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“PREGARE È PARLARE CON DIO”, ALL’UDIENZA GENERALE BENEDETTO XVI INAUGURA UN NUOVO CICLO DI CATECHESI

BENEDETTO XVI (Città del Vaticano) – All’udienza generale di stamani in una Piazza San Pietro gremita di fedeli, Benedetto XVI ha iniziato una nuova serie di catechesi dedicata al tema della preghiera. L’uomo di tutti i tempi, ha osservato il Papa, prega perché “non può fare a meno di chiedersi quale sia il senso della sua esistenza”. Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha rivolto un pensiero speciale ai fedeli polacchi venuti a Roma per la Beatificazione di Giovanni Paolo II e, all’inizio del mese mariano, ha affidato alla Vergine i giovani, i malati e le famiglie. 

Pregare è parlare con Dio: è quanto sottolineato da Benedetto XVI, che nella sua prima catechesi dedicata alla preghiera ha rilevato come in tutti i tempi gli uomini si siano rivolti a Dio. Nelle prossime catechesi, ha rivelato dunque il Papa, cercheremo di imparare a vivere ancora “più intensamente il nostro rapporto con il Signore, quasi una ‘scuola di preghiera’”:

“Sappiamo bene, infatti, che la preghiera non va data per scontata: occorre imparare a pregare, quasi acquisendo sempre di nuovo quest’arte; anche coloro che sono molto avanzati nella vita spirituale sentono sempre il bisogno di mettersi alla scuola di Gesù per apprendere a pregare con autenticità”. 

Ed ha aggiunto che riceviamo la prima lezione dal Signore attraverso il suo esempio. I Vangeli ci descrivono, infatti, “Gesù in dialogo intimo e costante con il Padre: è una comunione profonda di colui che è venuto nel mondo non per fare la sua volontà, ma quella del Padre che lo ha inviato per la salvezza dell’uomo”. Ha così rilevato che pur con accenti diversi le antiche culture, dall’Egitto all’Antica Grecia, dalle religioni della Mesopotamia all’Antica Roma abbiano sempre espresso il desiderio di conoscere Dio. Il Papa ha citato Marco Aurelio che affermava la “necessità di pregare per stabilire una cooperazione fruttuosa tra azione divina e azione umana”. L’imperatore filosofo, ha dunque constatato, dimostra che la vita umana senza la preghiera, “diventa priva di senso e di riferimento”:

“In ogni preghiera, infatti, si esprime sempre la verità della creatura umana, che da una parte sperimenta debolezza e indigenza, e perciò chiede aiuto al Cielo, e dall’altra è dotata di una straordinaria dignità, perché, preparandosi ad accogliere la Rivelazione divina, si scopre capace di entrare in comunione con Dio”. 

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GIOVANNI PAOLO II ED EUCARESTIA AL CENTRO DI DUE APPUNTAMENTI AL SANTUARIO MARIANO DI POMPEI

SPECIALE BEATIFICAZIONE (Pompei) – Per vivere in pienezza il periodo della Quaresima e conoscere a fondo la vita e il magistero di Papa Giovanni Paolo II, in vista della sua Beatificazione che avverrà il prossimo 1° maggio in Piazza San Pietro, il Santuario della B.V. del santo Rosario di Pompei propone a tutti i fedeli due itinerari di catechesi: uno, a partire dal 17 marzo, sul tema dell’Eucarestia e la sua importanza nella vita quotidiana, l’altro, a partire dal 21 marzo, sulla vita dell’amatissimo pontefice polacco. Il cammino quaresimale della comunità pompeiana, che avrà inizio giovedì 17 marzo, sarà, dunque, illuminato e scandito da cinque appuntamenti che metteranno in luce e aiuteranno i fedeli a comprendere come l’Eucarestia, dono supremo di Cristo alla Sua Chiesa, illumina e sostiene gli ambiti della nostra esistenza: l’amore, le relazioni umane, il lavoro, l’educazione, l’economia, la politica, la cura dell’ambiente e anche la malattia.

Il percorso spirituale proposto, in preparazione al prossimo Congresso Eucaristico Nazionale che si terrà ad Ancona dal 3 all’11 settembre, nasce, infatti, dalla necessità “di una più profonda comprensione, per i fedeli cristiani, delle relazioni tra l’Eucarestia e la vita quotidiana”, così come ribadito dal Santo Padre Benedetto XVI nell’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis (2007). Ad aiutarci a riscoprire e a vivere questo dono ci saranno Mons. Enrico Dal Covolo, Vescovo tit. di Eraclea e Rettore della Pontificia Università Lateranense (Roma), il Card. Francis Arinze, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Mons. Edoardo Menichelli, Arcivescovo Metropolita di Ancona-Osimo, Mons. Mariano Crociata, Segretario Generale della C.E.I., e Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo Metropolita di Bari Bitonto. Gi incontri si terranno il 17, il 24 e il 31 marzo, il 7 e il 14 aprile, alle 18.00.

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IL CASO: COSÌ IL CARDINALE BAGNASCO RISOLVE IL “CONFLITTO” TRA SCIENZA E FEDE

CHIESA CATTOLICA (Perugia) – «Noi siamo convinti che esiste una verità e tale verità è oggetto della ricerca scientifica». Ad affermarlo non è uno scienziato preso dal fervore della sua ricerca, tantomeno un filosofo positivista: è un passaggio dell’intervento che il Cardinale Angelo Bagnasco ha tenuto venerdì scorso a Perugia sul rapporto tra scienza e fede. Forse potrà sorprendere qualcuno, ma non è affatto una novità che il magistero della Chiesa, superate le note difficoltà di quattro secoli fa, sostenga con decisione ed entusiasmo la scienza come genuino valore di conoscenza, di contemplazione e di uso della natura per il bene dell’uomo. E in questi quattrocento anni, la scienza moderna ha dimostrato di avere molte frecce al suo arco per lottare alla conquista dei segreti del mondo fisico in tutte le sue manifestazioni, dalle sfuggenti particelle elementari, alla complessità delle strutture biologiche, alla grandiosa evoluzione dell’universo nel suo insieme.

