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EARTH DAY 2011, UN CONCERTO PER IL PIANETA ED UNA RACCOLTA FONDI PER IL GIAPPONE

SOLIDARIETÀ (Roma) – Il grande concerto di Patti Smith e Carmen Consoli al Galoppatoio di Villa Borghese. La raccolta fondi per il Giappone. Un premio per le buone pratiche in tema ambientale allo chef Heinz Beck, al direttore del Cirps-La Sapienza, Vincenzo Naso e alla fondazione Roberto Capucci. Queste le tre principali iniziative dell’Earth Day 2011, la 41esima edizione della giornata mondiale della Terra indetta dalle Nazione Unite, quest’anno dedicata alle foreste, che sarà celebrata questa sera, dalle ore 20, con un grande concerto gratuito al Galoppatoio di Villa Borghese. Protagoniste sul palco: Patty Smith, la “sacerdotessa” americana del rock, e la “cantantessa” siciliana, Carmen Consoli, per una serata di musica d’autore al femminile in cui verrà proiettato un videomessaggio di Peter Gabriel che lancerà il suo appello per “salvare il pianeta che sta vivendo una situazione drammatica. E’ arrivato il momento di agire”.

“Ciò che abbiamo fatto all’atmosfera, al clima, al nostro pianeta è veramente drammatico. Dobbiamo impegnarci tutti”. Sono le parole di Peter Gabriel, in questi giorni in Italia, che verranno veicolate stasera attraverso un videomessaggio durante il grande concerto gratuito organizzato a Roma per l’Earth Day. “Potremmo fare molto di più, so che io stesso potrei fare molto per cercare di migliorare la situazione – prosegue nel video Gabriel – Ma se vogliamo tenere il pianeta in vita affinché possa dare un futuro ai nostri figli, ai nostri nipoti e pronipoti, alle generazioni a venire, allora è arrivato il momento di agire. Tocca a noi farlo, con decisione. Noi possiamo fare la differenza. Ricordo quando per la prima volta gli astronauti raggiunsero lo spazio e, guardando verso la Terra, videro una piccola sfera blu, la nostra casa, protetta soltanto dal sottile mantello dell’atmosfera. Se non ne avremo cura sarà distrutta per sempre. Certo non cambia l’ordine dell’universo, ma per i nostri figli è il futuro. Spero che prendiate tutto questo molto sul serio, spero che assieme riusciamo a trovare il modo di fare la differenza, e desidero salutare e ringraziare tutti voi di Earth Day per il lavoro che state facendo. Chiedo a tutti voi amici un grande impegno per l’ambiente, per la nostra Terra”.

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EGITTO, MUBARAK IN OSPEDALE PER UN ATTACCO CARDIACO E I FIGLI IN CUSTODIA CAUTELARE PER 15 GIORNI

ESTERI (il Cairo, EGITTO) – Custodia cautelare per 15 giorni per la famiglia Mubarak. Lo ha annunciato la procura, che ha posto sotto custodia anche i figli dell’ex presidente Hosni Mubarak, Alaa e Gamal.Intanto la tv di stato egiziana, senza dare particolari dettagli, riferisce che, dopo esser stato colpito da un attacco cardiaco durante un interrogatorio, l’ex presidente egiziano è stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Sharm el Sheikh. Ieri, dopo aver lasciato la sua lussuosa dimora della nota località egiziana, Mubarak è stato trasferito in un commissariato di al-Tor, capoluogo del governatorato di Tur Sinà, per essere interrogato. Durante l’interrogatorio, il raìs è stato colpito da un attacco cardiaco e ricondotto a Sharm.Per i suoi figli, invece, il procuratore capo del governatorato egiziano del Sinai del Sud, Abdullah al-Shazli, ha disposto il provvedimento restrittivo della custodia cautelare, che la televisione nazionale ha motivato parlando di esigenze investigative, poiché entrambi i figli di Mubarak sono indagati per corruzione e abuso di potere nella violenta repressione delle proteste di massa che iniziarono il 25 gennaio scorso in piazza Tahrir al Cairo e culminarono l’11 febbraio con la caduta del regime. Nelle rivolte persero la vita 800 persone.

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EGITTO, NUOVI SCONTRI FRA MUSULMANI E COPTI: 6 MORTI E 42 FERITI

ESTERI (Il Cairo, EGITTO) – In Egitto cresce la tensione fra copti e musulmani, con violenti scontri nel quartiere di Abhazya, al Cairo. Secondo Rafic Greiche, capo ufficio stampa della Chiesa cattolica egiziana, il bilancio sarebbe di 6 morti e 42 feriti. Le violenze sono nate nel corso di una protesta dei cristiani per la ricostruzione della chiesa copta di San Mina e San Giorgio nel villaggio di Soul, distrutta dai musulmani sabato scorso. Greiche ha dichiarato che, per evitare ulteriori scontri, il governo militare potrebbe velocizzare la ricostruzione della chiesa.

