ROMA – Che la realtà fosse testarda, inesorabile, lo si sapeva. Gli unici a non capirlo sono da sempre e per sempre gli irresponsabili del pensiero, gli intellettuali occhiuti e sopraccigliosi che inondano della loro materia grigia le pagine della nostra industria culturale.
In Italia, ormai lo sappiamo, la madre dei cattivi maestri è sempre incinta. Prima soffiano sul fuoco, per settimane, mesi, anni. Poi restano stupiti, non si capacitano, sbalordiscono nel constatare che sotto la brace era pronto un incendio. Fateci caso. Da settimane, mesi, anni non si fa che ripetere che l’Italia non è un paese per giovani, che a queste povere generazioni stiamo rubando il futuro, che insomma sarebbe anche giunto il momento di una bella ribellione, di una piazza piena, di un immancabile nuovo Sessantotto. E mica solo sui giornali, che il titolo un po’ forte lo debbono pur sempre cucinare, la provocazione fintamente scorretta han bisogno di propinare al lettore distratto. Anche i libri, quelli scritti dall’Economista di grido, dal Demografo di tendenza o dal Sociologo di moda, non possono fare a meno di concludere le loro analisi commosse sull’inevitabile catalogo di sfighe generazionali con l’appello-speranza a una nuova ribellione giovanile, per costringere ovviamente lo Stato (unica levatrice del mondo, un po’ come la guerra era “unica igiene del mondo” per i futuristi per-fascisti) a riconoscere i Diritti, le Necessità, le Pretese di questa povera e innocente generazione. Perché, par di capire, ormai da questo mondo di adulti non c’è più nulla da attendere, dunque ragazzi belli il futuro ve lo dovete venire a prendere a spallate, sennò mica ve lo possono regalare gli adulti al potere (che son sempre gli altri, ovviamente, mica i poveri intellettuali che fingono di non esser parte della classe dirigente del Paese).
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