Ma con altrettanta chiarezza Bagnasco, anche qui in piena continuità con la tradizione cattolica, ha sottolineato il fatto che il metodo scientifico non esaurisce la possibilità di conoscenza di ciò che è reale. È la nostra stessa esperienza, del resto, a mostrarci che la ragione umana non si comporta come un monolite nella sua tensione a conoscere la realtà, ma utilizza approcci diversi a seconda dell’oggetto dell’indagine: «Alla differenziazione degli oggetti corrisponde una differenziazione dei metodi». Non abbiamo bisogno di fare un’analisi chimico-fisica del DNA, ad esempio, per avere la conferma che è giusto che uomini e donne abbiano gli stessi diritti civili: è questa una verità filosofica. Così la scienza ci può dire qualcosa sul meccanismo geofisico che ha provocato lo tsunami in Giappone, e speriamo che un giorno (che purtroppo si preannuncia ancora lontano) sia in grado di fare previsioni che ci consentano di prevenire i devastanti effetti di questi fenomeni. Ma di certo nessuna analisi scientifica potrà dirci qualcosa davanti al dolore delle madri che hanno perso i loro figli sulle spiagge di Sendai, o sul senso della vita di chi, come noi, è sopravvissuto. La scienza non sa rispondere alle domande brucianti e inevitabili sul significato ultimo delle cose e sul destino della singola persona: è questo il terreno della fede.

A questo punto normalmente si cambia registro e si dice che la fede non attiene al “conoscere” la realtà, ma al “credere” in qualche cosa. Essa quindi non avrebbe niente a che fare con la ragione e con il giudizio: saremmo nel campo della scelta arbitraria, del sentimento, della pura opinione. Bagnasco, invece, nel suo intervento, prende una via diversa: egli identifica la fede, nel suo livello basilare, con una forma o metodo particolare di conoscenza. «Ogni uomo vive di “fede”, più esattamente di “fiducia”: è infatti un atteggiamento di base, che appartiene alla vita stessa. Ognuno, per vivere, deve fidarsi degli altri, deve accettare moltissime cose senza verificarle di persona». E in effetti è ragionevole affermare come vero qualcosa che afferma un altro, nel momento in cui abbiamo ragioni adeguate per stabilire la credibilità del testimone. «Si intrecciano il riferimento a qualcuno che conosce una cosa e che è persona qualificata e degna, la testimonianza della fiducia di altri, e, infine, una certa verifica nella nostra esperienza quotidiana». Occorre naturalmente allenamento al giudizio e al senso critico per esercitare bene tale “conoscenza per fede”, nell’applicare la quale non siamo infallibili come del resto non lo siamo quando applichiamo altri metodi di conoscenza. Ma si tratta, continua Bagnasco, di «un fondamento senza il quale nessuna società potrebbe sopravvivere, e innanzitutto nessuna persona». In effetti, anche il procedere della scienza si appoggia pesantemente sulla capacità criticamente assunta di “conoscere per fede”. Sarebbe, infatti, impossibile, oltre che irrazionale e persino ridicolo, pretendere di ripetere direttamente tutti gli esperimenti e le osservazioni che altri hanno condotto prima di noi, invece che fidarsi del lavoro riportato da altri.

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IL PAPA ALLA QUESTURA DI ROMA: UNA SOLIDA MORALE PERSONALE DÀ FORZA AL DIRITTO E ALLE ISTITUZIONI

CITTA’ DEL VATICANO – Nel contesto odierno si constata un indebolimento dei “principi etici” e degli “atteggiamenti morali personali” che danno forza a tali principi. Lo ha affermato Benedetto XVI nell’udienza concessa questa mattina ai dirigenti e agli agenti della Questura di Roma. Il Papa ha esortato i cristiani a essere risoluti nel professare la fede nella società, auspicando che società e istituzioni pubbliche “ritrovino la loro anima”.

Anche la “città eterna” è soggetta ai cambiamenti e non tutti sono esemplari. Benedetto XVI riflette sulle modifiche che hanno coinvolto Roma e ciò che ne trae dà voce a un senso di disagio che è di tanti: “Questi mutamenti generano talvolta un senso di insicurezza, dovuto in primo luogo alla precarietà sociale ed economica, acuita però anche da un certo indebolimento della percezione dei principi etici su cui si fonda il diritto e degli atteggiamenti morali personali, che a quegli ordinamenti sempre danno forza”. Queste derive finiscono, ha proseguito il Papa, per avvalorare l’impressione che nel “nostro mondo”, pur “con tutte le sue nuove speranze e possibilità”, il “consenso morale venga meno e che, di conseguenza, le strutture alla base della convivenza non riescano più a funzionare in modo pieno”. E questo può ingenerare in “molti” una tentazione, quella cioè… “…di pensare che le forze mobilitate per la difesa della società civile siano alla fine destinate all’insuccesso. Di fronte a questa tentazione, noi, in modo particolare, che siamo cristiani, abbiamo la responsabilità di ritrovare una nuova risolutezza nel professare la fede e nel compiere il bene, per continuare con coraggio ad essere vicini agli uomini nelle loro gioie e sofferenze, nelle ore felici come in quelle buie dell’esistenza terrena”.

Benedetto XVI è tornato su un tema tante volte trattato, quello della “dimensione soggettiva dell’esistenza”. Porre attenzione a questo aspetto, ha affermato, “è un bene quando si mette in evidenza il valore della coscienza umana”. Ma qui, ha soggiunto, “troviamo un grave rischio”: “Nel pensiero moderno si è sviluppata una visione riduttiva della coscienza, secondo la quale non vi sono riferimenti oggettivi nel determinare ciò che vale e ciò che è vero, ma è il singolo individuo, con le sue intuizioni e le sue esperienze, ad essere il metro di misura; ognuno, quindi, possiede la propria verità, la propria morale. La conseguenza più evidente è che la religione e la morale tendono ad essere confinate nell’ambito del soggetto, del privato: la fede con i suoi valori e i suoi comportamenti, cioè, non ha più diritto ad un posto nella vita pubblica e civile”. Ed ecco, ha rilevato il Pontefice, il paradosso della società attuale nella quale si dà “grande importanza al pluralismo e alla tolleranza”, e al contempo… “…la religione tende ad essere progressivamente emarginata e considerata senza rilevanza e, in un certo senso, estranea al mondo civile, quasi si dovesse limitare la sua influenza sulla vita dell’uomo. Al contrario, per noi cristiani, il vero significato della ‘coscienza’ è la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, e, prima ancora, la possibilità di sentirne il richiamo, di cercarla e di trovarla”.

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LA MORTE, L’INDIFFERENZA, LA FEDE. “LA ZONA GRIGIA”

RIFLESSIONE – Un uomo per la strada vede una ragazzina che trema, ha solo un vestito leggero, niente da mangiare. Si arrabbia con Dio: «Perché lo permetti? Perché non fai qualcosa?». Dio tace. Fatti di cronaca come quello del bimbo morto a Bologna mi inducono alla stessa reazione. Sono i fatti che appartengono alla zona grigia dell’esistenza, che fanno dubitare della bontà della creazione e del creatore. Creatore forse, ma Padre? Di fronte a questa zona d’ombra però si apre per me lo spazio della compassione, del dolore di fronte al dolore altrui: è mio o no? Quando vedo una mendicante che trema in ginocchio al centro del marciapiede, quel dolore mi interpella.