Secondo fonti di AsiaNews, ieri migliaia di copti, appoggiati anche da alcuni musulmani, hanno bloccato due strade che portano verso piazza Tarhir, suscitando l’ira degli automobilisti. Gruppi di radicali islamici sono giunti sul luogo e hanno iniziato a scontrarsi con i manifestanti, costringendo l’esercito ad intervenire. Molti copti dei quartieri più poveri, che in passato hanno subito violenze da parte dei musulmani, hanno contribuito a far degenerare la manifestazione. “Nel quartiere – spiegano le fonti – c’è ancora molta tensione, si sentono spari e molte famiglie non hanno mandato i figli a scuola”.

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SCUOLA: FIGLI DELLO SVILUPPO HIGH-TECH? NO, DELL’INFINITO

GIOVANI – L’immagine è semplice e accattivante: un bambino piccolo, probabilmente infante, che maneggia con disinvoltura un computer. La deduzione proposta non lascia dubbi: la tecnologia starebbe cambiando radicalmente e rapidamente il modo di pensare dei nostri figli. E l’aneddotica fiorisce: “non perché è mio figlio, ma se gli dai in mano un telecomando sa già come accendere il televisore e cambiare canale anche se ancora non parla”. Il messaggio che ci arriva è chiaro:  renderebbe i bambini più intelligenti, più rapidi, capaci di azioni e intenzioni inaudite. Dall’altra parte, però, arriva un’ondata in senso opposto: l’uso delle abbreviazioni selvagge nei messaggini sta corrompendo irrimediabilmente l’italiano dei nostri ragazzi; a furia di tvb e lol non si capisce + niente.

Siamo sicuri che le cose stiano così? Certamente il mondo cambia e cambia rapidamente, anzi più rapidamente di quanto ci sia dato di ricordare rispetto alle epoche delle quali abbiamo memoria. Ma ci sono due punti che vale la pena mettere in evidenza prima di affrettarsi a condividere giudizi epocali. Una delle rivoluzioni scientifiche più importanti degli ultimi trent’anni deriva dalla scoperta che la struttura del linguaggio umano ha due caratteristiche fondamentali: primo, è unica rispetto alla struttura dei linguaggio di tutti gli altri esseri viventi – che invece condividono tra loro molti tratti comuni – in quanto, fondamentalmente, è in grado di cogliere e utilizzare consapevolmente meccanismi espressivi che includono la nozione di infinito; secondo, questa unicità non è frutto di convenzioni arbitrarie e culturali, come voleva una certa deriva filosofica di stampo analitico: certamente esistono elementi di arbitrarietà, come l’associazione tra suono e significato, ma le proprietà centrali e distintive delle grammatiche delle lingue umane, in particolare proprio quella legata alla nozione di infinito, dipendono in qualche modo dalla struttura del cervello umano, mostrando tra l’altro che il riduzionismo funzionalista e costruttivista non è affatto adeguato a spiegare i fenomeni di apprendimento spontaneo nei bambini.

Due caratteristiche, ovviamente, strettamente collegate e che indirizzano il problema del mistero della natura unica della nostra specie verso strade mai percorse. Ovunque ci portino queste strade, tuttavia, una cosa è certa: se il linguaggio umano – la struttura del linguaggio umano, intendo – è ancorata nella nostra carne, anzi ne è espressione specifica, allora non bastano certo le innovazioni tecnologiche di dieci, venti, anche cento anni a cambiare questa struttura. Le mutazioni genetiche sono troppo lente per poter dare luogo a cambiamenti in così poco tempo. Dunque, semmai, se di cambiamenti si tratta, sono cambiamenti di abitudine, di circostanza, di contesto, di uso ma non di struttura.

In altri termini, i nostri figli sono sì stimolati da nuove condizioni ma non c’è ragione per pensare che siano cambiate le loro potenzialità, tantomeno i loro cervelli. Questo ovviamente non vuol dire che non sia buona cosa stimolare i bambini con nuovi contesti di apprendimento, inclusi quelli che impiegano nuove tecnologie, ma che non ci si può aspettare niente di più di quanto non potesse aspettarsi dal figlio di un contadino in una cascina: se viene stimolato nel modo giusto, posto di fronte ad attrezzi complicati, anche quel bambino sorprenderà gli adulti come fanno i bambini e le bambine di oggi, con la sola differenza, ma non irrilevante, che spesso la tecnologia lascia soli e fa quindi mancare l’interazione sociale, uno dei propulsori principali dell’intelligenza.

