spirituale e in molti la chiamavano “mamma”. “Anche oggi – ha aggiunto – la Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate”.

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“FARE PARTI UGUALI FRA DISEGUALI È INGIUSTO”: COSÌ DON MILANI BOCCIA LA POLITICA DEL MINISTERO…

SCUOLA – Premiare l’eccellenza! Curarla, prestarle attenzione, favorirla ed infine premiarla. Sembrano essere queste le nuove parole d’ordine della politica scolastica. Di questo si parla nei buoni salotti dell’alta pedagogia ed anche nelle stanche sale insegnanti di molte scuole. Se ne parla con convinzione. A volte con un tocco d’enfasi, quasi a volersi liberare finalmente da quell’equivoco egualitarista che, al di là delle buone intenzioni, tanto danno ha fatto nel recente passato. Il “siamo tutti uguali” e “a tutti devono essere date le stesse opportunità” nei fatti si è trasformato nel più grande equivoco della nostra storia scolastica recente. Il riferirsi poi alla straordinaria avventura pedagogica ed umana della scuola di Barbiana, il prenderla a modello, a riferimento come paradigma di questo egualitarismo, è stato un errore grave di superficialità e di non comprensione. Bastava ascoltare con più attenzione le parole di quel prete toscano per capire che si stava fraintendendo il suo messaggio e che “fare parti uguali fra diseguali è ingiusto” e dunque sbagliato. A tutti deve essere dato secondo necessità, rispettando le caratteristiche, le difficoltà e le potenzialità di ognuno. A partire da quei sei piccoli montanari di Barbiana, timidi ed ignoranti. Fare scuola con loro voleva dire occuparsi, farsi carico, uno per uno di Michele, di Gosto, di Carlo, di Silvano, di Giancarlo e di Aldo.

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NON METTIAMO I RAGAZZI IN CONDIZIONE DI MENTIRE PER “LIBERARSI” DI NOI

SCUOLA – “Io e te”. Si intitola così l’ultimo libro di Niccolò Ammaniti in cui viene narrata la vicenda di Lorenzo, quattordicenne in difficoltà con sé e con gli altri. Dove gli altri, per suo esplicito dire, sono “tutti quelli che non erano mia madre, mio padre e nonna Laura”. Peccato che non ci sia nessun vero tu in questa vicenda, ossia nessun personaggio reale che guardi davvero a Lorenzo per quello che è: un soggetto di desideri, messi in crisi. Il pronome del titolo si riferisce piuttosto a una sorellastra di qualche anno maggiore, tossicodipendente e bugiarda, il cui ingresso in scena dovrebbe concedere una svolta decisiva a una storia di per sé un po’ sconclusionata e poco credibile. Lorenzo ha mentito ai suoi genitori millantando un invito per una settimana bianca da parte di una compagna di classe che probabilmente non sa nemmeno se lui esiste; così, dentro una bugia ormai irrevocabile decide di simulare una partenza e trascorrere l’intera settimana nascosto nella cantina del suo palazzo. Nella vita solitaria, a solo tre piani sotto i suoi che lo credono a Cortina, irrompe dopo pochi giorni la sorellastra Olivia, ventitreenne, preda di una crisi di astinenza. Qualche attimo di tenerezza fra i due, legato a ricordi infantili, emotivamente coinvolgente e anche ben narrato, assume le sembianze nel racconto di un rapporto, di un fatto significativo capace di generare un cambiamento positivo. Eppure ben presto, il lettore accorto, intuisce che non sta accadendo nulla.

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SETTIMANA SOCIALE. IL PAPA: TUTELARE VITA E FAMIGLIA. AUSPICATA UNA NUOVA GENERAZIONE DI POLITICI

46ª SETTIMANA SOCIALE – “Il bene comune è ciò che costruisce e qualifica la città degli uomini, il criterio fondamentale della vita sociale e politica”. Così il Papa nel messaggio inviato al cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, in occasione della 46ª Settimana sociale dei cattolici italiani che si è aperta ieri pomeriggio a Reggio Calabria, dal titolo “Un’agenda di speranza per il futuro del Paese”. Il Papa guardando alle difficoltà socio economiche ha rimarcato la centralità della Famiglia, l’importanza dell’integrazione e rilanciato la sfida culturale e politica dei cattolici.

E’ partendo dalle conseguenze della recente crisi finanziaria globale come il “propagarsi della disoccupazione e della precarietà” che favoriscono “la tentazione del ripiegamento e del disorientamento” che Benedetto XVI ha puntato l’accento sul concetto di bene comune, inteso nella sua accezione più ampia, esigenza di giustizia e di carità”. “Il problema non è soltanto economico – scrive il Papa – ma soprattutto culturale e trova riscontro in particolare nella crisi demografica, nella difficoltà a valorizzare appieno il ruolo delle donne, nella fatica di tanti adulti nel concepirsi e porsi come educatori”. Centrale – rimarca – “l’insostituibile funzione sociale” svolta dalla “famiglia, cuore della vita affettiva e relazionale”. Da qui il richiamo a tutti i soggetti istituzionali e sociali a sostenerla. “Tutti i cittadini” – sottolinea Benedetto XVI – sono chiamati a “uscire dalla ricerca del proprio interesse” e a maturare una “forte capacità di analisi, di lungimiranza e di partecipazione” e a non perdere la speranza nell’affrontare sfide come quella della tutela della “vita umana, dal concepimento alla sua fine naturale”, della difesa della “dignità della persona”, della salvaguardia “dell’ambiente” e della promozione”della “pace”.