Posso reagire come Ivan Karamazov che, nella sofferenza degli innocenti, scorge un segno dell’assenza di Dio e se ne serve per la sua ribellione contro il redentore. In fondo però la compassione di Ivan verso il dolore innocente è la scusa, la teoria progettata da un cuore incapace di amare con i fatti. Egli ama quel dolore non per alleviarne la sofferenza, ma per sé stesso. Senza quel dolore assurdo, non potrebbe starsene chiuso a casa nel suo cinismo con tanto di certificato medico. Egli ama il dolore altrui, per mettere a tacere la sua coscienza e Dio ed ergersi a giudice. Il mondo è male: cosa posso mai fare io? Posso non reagire. Facendo finta di non vedere o non vedendo proprio, se non un ostacolo da superare: l’ennesimo mendicante a intralciare la mia strada di uomo fortunato. Perché qualcuno non risolve? Non pago forse le tasse? Un liceale al quale era stato proposto di donare il sangue ha risposto: “Quanto mi pagate?”. La logica del dono è fuori moda: cosa c’entro io con il dolore altrui? Oppure posso fare come Rilke che s’imbatte in una donna che chiede l’elemosina. L’amico che lo accompagna le dà uno spicciolo, il poeta tira dritto, ma più avanti compra una rosa e di ritorno solleva la donna e gliela regala: va oltre il bisogno materiale, coglie la persona nella sua interezza e agisce “personalmente” restituendo dignità alla donna, che almeno quel giorno smise di mendicare. Quando la zona grigia mi aggredisce, trovo in me questi personaggi.

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IL TEMPO ORDINARIO DELLA CHIESA. IL PAPA: LA VITA DI OGNI GIORNO SIA PALESTRA DI SANTITÀ

ROMA – Vivere ogni giorno come fosse una tappa lungo la strada che va verso la santità. Ciò che contraddistinse l’esistenza delle grandi donne e dei grandi uomini della storia cristiana è un obiettivo possibile per ogni persona di fede: Benedetto XVI lo ha ripetuto in molte occasioni e le sue parole acquistano un particolare rilievo proprio in questi giorni in cui – concluse le grandi celebrazioni del Natale – la Chiesa ma anche la società si ritrovano immersi nei ritmi della vita ordinaria. Alessandro De Carolis ripropone alcuni insegnamenti del Papa su questo tema.

La grande scena sul fiume Giordano è del giorno prima. Lo sconosciuto Nazareno che scende in acqua per farsi battezzare, lo scetticismo un po’ ritroso di Giovanni quando lo vede, la voce che scende dal cielo e che tutti i presenti odono, la colomba che si posa sul falegname galileo: sono tutti fatti straordinari avvenuti ormai da 24 ore. Il giorno dopo è il momento dell’ordinario: ognuno torna al suo lavoro, alle cose della sua vita. Anche il Vangelo di Giovanni descrive “il giorno dopo” del Battesimo: Gesù che passa, Giovanni che lo indica a un paio di suoi discepoli e questi che si mettono alla sequela del Rabbi. Non è una scena memorabile come quella del Giordano, anzi al confronto è di una normalità quasi irrisoria. Eppure, insegna qualcosa di prezioso per quel “dopo” che arriva nella vita di tutti all’indomani di una giornata particolare, o di un periodo speciale, dopo il quale bisogna per forza riprendere, magari con una punta di dispiacere e di nostalgia, le attività di sempre. Anche la Chiesa, tra un “evento” e l’altro di grande importanza spirituale, fa altrettanto con quello che in termini liturgici si chiama il “Tempo ordinario”. Ma è un ordinario solo apparente, perché per un cristiano normalità non vuol mai dire banalità. Benedetto XVI lo ha spiegato qualche anno addietro con queste parole: “Con la scorsa Domenica, nella quale abbiamo celebrato il Battesimo del Signore, è iniziato il tempo ordinario dell’anno liturgico. La bellezza di questo tempo sta nel fatto che ci invita a vivere la nostra vita ordinaria come un itinerario di santità, e cioè di fede e di amicizia con Gesù, continuamente scoperto e riscoperto quale Maestro e Signore, Via, Verità e Vita dell’uomo”. (Angelus, 15 gennaio 2006)

Tempo ordinario uguale tempo della santità. Altro che periodo vuoto, senza senso, piatto. I due discepoli che si mettono a seguire Gesù scoprono presto di aver incontrato – come diranno – “il Messia”, con tutto ciò che di straordinario questo significherà. Ma, rileva il Pontefice, l’inizio del loro rapporto con Gesù parte con una domanda, anch’essa piuttosto scontata: “Maestro, dove abiti?”. E Gesù: “Venite e vedrete”. Ebbene, pure in questa ordinarietà, dice il Papa, è nascosta un’indicazione importante: “La parola di Dio ci invita a riprendere, all’inizio di un nuovo anno, questo cammino di fede mai concluso. ‘Maestro, dove abiti?’, diciamo anche noi a Gesù ed Egli ci risponde: ‘Venite e vedrete’. Per il credente è sempre un’incessante ricerca e una nuova scoperta, perché Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre, ma noi, il mondo, la storia, non siamo mai gli stessi, ed Egli ci viene incontro per donarci la sua comunione e la pienezza della vita”. (Angelus, 15 gennaio 2006).