Cosa diversa invece è la valutazione delle possibilità di accesso al sapere rispetto al passato. Se un tempo in salotto si riusciva a trovare a malapena un’enciclopedia decente oggi con in mano un portatile connesso in rete puoi entrare nella Biblioteca del Congresso di Washington e scaricarti l’edizione integrale di un manuale di teoria dei quaternioni. Il problema dell’accesso alla cultura, ovviamente, è cambiato ma c’è ancora, anzi è più subdolo: ora occorre rendersi conto che si deve scegliere e che per scegliere occorre fidarsi di qualcuno che indichi un percorso, non si può immaginare più di farcela da soli. La biblioteca della famiglia di Leopardi, basata sui classici, dove Giacomo poteva esplorare da solo non c’è più: non è scomparsa, è ancora tutta lì ma è diluita in un mare vertiginoso di offerte nel quale Giacomo farebbe esperienza di ben altri infiniti.

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FOIBE – ZECCHI: ECCO PERCHÉ ABBIAMO TRADITO LA MEMORIA DEL NOSTRO POPOLO

ITALIA – «La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra». Fa un’operazione di verità storica, la legge firmata nel 2004 dal presidente Ciampi, riabilitando un popolo distrutto dall’odio etnico e politico. Nelle foibe del Carso trovarono la morte migliaia di italiani, vittime della violenza perpetrata dai partigiani comunisti di Tito tra l’autunno del ’43 e il giugno del ’45. Dopo di loro fu il dramma di quei 350mila italiani che, fino a tutti gli anni Cinquanta, dovettero fuggire dall’Istria e dalla Dalmazia per non subire le violenze, l’emarginazione, le confische dell’esperimento sociale comunista.

Sono queste le vicende che fanno da sfondo a Quando ci batteva forte il cuore, l’ultimo romanzo di Stefano Zecchi. «Il ricordo è un fatto principalmente educativo – dice Zecchi al sussidiario -. Per continuare a esistere dev’essere legato al senso di un’appartenenza, di una tradizione, al modo in cui questa prende importanza nel presente. Serve a non farci diventare degli infedeli, infedeli a ciò che di importante è stato nella nostra vita, personale e collettiva».

A suo modo il 10 febbraio è anch’esso un «giorno della memoria», che però a differenza di altre date più popolari è molto meno nelle corde dell’opinione pubblica.

Di questa vicenda tragica non si è mai voluto parlare, innanzitutto perché si sono voluti nascondere i crimini dei comunisti e poi tutta una serie di altre compromissioni di tipo politico. Non si è mai voluto riflettere sul fatto, drammatico e impressionante, che oltre 350mila italiani, senza contare quelli che sono stati trucidati, hanno rinunciato a tutto per rimanere italiani, e una volta arrivati in patria sono stati trattati come delinquenti e fascisti. Anche questa è la storia della nostra repubblica.

Ha parlato di convenienze politiche. Quali?

Quelle della realpolitik. Siamo in presenza di una tragedia legata al fascismo, che in un certo senso ne rappresenta la causa, ma la cui comprensione storica viene poi ostacolata dal patto tra comunisti e democristiani. Togliatti, in modo esplicito, da comunista qual era voleva che la Venezia Giulia, l’Istria, Fiume e la Dalmazia fossero annesse alla Jugoslavia. La Dc, con De Gasperi in testa, faceva fatica a controbattere a questa tesi e non voleva che si facesse il plebiscito, come chiedevano gli istriani, perché temeva che il Trentino-Alto Adige facesse prima o poi una richiesta analoga. Il silenzio è continuato con il trattato di Osimo e fino alla metà degli anni Settanta. Una storia su cui non si è mai voluto alzare il velo.

È questo lo sfondo del suo romanzo. Quanto c’è di autobiografico in Quando ci batteva forte il cuore?

Per quanto mi riguarda è soprattutto un romanzo, anche se come ogni romanzo risente di una serie di suggestioni, emozioni, visioni, conoscenze. Ho voluto fare la storia di un padre e di un bambino, raccontare l’importanza dell’educazione là dove la vita diviene dramma. Il tema mi stimolava: quand’ero assessore a Milano partecipavo alle iniziative della Giornata del ricordo, potevo conoscere da vicino le associazioni e la loro memoria storica, che mi appariva di una drammaticità impressionante. Mia nonna poi era triestina e ricordo bene le storie che mi raccontava. L’ultima parte del romanzo (padre e figlio scappano dall’Istria e si stabiliscono a Venezia, ndr) contiene cose che io stesso ho visto con i miei occhi… Se mette insieme tutto questo, ecco che nasce il romanzo.