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GERUSALEMME: L’UNITÀ E LA PACE AL CENTRO DELLA PREGHIERA QUOTIDIANA

GERUSALEMME – Sabato, 25 settembre 2010, alle ore 15, ora di Terra Santa, dopo le prime edizioni tenutesi rispettivamente presso le Chiese e comunità siriana ortodossa, luterana e greco melchita cattolica, la Chiesa ortodossa apostolica armena di Gerusalemme ospiterà, nella sua cattedrale di San Giacomo, la quarta preghiera straordinaria di tutte le Chiese per la Riconciliazione, l’Unità e la Pace, cominciando da Gerusalemme – chiamando tutti i cristiani nel mondo ad unirsi a lei, in una grande preghiera di intercessione a Dio Padre per il nostro tempo. Questa preghiera proveniente da Gerusalemme venne ispirata nel corso di una veglia di preghiera al Santo Sepolcro – il luogo stesso dove Cristo è morto e risorto – cinque anni fa. Trattasi di una solenne chiamata della Chiesa Madre, agente nella sua ricca diversità e in comunione, a tutti i cristiani nel mondo, ad unirsi con profonda fede in una preghiera di intercessione insistente e gioiosa, ogni sabato alle ore 18:00, ora locale. Essa si fonda sulla convinzione che il nostro tempo ha molto bisogno di una tale solenne preghiera da parte della Chiesa, come una volta la Chiesa praticava nei momenti di grandi prove e difficoltà, sulla chiamata dei suoi capi spirituali; che la comunione tra le Chiese in questa preghiera è un presupposto perché il Signore l’ascolti; e che questa comunione aumenterà molto la sua forza spirituale. L’atto volontario di pregare insieme per queste intenzioni, in un luogo così significativo per il cristianesimo, dove la mancanza di comunione tra i fratelli cristiani appare più evidente – costituisce di per sé un primo, ma fondamentale atto di conversione riguardo alla mancanza di Pace nella Chiesa. Un atto di conversione molto modesto, in verità, ma allo stesso tempo, immenso.

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I GIOVANI NON CERCANO SICUREZZA, MA UNA “VITA PIÙ GRANDE”. IL PAPA RACCONTA LA SUA GIOVENTU’

CITTA’ DEL VATICANO – La guerra e le difficoltà, i propri dubbi e l’incontro con Gesù sono alcune delle esperienze personali che Papa Benedetto XVI rivive nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid 2011, reso pubblico questo venerdì dalla Santa Sede. Nel testo, il Pontefice ripercorre gli anni della sua vocazione e propone la propria esperienza ai giovani, perché le aspirazioni di un giovane sono le stesse in ogni epoca e possono riassumersi nell’anelito a una “vita più grande” che non finisca nella mediocrità. I giovani, spiega, “sentono il profondo desiderio che le relazioni tra le persone siano vissute nella verità e nella solidarietà”. “Molti manifestano l’aspirazione a costruire rapporti autentici di amicizia, a conoscere il vero amore, a fondare una famiglia unita, a raggiungere una stabilità personale e una reale sicurezza, che possano garantire un futuro sereno e felice”.

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MESSAGGIO DEL PAPA AI GIOVANI IN VISTA DELLA GMG DI MDRID: LA CHIESA CONTA SU DI VOI!

CITTA’ DEL VATICANO – Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI invia ai giovani e alle giovani del mondo, in occasione della XXVI Giornata Mondiale della Gioventù che sarà celebrata dal 16 al 21 agosto 2011 a Madrid (Spagna): MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

“Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7)

Cari amici,

ripenso spesso alla Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney del 2008. Là abbiamo vissuto una grande festa della fede, durante la quale lo Spirito di Dio ha agito con forza, creando un’intensa comunione tra i partecipanti, venuti da ogni parte del mondo. Quel raduno, come i precedenti, ha portato frutti abbondanti nella vita di numerosi giovani e della Chiesa intera. Ora, il nostro sguardo si rivolge alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, che avrà luogo a Madrid nell’agosto 2011. Già nel 1989, qualche mese prima della storica caduta del Muro di Berlino, il pellegrinaggio dei giovani fece tappa in Spagna, a Santiago de Compostela. Adesso, in un momento in cui l’Europa ha grande bisogno di ritrovare le sue radici cristiane, ci siamo dati appuntamento a Madrid, con il tema: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). Vi invito pertanto a questo evento così importante per la Chiesa in Europa e per la Chiesa universale. E vorrei che tutti i giovani, sia coloro che condividono la nostra fede in Gesù Cristo, sia quanti esitano, sono dubbiosi o non credono in Lui, potessero vivere questa esperienza, che può essere decisiva per la vita: l’esperienza del Signore Gesù risorto e vivo e del suo amore per ciascuno di noi.

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