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IL PAPA NELLA SOLENNITA’ DELL’EPIFANIA: APRIAMOCI ALLA CERTEZZA CHE DIO È L’AMORE ONNIPOTENTE

CITTA’ DEL VATICANO – Il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto stamani, Solennità dell’Epifania del Signore, la Santa Messa nella Basilica Vaticana. Durante l’omelia ha ripercorso il cammino dei Magi, che rappresentano l’intera umanità, alla ricerca del Messia: “Essi erano probabilmente dei sapienti che scrutavano il cielo, ma non per cercare di “leggere” negli astri il futuro; erano piuttosto uomini “in ricerca” di qualcosa di più, in ricerca della vera luce, che sia in grado di indicare la strada da percorrere nella vita. Erano persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la “firma” di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare”. Ciascuno di noi è chiamato a riconoscere nei segni dei tempi, la manifestazione della gloria di Dio in ogni uomo. Di seguito il testo integrale dell’omelia:

Cari fratelli e sorelle, nella solennità dell’Epifania la Chiesa continua a contemplare e a celebrare il mistero della nascita di Gesù salvatore. In particolare, la ricorrenza odierna sottolinea la destinazione e il significato universali di questa nascita. Facendosi uomo nel grembo di Maria, il Figlio di Dio è venuto non solo per il popolo d’Israele, rappresentato dai pastori di Betlemme, ma anche per l’intera umanità, rappresentata dai Magi. Ed è proprio sui Magi e sul loro cammino alla ricerca del Messia (cfr Mt 2,1-12) che la Chiesa ci invita oggi a meditare e a pregare. Nel Vangelo abbiamo ascoltato che essi, giunti a Gerusalemme dall’Oriente, domandano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo” (v. 2). Che genere di persone erano, e che specie di stella era quella? Essi erano probabilmente dei sapienti che scrutavano il cielo, ma non per cercare di “leggere” negli astri il futuro, eventualmente per ricavarne un guadagno; erano piuttosto uomini “in ricerca” di qualcosa di più, in ricerca della vera luce, che sia in grado di indicare la strada da percorrere nella vita. Erano persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la “firma” di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare. Forse il modo per conoscere meglio questi Magi e cogliere il loro desiderio di lasciarsi guidare dai segni di Dio è soffermarci a considerare ciò che essi trovarono, nel loro cammino, nella grande città di Gerusalemme.

Anzitutto incontrarono il re Erode. Certamente egli era interessato al bambino di cui parlavano i Magi; non però allo scopo di adorarlo, come vuole far intendere mentendo, ma per sopprimerlo. Erode è un uomo di potere, che nell’altro riesce a vedere solo un rivale da combattere. In fondo, se riflettiamo bene, anche Dio gli sembra un rivale, anzi, un rivale particolarmente pericoloso, che vorrebbe privare gli uomini del loro spazio vitale, della loro autonomia, del loro potere; un rivale che indica la strada da percorrere nella vita e impedisce, così, di fare tutto ciò che si vuole. Erode ascolta dai suoi esperti delle Sacre Scritture le parole del profeta Michea (5,1), ma il suo unico pensiero è il trono. Allora Dio stesso deve essere offuscato e le persone devono ridursi ad essere semplici pedine da muovere nella grande scacchiera del potere. Erode è un personaggio che non ci è simpatico e che istintivamente giudichiamo in modo negativo per la sua brutalità. Ma dovremmo chiederci: forse c’è qualcosa di Erode anche in noi? Forse anche noi, a volte, vediamo Dio come una sorta di rivale? Forse anche noi siamo ciechi davanti ai suoi segni, sordi alle sue parole, perché pensiamo che ponga limiti alla nostra vita e non ci permetta di disporre dell’esistenza a nostro piacimento?

Cari fratelli e sorelle, quando vediamo Dio in questo modo finiamo per sentirci insoddisfatti e scontenti, perché non ci lasciamo guidare da Colui che sta a fondamento di tutte le cose. Dobbiamo togliere dalla nostra mente e dal nostro cuore l’idea della rivalità, l’idea che dare spazio a Dio sia un limite per noi stessi; dobbiamo aprirci alla certezza che Dio è l’amore onnipotente che non toglie nulla, non minaccia, anzi, è l’Unico capace di offrirci la possibilità di vivere in pienezza, di provare la vera gioia. I Magi poi incontrano gli studiosi, i teologi, gli esperti che sanno tutto sulle Sacre Scritture, che ne conoscono le possibili interpretazioni, che sono capaci di citarne a memoria ogni passo e che quindi sono un prezioso aiuto per chi vuole percorrere la via di Dio. Ma, afferma sant’Agostino, essi amano essere guide per gli altri, indicano la strada, ma non camminano, rimangono immobili.

Per loro le Scritture diventano una specie di atlante da leggere con curiosità, un insieme di parole e di concetti da esaminare e su cui discutere dottamente. Ma nuovamente possiamo domandarci: non c’è anche in noi la tentazione di ritenere le Sacre Scritture, questo tesoro ricchissimo e vitale per la fede della Chiesa, più come un oggetto per lo studio e la discussione degli specialisti, che come il Libro che ci indica la via per giungere alla vita. Penso che, come ho indicato nell’Esortazione apostolica Verbum Domini, dovrebbe nascere sempre di nuovo in noi la disposizione profonda a vedere la parola della Bibbia, letta nella Tradizione viva della Chiesa (n. 18), come la verità che ci dice che cosa è l’uomo e come può realizzarsi pienamente, la verità che è la via da percorrere quotidianamente, insieme agli altri, se vogliamo costruire la nostra esistenza sulla roccia e non sulla sabbia.

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COME CAMBIANO LE GMG. SCELTE DIVERSE MA COMPLEMENTARI, I GIOVANI SI RACCONTANO

I GIOVANI E LE GMG – 1984: ritrovo a Roma in Piazza S. Pietro. 2011: Madrid accoglie i giovani del mondo. Il volto delle Giornate Mondiali della Gioventù (GMG) è cambiato, e sta cambiando. Perché? Perché cambia il mondo e l’uomo al suo interno. Basti pensare, per fare un esempio, all’avvento di Internet e dei mutamenti soprattutto antropologici che ha portato con sé. A partire da questo punto basilare cambia la vita dei giovani stessi, le gioie e le problematiche che vivono al loro interno. Questi cambiamenti vengono recepiti e assunti dagli stessi messaggi che i vari Pontefici, in questi anni, hanno inviato ai giovani in occasioni delle GMG. Nelle parole che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno preparato ad hoc per i giovani del mondo si percepisce un desiderio di accogliere e, per quanto possibile tradurre, le richieste, le attese e le speranze che vivono in essi. Nel messaggio in occasione della GMG di Madrid, un esempio significativo, si evidenzia la consapevolezza del Papa verso la difficoltà del lavoro nel precariato giovanile. Scrive Benedetto XVI: “Certamente, ricordando la mia giovinezza, so che stabilità e sicurezza non sono le questioni che occupano di più la mente dei giovani. Sì, la domanda del posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi è un problema grande e pressante, ma allo stesso tempo la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande”.

Giovani che si raccontano

Prendendo spunto dal testo del Messaggio per la GMG 2011 di Madrid, daremo voce a diverse voci di giovani che hanno compiuto scelte diverse tra loro, ma complementari. Il messaggio del Papa sarà commentato dalla diretta testimonianza di persone che, con la loro vocazione, fanno emergere risvolti esistenziali a partire dal testo della GMG. Come si dice in gergo tecnico “provengono dalla strada” e credo pedagogicamente corretto e saggio nell’ottica formativa proporre questo percorso. Un percorso che si può valorizzare in famiglia, a scuola, in parrocchia, nella catechesi, in monastero, ecc.