La vicenda narrata nel romanzo tocca da vicino, oltre che la questione della memoria, anche quella dell’identità italiana. Cosa vuol dire per lei essere italiano?

Non è qualcosa di acquisito una volta per tutte. Ha richiesto un percorso, una maturazione. Per me essere italiani significa appartenere a una storia, a una cultura, a una tradizione. Sento di appartenere molto più ad una tradizione culturale che ad una tradizione politica. È più un fatto di sentimenti che una faccenda statuale o istituzionale.

C’è un problema che tocca la memoria dei popoli e di cui si è parlato di recente anche a proposito della Shoah. Che cos’è che a distanza di tempo «salva» il ricordo e gli permette di sopravvivere alle generazioni?

Il ricordo è un fatto principalmente educativo, e dunque culturale. Per continuare dev’essere legato al senso di un’appartenenza, di una tradizione, al modo in cui questa prende importanza nel presente. Per guardare al futuro dobbiamo pensare al passato dove abbiamo le nostre radici. Ho dedicato il romanzo a mio figlio perché ricordare serve a non farci diventare degli infedeli, infedeli a ciò che di importante è stato nella nostra vita. Per ricordare serve una trasmissione di conoscenze che avviene normalmente attraverso persone, incontri, letture. Famiglia e scuola sono determinanti, o meglio lo erano. Ora hanno abdicato.

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IL PAPA ALL’UDIENZA PARLA DI SANTA CATERINA DA GENOVA, CELEBRE PER LA SUA VISIONE DEL PURGATORIO

CITTA’ DEL VATICANO – “In Caterina, il purgatorio non è presentato come un elemento del paesaggio delle viscere della terra: è un fuoco non esteriore, ma interiore. Questo è il purgatorio, un fuoco interiore”. Benedetto XVI ha dedicato l’udienza generale di questo mercoledì a Santa Caterina da Genova. Nella sua catechesi, svoltasi nell’Aula Paolo VI in Vaticano, Benedetto XVI ha ricordato che “Caterina nacque a Genova, nel 1447; ultima di cinque figli, rimase orfana del padre, Giacomo Fieschi, quando era in tenera età. La madre, Francesca di Negro, impartì una valida educazione cristiana, tanto che la maggiore delle due figlie divenne religiosa. A sedici anni, Caterina venne data in moglie a Giuliano Adorno, un uomo che, dopo varie esperienze commerciali e militari in Medio Oriente, era rientrato a Genova per sposarsi. La vita matrimoniale non fu facile, anche per il carattere del marito, dedito al gioco d’azzardo”.

La conversione di Caterina iniziò il 20 marzo 1473, grazie ad una singolare esperienza. Recatasi alla chiesa di san Benedetto e nel monastero di Nostra Signora delle Grazie, per confessarsi, e inginocchiatasi davanti al sacerdote, “ricevette – come ella stessa scrive – una ferita al cuore, d’un immenso amor de Dio”, con una visione così chiara delle sue miserie e dei suoi difetti e, allo stesso tempo, della bontà di Dio, che quasi ne svenne. Fu toccata nel cuore da questa conoscenza di se stessa, della vita vuota che conduceva e della bontà di Dio”.

“Da questa esperienza nacque la decisione che orientò tutta la sua vita, espressa nelle parole: “Non più mondo, non più peccati” (cfr Vita mirabile, 3rv). Caterina allora fuggì, lasciando in sospeso la Confessione. Ritornata a casa, entrò nella camera più nascosta e pianse a lungo. E’ in questa occasione che le apparve Gesù sofferente, carico della croce, come spesso è rappresentato nell’iconografia della santa. Iniziò con la confessione quella “vita di purificazione” che, per lungo tempo, le fece provare un costante dolore per i peccati commessi e la spinse ad imporsi penitenze e sacrifici per mostrare a Dio il suo amore. In questo cammino, Caterina si andava avvicinando sempre di più al Signore, fino ad entrare in quella che viene chiamata “vita unitiva”, un rapporto, cioè, di unione profonda con Dio. Caterina si abbandonò in modo così totale nelle mani del Signore da vivere, per circa venticinque anni, nutrita soprattutto dalla preghiera costante e dalla Santa Comunione ricevuta ogni giorno, cosa non comune al suo tempo. Solo molti anni più tardi il Signore le diede un sacerdote che avesse cura della sua anima”.