“Da soli non andiamo lontano”
Stefano Cuccaroni, studente universitario, educatore

“La fede cristiana non è solo credere a delle verità, ma è anzitutto una relazione personale con Gesù Cristo, è l’incontro con il Figlio di Dio, che dà a tutta l’esistenza un dinamismo nuovo. Quando entriamo in rapporto personale con Lui, Cristo ci rivela la nostra identità, e, nella sua amicizia, la vita cresce e si realizza in pienezza”. (dal Messaggio GMG 2011)

«La fede nasce da un incontro personale con il Signore, e si alimenta continuamente di questo incontro con Lui, che ritroviamo (e si fa ritrovare – verbo al passivo!) nella preghiera, nei Sacramenti, nel servizio e soprattutto nei fratelli. È la storia personale di ognuno di noi il luogo dell’incontro con Cristo. È nella storia personale di ognuno di noi l’appuntamento con il Signore. E sta a noi non rimandare o evitare quest’incontro (la tentazione laicista dell’autosufficienza da Dio). Non è un caso, poi, che Benedetto XVI ci racconti con passione la sua vicenda personale di giovane in ricerca e condivida con sincerità gli stati d’animo, le speranze, “l’anelito per ciò che è realmente grande”, tipici dell’età giovanile. Questi caratteri ci accomunano tutti, giovani di oggi e giovani “un po’ più cresciuti” (e ci aiutano anche a considerare il Santo Padre come uno di noi, e non come un mistico o un predestinato sollevato dai problemi quotidiani e soprattutto dai dubbi e dalle domande di senso). Quest’elemento personalissimo (quasi confidenziale) che il Santo Padre ci vuole comunicare, non fa altro che ribadire la “concretezza”di quest’incontro e la “realtà”della fede. Il dono della fortezza è il dono del coraggio, della costanza, della tenacia. Che lo Spirito Santo sia capace di regalare questo dono lo constatiamo dalla forza che gli Apostoli hanno acquistato nel giorno della Pentecoste: lo Spirito Santo li ha resi coraggiosi nel parlare ed entusiasti nel fare (At 4,31). Condizione necessaria per la fortezza è l’“essere radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”. Non ci sono altre fondamenta alla base di questa fortezza: radicati, fondati e saldi in Cristo e nella fede. Ci vogliono da parte nostra, però, disponibilità, volontà, coraggio di osare, ma soprattutto coerenza. E sappiamo quanto è facile cadere nella comoda tentazione dell’incoerenza dell’essere cristiani in sagrestia ma non nell’ufficio di lavoro, dell’essere cristiani tra i cristiani e del non esserlo con i non cristiani».

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GLI ALIBI DELL’AMORE. MI VUOI BENE O GIOCHI ALLE EMOZIONI?

CATECHESI – Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo. Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: “Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri! ”. Ed erano infuriati contro di lei. Allora Gesù disse: “Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona; i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre. Essa ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. (Mc 14,3-9)

Esistono momenti nella nostra vita carichi di simboli, di presagi, di strane o fortunate coincidenze, di gesti semplici, ma profondi che ti aiutano a trovare un senso, una luce per il cammino dell’esistenza. Sono i momenti delle decisioni per il matrimonio, o per una vita consacrata a Dio; sono situazioni che decidono l’avvenire dei figli, una svolta nella professione, nella ricerca del lavoro, nella nostra stessa ricerca della fede. La cena in casa di Simone il lebbroso nell’imminenza della pasqua è per Gesù uno di questi momenti carichi di significato, di presagi, di dolcezza. La trama dei farisei si sta infittendo sempre più, Gesù deve sostenere tutti i giorni nel tempio una diatriba serrata con tutto l’apparato. Gli hanno giurato di farlo morire, la sua predicazione è insopportabile, destabilizzante. Ha un luogo accogliente in cui nell’amicizia si stemperano le tensioni, dove è possibile vivere rapporti umani, dove la delicatezza è sovrana, dove sei accolto per quello che sei non per nessun ruolo che svolgi, dove in amicizia si può sperimentare sincerità, fiducia, confidenza. Gesù ha un cuore di uomo, amante della vita. Ha bisogno del calore di una famiglia che manca spesso a tanti di noi, quel luogo in cui ci si dona l’uno all’altra per amore.

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IL PAPA ALL’UDIENZA: LA MORTE NON È L’ULTIMA PAROLA DELLA VITA. CATECHESI SU S. VERONICA GIULIANI

CITTA’ DEL VATICANO – Riscaldare il cuore con l’Eucaristia, nella certezza che la morte non è “l’ultima parola” sull’esistenza umana: all’udienza generale di oggi in Aula Paolo VI, Benedetto XVI ha riproposto alla Chiesa contemporanea il segreto di Santa Veronica Giuliani. Il Papa ha parlato diffusamente dell’intensa vita spirituale di questa importante mistica del 17.mo secolo, della quale il prossimo 27 dicembre si ricorderà il 350.mo della nascita.

Ardere d’amore per Cristo, con tutta l’intensità che le fibre umane consentono, al punto di riuscire a “vederlo” e in qualche modo a squarciare il velo del Paradiso. Per Veronica Giuliani questo fu un reale traguardo dell’anima. Il suo cuore – innamorato di Gesù dall’adolescenza alla morte, che la colse nel 1727 dopo 50 anni vissuti nel monastero umbro delle Clarisse di Città di Castello – fu il luogo, ha raccontato il Papa, in cui si intrecciarono “grandi sofferenze e alcune esperienze mistiche legate alla Passione di Gesù”. Dal suo Diario di 22 mila pagine, manoscritte senza cancellature né correzioni, quasi che il flusso interiore dell’anima si fosse impresso carta, emerge – ha spiegato Benedetto XVI – la radice di “una spiritualità marcatamente cristologico-sponsale”: “E’ l’esperienza di essere amata da Cristo, Sposo fedele e sincero, e di voler corrispondere con un amore sempre più coinvolto e appassionato. In lei tutto è interpretato in chiave d’amore, e questo le infonde una profonda serenità. Ogni cosa è vissuta in unione con Cristo, per amore suo, e con la gioia di poter dimostrare a Lui tutto l’amore di cui è capace una creatura”. L’immagine di Gesù a cui Veronica “è profondamente unita” è quella che lo vede “nell’atto di offrirsi al Padre” per la salvezza della Chiesa e dell’umanità. Lei, ha detto il Papa” cerca di imitarlo, “prega, soffre, cerca la ‘povertà santa’, come ‘esproprio’, perdita di sé, proprio per essere come Cristo”: “Il suo cuore si dilata a tutti ‘i bisogni di Santa Chiesa’, vivendo con ansia il desiderio della salvezza di ‘tutto l’universo mondo’ (…) Animata da un’ardente carità, dona alle sorelle del monastero attenzione, comprensione, perdono; offre le sue preghiere e i suoi sacrifici per il Papa, il suo vescovo, i sacerdoti e per tutte le persone bisognose, comprese le anime del purgatorio (…) La nostra Santa concepisce questa missione come uno ‘stare in mezzo’ tra gli uomini e Dio, tra i peccatori e Cristo Crocifisso”.

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L’INIZIO DELL’ANNO LITURGICO: LA CORONA CHE PLASMA IL TEMPO

ANNO LITURGICO – L’anno liturgico è tra le più originali e preziose creazioni della Chiesa, “un poema – come diceva il cardinale Ildefonso Schuster di tutta la liturgia – al quale veramente hanno posto mano e cielo e terra”. Esso è la trama dei misteri di Gesù nell’ordito del tempo. Così, lungo il corso di ogni anno, la Chiesa rievoca gli eventi della sua nascita, della sua morte e della sua risurrezione, così che il susseguirsi dei giorni sia tutto improntato e sostenuto dalla memoria di lui. Una memoria d’altronde che, se fa volgere lo sguardo a quando quegli eventi si sono compiuti, subito fa tendere lo sguardo sul Presente, cioè sul Cristo vivente, che sovrasta e include in se stesso tutta la storia.

Facendosi uomo, il Figlio di Dio si ritrova, come ognuno di noi, “datato” e coinvolto nei confini della cronologia e, perciò, di un passato irreversibile. È l’aspetto temporale e irripetibile dei suoi misteri, che divengono l’oggetto del ricordo che li rievoca. Così nell’anno liturgico, con immensa pietà, ripassano i diversi momenti rievocati nei vangeli, e di cui è stata intessuta l’esistenza di Gesù e che non si rinnovano. E tuttavia ognuno di essi era una mediazione di grazia e concorreva a “creare” il Signore e la sua opera di salvezza. Gesù non rinasce storicamente ogni volta che la Chiesa ne rievoca il Natale, ma quella natività fu una mediazione e un avvenimento di grazia. Come lo furono tutte le altre manifestazioni della vita terrena del Figlio di Dio: ossia, come direbbe Tommaso d’Aquino (Summa Theologiae, III, 27, prologo), “tutto quello che il Figlio di Dio incarnato fece o patì nella natura umana a lui unita” (ea quae Filius Dei incarnatus in natura humana sibi unita fecit vel passus est): tutto quello che concorse a formare il Cristo redentore. Nello svolgimento dell’anno liturgico rimeditiamo su quei misteri, miriamo ad averne un’intelligenza più profonda, e soprattutto li ritroviamo col loro senso e con il loro valore nel Signore vivente glorioso, sul quale sono fissati gli occhi della fede e l’ardore del cuore. E in questo senso si può affermare che, narrati e tramandati d’anno in anno, non invecchiano e non si consumano mai. Ecco perché è giusto ritenere che, mentre si dispongono e si uniscono a formare la suggestiva “corona della benignità dell’anno di Dio” – corona benignitatis anni Dei, come Paul Claudel intitola il suo splendido poema sull’anno liturgico – essi sono destinati in certo modo a rinnovarsi nella Chiesa. L’anno liturgico – scriveva il cardinale Schuster – “rappresenta come l’unità di misura della vita della Chiesa sulla terra. Questa vita a sua volta è la continuazione della vita di Gesù Cristo”. Vale per esso quel che egli diceva della preghiera liturgica: “Direttamente sgorga dal cuore della Chiesa orante”. I giorni che lo formano sorgono dall’amore della Chiesa ininterrottamente assorta a contemplare e a incontrare il suo Signore, istituendo con lui una cronologia o un corso annuale nuovo e inedito, a servizio di Cristo, per mezzo del quale, nel quale e per il quale tutto è stato creato.

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UNA VEGLIA PER LA VITA NASCENTE. IL 27 NOVEMBRE LA CHIESA UNIVERSALE PREGA PER LA DIFESA DALLE VITA

ROMA – L’appello è stato lanciato lo scorso giugno. In alcune Chiese la mobilitazione è stata un po’ lenta, ma è certo che il 27 di novembre, nella basilica di San Pietro, così come nelle diocesi e nelle chiese cattoliche di tutto il mondo si celebreranno veglie di preghiera, si effettueranno adorazioni del Santissimo Sacramento e si reciteranno Rosari in difesa della vita nascente

Lo scorso 14 giugno, il Cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, hanno inviato una lettera a tutti i Presidenti delle Conferenze episcopali per invitarli a organizzare una un solenne “veglia per la vita nascente”. Nella lettera si informavano i Vescovi che era stato il Pontefice a prendere l’iniziativa di celebrare il 27 novembre nella Basilica di San Pietro una “veglia solenne per la Vita nascente” in coincidenza con i Primi Vespri della Prima Domenica di Avvento e nelle vicinanze del Natale. Insieme ai Vespri la lettera propone l’adorazione eucaristica per “ringraziare il Signore che, con il dono totale di se stesso, ha dato senso e valore ad ogni vita umana e per invocare la protezione di ogni essere umano chiamato all’esistenza”. Alla veglia e all’Adorazione la Conferenza episcopale spagnola ha già proposto di aggiungere anche la recita del Rosario. “E’ desiderio del Santo Padre – è scritto nella missiva – che i Vescovi presiedano nelle loro Chiese celebrazioni simili che coinvolgano parrocchie, comunità religiose, associazioni e movimenti”. “Siamo tutti consapevoli – spiega ancora la lettera – dei pericoli che minacciano la vita umana oggi a causa della cultura relativistica e utilitaristica che oscura la percezione della dignità di ogni persona umana, qualunque sia il loro stadio di sviluppo”. Per questo “siamo chiamati più che mai ad essere ‘popolo della vita’ (Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, n. 79) con la preghiera e con l’impegno”. La missiva invita tutti i Presidente delle Conferenze episcopali a “coinvolgere rapidamente e, in modo più appropriato” tutti i Vescovi di ogni singolo Paese in modo da “poter inserire questa iniziativa nei singoli programmi diocesani”. L’auspicio finale è che “tutte le Chiese particolari in unione con il Santo Padre, Pastore universale” possano ”ottenere la grazia e la luce del Signore per la conversione dei cuori e dare una testimonianza comune della Chiesa per una cultura della vita e dell’amore”.