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GLI ALIBI DELL’AMORE. MI VUOI BENE O GIOCHI ALLE EMOZIONI?

CATECHESI – Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’unguento sul suo capo. Ci furono alcuni che si sdegnarono fra di loro: “Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri! ”. Ed erano infuriati contro di lei. Allora Gesù disse: “Lasciatela stare; perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona; i poveri infatti li avete sempre con voi e potete beneficarli quando volete, me invece non mi avete sempre. Essa ha fatto ciò ch’era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. (Mc 14,3-9)

Esistono momenti nella nostra vita carichi di simboli, di presagi, di strane o fortunate coincidenze, di gesti semplici, ma profondi che ti aiutano a trovare un senso, una luce per il cammino dell’esistenza. Sono i momenti delle decisioni per il matrimonio, o per una vita consacrata a Dio; sono situazioni che decidono l’avvenire dei figli, una svolta nella professione, nella ricerca del lavoro, nella nostra stessa ricerca della fede. La cena in casa di Simone il lebbroso nell’imminenza della pasqua è per Gesù uno di questi momenti carichi di significato, di presagi, di dolcezza. La trama dei farisei si sta infittendo sempre più, Gesù deve sostenere tutti i giorni nel tempio una diatriba serrata con tutto l’apparato. Gli hanno giurato di farlo morire, la sua predicazione è insopportabile, destabilizzante. Ha un luogo accogliente in cui nell’amicizia si stemperano le tensioni, dove è possibile vivere rapporti umani, dove la delicatezza è sovrana, dove sei accolto per quello che sei non per nessun ruolo che svolgi, dove in amicizia si può sperimentare sincerità, fiducia, confidenza. Gesù ha un cuore di uomo, amante della vita. Ha bisogno del calore di una famiglia che manca spesso a tanti di noi, quel luogo in cui ci si dona l’uno all’altra per amore.

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IL PAPA: LA VERA SPERANZA CAMBIA LA VITA PERCHÉ NON È UNA IDEA, MA GESÙ, IL VERBO FATTO CARNE

CITTA’ DEL VATICANO – Il Papa ieri all’Angelus ha invitato ad accogliere in questo Tempo d’Avvento “la vera speranza”, non una semplice idea, ma Gesù, il Verbo fatto carne che viene a salvarci. Sulla virtù teologale della speranza, sulla sua origine e sui suoi effetti, ascoltiamo alcune riflessioni di Benedetto XVI. Il Papa parla della vera speranza, quella “che non delude perché è fondata sulla fedeltà di Dio”. Si tratta di “un dono che cambia la vita di chi lo riceve”. Ma in cosa consiste questa speranza?

“Consiste in sostanza nella conoscenza di Dio, nella scoperta del suo cuore di Padre buono e misericordioso. Gesù, con la sua morte in croce e la sua risurrezione, ci ha rivelato il suo volto, il volto di un Dio talmente grande nell’amore da comunicarci una speranza incrollabile, che nemmeno la morte può incrinare, perché la vita di chi si affida a questo Padre si apre sulla prospettiva dell’eterna beatitudine”. (Angelus del 2 dicembre 2007)Ma la nostra speranza è sempre preceduta dalla speranza di Dio nei nostri confronti, anche di quanti sono lontani da Lui: “All’umanità che non ha più tempo per lui, dio offre altro tempo, un nuovo spazio per rientrare in se stessa, per rimettersi in cammino, per ritrovare il senso della speranza … Sì, Dio ci ama e proprio per questo attende che noi torniamo a Lui, che apriamo il cuore al suo amore, che mettiamo la nostra mano nella sua e ci ricordiamo di essere suoi figli”. (Omelia del primo dicembre 2007) E a mandare avanti il mondo è proprio “la fiducia che Dio ha nell’uomo”: “E’ una fiducia che ha il suo riflesso nei cuori dei piccoli, degli umili, quando attraverso le difficoltà e le fatiche si impegnano ogni giorno a fare del loro meglio, a compiere quel poco di bene che però agli occhi di Dio è tanto: in famiglia, nel posto di lavoro, a scuola, nei diversi ambiti della società. Nel cuore dell’uomo è indelebilmente scritta la speranza, perché Dio nostro Padre è vita, e per la vita eterna e beata siamo fatti”. (Omelia del primo dicembre 2007)

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GIÀ NEL PRIMO INCONTRO CI APRIMMO IL CUORE. L’AMICIZIA TRA CARLO AZEGLIO CIAMPI E GIOVANNI PAOLO II

ROMA – Giovedì 9 dicembre il presidente emerito della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, compirà novanta anni. Con i migliori auguri di compleanno del nostro giornale, nell’occasione pubblichiamo uno stralcio dal volume Da Livorno al Quirinale. Storia di un italiano (Bologna, il Mulino, 2010, pagine 187, euro 14).