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NON METTIAMO I RAGAZZI IN CONDIZIONE DI MENTIRE PER “LIBERARSI” DI NOI

SCUOLA – “Io e te”. Si intitola così l’ultimo libro di Niccolò Ammaniti in cui viene narrata la vicenda di Lorenzo, quattordicenne in difficoltà con sé e con gli altri. Dove gli altri, per suo esplicito dire, sono “tutti quelli che non erano mia madre, mio padre e nonna Laura”. Peccato che non ci sia nessun vero tu in questa vicenda, ossia nessun personaggio reale che guardi davvero a Lorenzo per quello che è: un soggetto di desideri, messi in crisi. Il pronome del titolo si riferisce piuttosto a una sorellastra di qualche anno maggiore, tossicodipendente e bugiarda, il cui ingresso in scena dovrebbe concedere una svolta decisiva a una storia di per sé un po’ sconclusionata e poco credibile. Lorenzo ha mentito ai suoi genitori millantando un invito per una settimana bianca da parte di una compagna di classe che probabilmente non sa nemmeno se lui esiste; così, dentro una bugia ormai irrevocabile decide di simulare una partenza e trascorrere l’intera settimana nascosto nella cantina del suo palazzo. Nella vita solitaria, a solo tre piani sotto i suoi che lo credono a Cortina, irrompe dopo pochi giorni la sorellastra Olivia, ventitreenne, preda di una crisi di astinenza. Qualche attimo di tenerezza fra i due, legato a ricordi infantili, emotivamente coinvolgente e anche ben narrato, assume le sembianze nel racconto di un rapporto, di un fatto significativo capace di generare un cambiamento positivo. Eppure ben presto, il lettore accorto, intuisce che non sta accadendo nulla.

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APOSTOLATO GIOVANI PER LA VITA: DA DUE ANNI IL NOSTRO IMPEGNO PRO LIFE

GIOVANI PRO LIFE – Il 7 Ottobre u.s., memoria liturgica della Beata Vergine Maria del Rosario, l’Apostolato “Giovani per la Vita” ha festeggiato il suo secondo anniversario. I giovani dell’Apostolato, mediante l’adozione spirituale di un bambino non ancora nato, si fanno sostenitori della vita dal concepimento alla nascita.  Cosa c’è di più indifeso al mondo di un bambino ancora nel grembo materno? Sul panorama europeo si affaccia sempre più l’ipotesi del riconoscimento del “diritto all’aborto”, quest’ultimo viene presentato come una conquista sociale, come affermazione di libertà della donna. Siamo sempre più convinti di poter decidere della vita altrui e spesso dimentichiamo che “la vita umana è sacra e inviolabile in ogni momento della sua esistenza, anche in quello iniziale che precede la nascita. L’uomo, fin dal grembo materno, appartiene a Dio che tutto scruta e conosce, che lo forma e lo plasma con le sue mani, che lo vede mentre è ancora un piccolo embrione informe e che in lui intravede l’adulto di domani”(cf Sal 139/138, 1.13-16; Lettera Enciclica Evangelium vitae). La vita, in particolare quella più fragile e indifesa, è continuamente minacciata dall’edonismo e dalla superficialità egoistica di uomini e donne che spesso non si assumono la responsabilità di una paternità e di una maternità coraggiosa e amorevolmente altruistica. Negare a un bambino di nascere rappresenta l’impossibilità di permettere al mondo di sorridere ancora; negare a un bambino di nascere significa negarsi la gioia di condividere con lui la vita e la meraviglia che ogni giorno essa rappresenta; negare a un bambino di nascere è negare a se stessi di realizzarsi come esseri umani, co-creatori con Dio del miracolo dell’esistenza. Diverse possono essere le motivazioni che danno vigore all’impegno per la difesa di una vita innocente, una tra tutte: “la vita che Dio offre all’uomo è un dono con cui Dio partecipa qualcosa di sé alla sua creatura” (Giovanni Paolo II). Il rispetto per la Vita e la consapevolezza che essa è il dono più grande che ciascuno di noi ha gratuitamente ricevuto, rappresentano per noi membri dell’Apostolato le basi da cui partire per costruire un mondo più giusto; facciamo nostre le parole di Sua Santità Benedetto XVI: «L’amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza (Gn 1,26). Questo amore sconfinato e quasi incomprensibile di Dio per l’uomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione» (Discorso ai partecipanti alla XII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, febbraio 2006).

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I GIOVANI NON CERCANO SICUREZZA, MA UNA “VITA PIÙ GRANDE”. IL PAPA RACCONTA LA SUA GIOVENTU’

CITTA’ DEL VATICANO – La guerra e le difficoltà, i propri dubbi e l’incontro con Gesù sono alcune delle esperienze personali che Papa Benedetto XVI rivive nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid 2011, reso pubblico questo venerdì dalla Santa Sede. Nel testo, il Pontefice ripercorre gli anni della sua vocazione e propone la propria esperienza ai giovani, perché le aspirazioni di un giovane sono le stesse in ogni epoca e possono riassumersi nell’anelito a una “vita più grande” che non finisca nella mediocrità. I giovani, spiega, “sentono il profondo desiderio che le relazioni tra le persone siano vissute nella verità e nella solidarietà”. “Molti manifestano l’aspirazione a costruire rapporti autentici di amicizia, a conoscere il vero amore, a fondare una famiglia unita, a raggiungere una stabilità personale e una reale sicurezza, che possano garantire un futuro sereno e felice”.

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MESSAGGIO DEL PAPA AI GIOVANI IN VISTA DELLA GMG DI MDRID: LA CHIESA CONTA SU DI VOI!