Come mai fu fatta la scelta di farti fare la scuola media e superiore dai Gesuiti? Perché era la scuola migliore di Livorno? O perché era una scuola religiosa?

Fu una scelta casuale dei miei genitori. Andiamo in ordine: la prima e la seconda elementare le ho fatte in una scuola privatissima. C’era una vecchia maestra che faceva scuola elementare privata ed era accanto a casa mia. La terza elementare l’ho fatta a una scuola pubblica, la De Amicis di Livorno, e dovevo continuare lì. Ma cosa accadde? Mio fratello maggiore, finite le elementari, andò alle tecniche e il primo anno fu bocciato. Mio padre conosceva, e anzi aveva una certa amicizia con il rettore dell’Istituto San Francesco Saverio, la scuola dei Gesuiti a Livorno, padre Alessandro Dei Giudici Albergotti, un nobile aretino, il quale gli disse: “Mandami tuo figlio e cercherò di fargli recuperare l’anno”. Mio padre, per aiutare il figlio maggiore, disse di sì. Ma si sentì dire: “Mi devi mandare anche l’altro, quello studioso”. Così fui spostato dalla scuola pubblica alla scuola dei Gesuiti, a cui penso di aver fatto onore.

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BEATO TU CHE LAVORI. GLI EFFETTI DI UN LICENZIAMENTO DAL PUNTO DI VISTA RELAZIONALE

LAVORO – Abbiamo parlato più volte di crisi del lavoro, disoccupazione, precariato, povertà dei giovani, difficoltà a realizzare progetti, ad affermarsi, ad esprimere i propri talenti. Abbiamo ascoltato e riportato le paure di chi trascorre le giornate a scrivere curriculum, a leggere e rispondere agli annunci, ad andare a colloqui e tornare con il naso rotto per una porta in faccia sbattuta troppo violentemente, a inventarsi i mestieri più improbabili, a elemosinare soldi a genitori, zii, nonni e amici, a piangere lacrime di disperazione. Un po’ meno, forse, abbiamo parlato di chi un lavoro ce l’aveva e adesso non l’ha più, di chi credeva di aver trovato stabilità e sicurezza economica e adesso deve ricominciare tutto da capo.

Giovani coppie, con uno o più figli, in difficoltà a pagare le bollette, a onorare le scadenze del mutuo o di prodotti acquistati a rate, costrette a rinunciare anche a generi alimentari di prima necessità. Oppure persone meno giovani che – nel bel mezzo del cammin della loro vita, quando dovrebbero tirare il fiato – sprofondano in drammi che inevitabilmente coinvolgono i figli ormai cresciuti ma ancora studenti, più che mai bisognosi di aiuto e sostegno. Cresce la quota di famiglie che dichiara di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà. Si affacciano alla povertà individui appartenenti a categorie sociali che fino a poco tempo fa si sentivano tutelate. Nuovi poveri che restano occulti perché – come sottolinea la Commissione d’indagine sull’esclusione sociale (Cies) – “non chiedono e non si espongono: si vergognano, sono restii a raccontarsi perché sono ancora troppo immersi nelle loro difficoltà, provano disorientamento e spiazzamento, non sanno orientarsi nella rete dell’aiuto, sono del tutto impreparati e reagiscono con una forma ansiosa nel modo di rapportarsi con la famiglia e il contesto sociale di riferimento”. Sono sempre più frequenti depressioni, esaurimenti, patologie mentali in giovanissimi, giovani e adulti. Gli effetti di un licenziamento o della disoccupazione, dal punto di vista relazionale, sono devastanti. Intere famiglie si chiudono e soffrono in solitudine, piene di sensi di colpa e di vergogna, quando invece avrebbero bisogno di una rete sociale che li accolga, che faccia venire allo scoperto quel disagio sommerso – quindi ancora più distruttivo – che colpisce sempre più le famiglie “normali”, in difficoltà a riconoscere tale disagio e a chiedere aiuto prima che esso abbia superato la soglia critica. Non diamo i numeri che ogni giorno i media diffondono per aggiornare il quadro della crisi, non riportiamo i dati dell’ennesima indagine. Non ce n’è bisogno, perché se ci soffermiamo a riflettere e ci guardiamo bene intorno ci accorgiamo che la vicina anziana da un po’ di tempo ti chiede i giornali non per leggerli ma per accendere il fuoco nella stufa a legno, perché il riscaldamento non lo può pagare. Se ci interessiamo agli altri, scopriamo che la tal famiglia di stranieri che si è trasferita nella casa di fronte non ha abbastanza da mangiare perché lui non ha lavoro e i soldi di lei come colf non bastano per sfamare i suoi bambini.