CITTA’ DEL VATICANO – Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI invia ai giovani e alle giovani del mondo, in occasione della XXVI Giornata Mondiale della Gioventù che sarà celebrata dal 16 al 21 agosto 2011 a Madrid (Spagna): MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

“Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7)

Cari amici,

ripenso spesso alla Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney del 2008. Là abbiamo vissuto una grande festa della fede, durante la quale lo Spirito di Dio ha agito con forza, creando un’intensa comunione tra i partecipanti, venuti da ogni parte del mondo. Quel raduno, come i precedenti, ha portato frutti abbondanti nella vita di numerosi giovani e della Chiesa intera. Ora, il nostro sguardo si rivolge alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, che avrà luogo a Madrid nell’agosto 2011. Già nel 1989, qualche mese prima della storica caduta del Muro di Berlino, il pellegrinaggio dei giovani fece tappa in Spagna, a Santiago de Compostela. Adesso, in un momento in cui l’Europa ha grande bisogno di ritrovare le sue radici cristiane, ci siamo dati appuntamento a Madrid, con il tema: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr Col 2,7). Vi invito pertanto a questo evento così importante per la Chiesa in Europa e per la Chiesa universale. E vorrei che tutti i giovani, sia coloro che condividono la nostra fede in Gesù Cristo, sia quanti esitano, sono dubbiosi o non credono in Lui, potessero vivere questa esperienza, che può essere decisiva per la vita: l’esperienza del Signore Gesù risorto e vivo e del suo amore per ciascuno di noi.

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L’AMICIZIA AI TEMPI DI FACEBOOK…. E’ VERA AMICIZIA? PARLIAMO DI QUESTO UNICO E GRANDE ‘AMORE’

AMICIZIA – Per parlare di questo legame ho riflettuto a lungo. Ho scoperto che, al di là dei fatti istintivi, ci vogliono delle grandi motivazioni affinché ci si possa fidare di un altro essere umano. In questo ci riesce Gesù Cristo, e io mi sono ispirato al suo insegnamento.San Paolo ha detto: “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così radicati e fondati nella carità, siete in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siete ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef.3,17-19). E’ sempre la lettura e l’interiorizzazione della Bibbia (del suo contenuto) che ci fa comprendere cosa significa amicizia.

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NO ALLA SETE DI DOMINIO, SÌ ALLA LOGICA DELL’AMORE DI DIO: COSÌ IL PAPA ALL’ANGELUS

CASTEL GANDOLFO – Il differente valore della persona e delle cose e l’invito a sperare in Dio: al centro della riflessione del Papa alla recita dell’Angelus a Castelgandolfo, durante la quale ha ricordato i Santi che verranno celebrati in questa settimana. A partire da San Domenico di Guzman che la Chiesa celebra oggi. Poi i saluti in varie lingue accolti da cori particolarmente festosi. Il nostro cuore viene aperto ad una speranza che illumina e anima l’esistenza concreta”: così il Papa parla dell’incontro con Dio, dell’incontro con il Vangelo: “Abbiamo la certezza che ‘il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova’”. Avere fiducia in Dio è capire il valore che ogni persona ha agli occhi di Dio. Non è – spiega il Papa – lasciarsi andare al disimpegno. “Gesù nel Vangelo di oggi attraverso tre parabole – sottolinea Benedetto XVI – illustra come l’attesa del compimento della «beata speranza», la sua venuta, deve spingere ancora di più ad una vita intensa, ricca di opere buone: «Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma».

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TERRA SANTA LIVE! – MARTEDI’ 22 GIUGNO MONTE CARMELO

LA PACE IN TERRA SANTA – MONTE CARMELO Il Monte Carmelo è uno sperone di roccia, lungo circa 25 Km, che corre quasi parallelo alla costa (nord-ovest/sud-est) alto circa 250 m presso il mare e 550 m verso la piana di Esdrelon. Sul versante del mare ci sono molte grotte abitate sin dalla preistoria; in una ventina di queste grotte (Mèarot Carmel) sono stati trovati resti umani (ora conservati al museo Rockefeller di Gerusalemme) compresi tra il 150.000 e il 9.000 a.C., quando l’umanità passò dalla caccia all’agricoltura; vi sono, inoltre, le prime tracce di riti funerari. I paleontologi chiamarono l’abitante di queste caverne con il nome di «Uomo del Carmelo». Sulla vetta più alta del monte sorge il convento carmelitano dedicato al ricordo dell’altare eretto da VOGLIAMO Elia contro quello dei profeti di Baal. Il luogo è detto el-Muhraqa (in arabo: il sacrificio, in ebraico: luogo dell’abbruciamento); qui, con il consenso del re Acab, convennero gli israeliti e i falsi profeti per una prova decisiva da cui sarebbe dipesa l’esistenza stessa della religione mosaica. Si tratta di una delle scene più drammatiche della storia di Israele, dello scontro finale tra Yahweh e Bàal, con la vittoria del primo e la sconfitta del secondo. Dalla terrazza del convento si gode uno stupendo panorama della pianura di Esdrelon verso oriente, fino ai monti della Galilea (Tabor), dominati dall’Hermon verso nord, e alla sponda del Mediterraneo a occidente.

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ESSERE POVERI PER COSTRUIRE LA GIUSTIZIA! LA POVERTA’ NON E’ MASOCHISMO, E’ PARTECIPAZIONE!

RIFLESSIONE – La povertà non è masochismo, ma partecipazione. Consiste in effetti nella capacità di gestione delle proprie risorse a favore di chi nulla possiede e in tutto dipende da altri, come nel caso dei miseri e degli abbandonati, verro i quali occorre una carità previa di povertà sincera; come pure consiste nel retto utilizzo dei nostri beni e nella capacità instancabile di donazione. Essere poveri equivale a saper costruire la giustizia e a dare il nostro contributo perché si pongano le condizioni per il cessare delle ostilità e delle divisioni a cui la discrepanza fra miseria e ricchezza ci costringe con le relative discrimanzioni e ingiustizie perché equivale alla formazione di noi stessi per la solidarietà e la comunione con tutti. L’avidità e il potere sono sempre state le minacce dell’umanità, ed è risaputo che tanto sangue sparso, le ingiustizie, le sopraffazioni e i soprusi ai danni dei poveri e degli indigenti hanno sempre arricchito i pochi benestanti. In nome del profitto si sovvertono valori e tendenze culturali ed etiche, si modificano talvolta le relazioni interpersonali e anche il concetto di lavoro e di occupazione ha assunto in questi ultimi decenni sempre più insicurezza e instabilità a scapito del salariato e del lavoratore dipendente e in vista del guadagno dell’imprenditore e del capitalista e il mercato del lavoro sembra condizionato dalla tutela degli interessi di business delle imprese e dei singoli affaristi, sempre a danno di chi cerca risorse per il proprio sostentamento visto che non vi è più oggi sicurezza nel campo occupazionale e lavorativo. Si tende alla logica del profitto e del potere che esalta pochi e umilia la moltitudine.

Marti Luther King sognava un mondo rinnovato nella giustizia e nella solidarietà, sottolineando che “A questo mondo non è più questione di scegliere tra violenza e non violenza, si tratta di scegliere o non violenza o non esistenza. “ E questo sogno diventerà realtà solo nella comunione nella solidarietà.

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