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MADRE TERESA E “LA DANZA DEL BAMBINO”: IL RACCONTO DI UN EPISODIO CHE FA RIFLETTERE!

CALCUTTA – C’è un episodio, nella vita di madre Teresa, che sconvolge molte convinzioni e lascia pensosi, forse uno degli episodi-chiave per capire questa figura. Lo raccontò lei stessa.

«Durante una notte passata nella stazione di Howrah, a Calcutta, verso mezzanotte quando i treni sono tutti fermi per qualche ora, arrivò una poverissima famiglia che veniva di solito a dormire alla stazione. Erano una madre e quattro figli, dai cinque agli undici anni. La madre era una buffa, piccola cosa avvolta in un sari bianco di cotone, sottile per quella notte di novembre, con i capelli rasi a zero, stranamente per una donna. Aveva con sé dei recipienti di latta, qualche straccetto e dei pezzi di pane, tutto quanto possedeva per sé e per i suoi figli. Erano mendicanti. La stazione era la loro casa. I bambini, tre ragazze e un bimbo che era il più piccolo, erano come la madre pieni di vivacità. A quell’ora, in piena notte, sedettero tutti su un marciapiede della stazione presso le rotaie, vicino ad altre innumerevoli famiglie e mendicanti solitari che già dormivano tutt’intorno, e fecero il loro pasto serale di pane secco, probabilmente quanto era avanzato a un rivenditore che verso sera lo aveva ceduto a un prezzo bassissimo. Ma non fu un pasto triste. Essi parlavano, ridevano e scherzavano. Sarebbe difficile trovare una riunione di famiglia più felice di quella. Quando il breve pasto fu finito, andarono tutti a una pompa con grande allegria, si lavarono, bevettero e lavarono i loro recipienti di latta. Poi stesero con cura i loro stracci per dormire vicini, e un pezzo di lenzuolo per coprirsi tutti. E fu allora che il ragazzino fece qualcosa di assolutamente meraviglioso: si mise a danzare. Saltava e rideva fra i binari, rideva e cantava sommesso con incontenibile gioia. Una simile danza, in una simile ora, in così assoluta miseria!».

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SALUTO DAL PRESIDENTE DELEGATO, CARD.LEONARDO SANDRI, PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE CHIESE ORIENTALI

SINODO PER IL MEDIO ORIENTE – Beatissimo Padre, rendiamo grazie a Dio, insieme a Vostra Santità, per la comunione col Successore di Pietro, che ci fa sentire Chiesa di Cristo, da Lui eternamente amata. Tramite il suo popolo santo, Egli ama l’umanità e vuole presentarsi anche oggi, come Signore della storia. Rendiamo grazie per questa espressione di collegiale fraternità episcopale a beneficio della Chiesa in Medio Oriente. Uniti a Lei, Santo Padre, vogliamo confidare nella misericordia di Dio e chiedere che venga presto in Oriente e in Occidente il Suo regno di verità, di amore e di giustizia. Nulla ci separerà dall’amore di Cristo (Rom 8,35): è la conferma che riceviamo in questi giorni, mentre siamo sempre in ascolto di “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2,11) e di ciò che Vostra Santità confida ai cristiani del Medio Oriente. Ora, qui a Roma portiamo nel cuore l’Oriente, i tesori preziosi della sua tradizione spirituale, la gloria e i meriti, come le fatiche del suo passato; le sofferenze e le attese per il presente e il futuro. Un “vincolo aureo” unisce tutte le epoche delle Chiese d’oriente: è il martirio cristiano. Esso illustra anche ai nostri giorni una fedeltà al Vangelo, che ha scritto indelebili pagine di fraternità ecumenica. Pur registrando la situazione qualche miglioramento, in taluni contesti i cattolici con gli altri cristiani soffrono ancora ostilità, persecuzioni e il mancato rispetto del diritto fondamentale alla libertà religiosa. Il terrorismo e altre forme di violenza non risparmiano nemmeno i nostri fratelli ebrei e musulmani. Vicende umanamente indegne si moltiplicano e colpiscono vittime innocenti. La perdita di persone e di beni, e di ragionevoli prospettive, genera la realtà migratoria, che è triste ed è purtroppo persistente al di là di talune eccezioni positive. L’angoscia riaffiora non raramente a porre la domanda cruciale se vi possano essere giorni di vera pace e prosperità in Medio Oriente o se per l’avvenire non sia in gioco la stessa sopravvivenza della “plebs sancta Dei”. Ella, Padre Santo, non ha mai perso la speranza. E piuttosto la infonde nelle Chiese d’Oriente perché vivano il mistero evocato dal profeta Ezechiele, quello della “gloria del Signore” la quale “entra nel tempio per la porta che guarda ad Oriente” (Ez 43,4). L’Oriente risponde perseverando nella comunione e nella testimonianza; risponde con la ferma volontà di offrire e ricevere la speranza della Croce. Nel cenacolo sinodale “sub umbra Petri” vogliono entrare con i loro pastori i figli e le figlie delle Chiese Orientali: desiderano essere “un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32) e fare propria la preghiera sacerdotale di Cristo “ut unum sint” (Gv 17,21). L’oriente conferma davanti a Vostra Santità la sua missione, quella cioè di cooperare all’unità di tutti i cristiani specialmente orientali secondo il mandato del Concilio Ecumenico Vaticano II (cfr OE 24).

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LA CHIESA E’ L’ULTIMA VOCE LIBERA A DIFENDERE LA FAMIGLIA. QUALE FUTURO PER I FIGLI?

SOCIETA’ – Nell’epoca del relativismo etico e dello smantellamento dei valori portanti della società, la Chiesa è – e resta – l’ultimo baluardo a difesa della famiglia. La politica internazionale, che dovrebbe essere preposta all’accoglienza delle istanze di questa sacra istituzione fa orecchie da mercanti e non trova soluzioni, fornendo inoltre modelli totali di disfacimento e ‘rivoluzione’ senza basi. E non parliamo solamente di famiglie omosessuali e figli che dovranno crescere nella più totale ‘disperazione morale’, trovandosi negato il più elementare dei diritti, quello di avere un padre ed una madre. Ecco le conquiste della società moderna…. Proprio oggi registriamo un nuovo intervento di Benedetto XVI su coppie di fatto e biotecnologie e vi informiamo delle parole del Santo Padre. Ricevendo a Castel Gandolfo il nuovo ambasciatore di Germania presso la Santa Sede, il Pontefice ha ribadito che la Chiesa “non può approvare delle iniziative legislative che implichino una rivalutazione di modelli alternativi della vita di coppia e della famiglia”. Altresì il Papa ha chiesto la massima vigilanza sulle “nuove possibilità della biotecnologia e della medicina” che “ci mettono spesso in situazioni difficili che rassomigliano a un camminare sulla punta della cresta”. “Non possiamo rifiutare questi sviluppi”, ha detto, “ma dobbiamo essere molto vigilanti”.

Tali progetti – e sosteniamo pienamente il pensiero del Papa – “contribuiscono all’indebolimento dei principi del diritto naturale e così alla relativizzazione di tutta la legislazione e anche alla confusione circa i valori nella società”.

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RAPPORTO TRA FIDANZATI: E SE L’AMORE DI DIO FOSSE IL GARANTE DELLA CONTINUITA’?

L’AMORE – Se dovessi raccontare ai giovani l’Amore di Dio direi che oltre al Creato l’opera più bella delle sue mani è l’uomo. Il suo spirito alita in noi e tutto ciò che siamo è amore di Dio. Una volta che scopriamo di essere figli di Dio un soffio della sua bellezza, ci sentiamo forti e il cammino da fare non è altro che riversare la Sua bellezza ovunque. Soprattutto i giovani sono ricchi di desideri nobili e di vitalità. Non dimenticano che la cosa più importante è l’amore verso i genitori e la persona amata. Il sogno più importante per i giovani è il sacramento del matrimonio che consegna il corpo dell’uno all’altro e la riservatezza del cuoreda custodire. Con il matrimonio il sogno è racchiuso nelle parole dette davanti a Dio. Nel profondo del cuore i giovani sanno donare largamente e credono in Dio che è Padre. L’amore per la persona amata è l’espressione della fedeltà di Dio che è capace di Amare. L’Ascolto della Parola di Dio aiuta a scoprire i sentieri di vita che Lui ci indica per camminare nella giustizia e nella verità di noi stessi. La Parola di Dio fa luce sulla via da seguire e custodisce una condottai ntegra. Il matrimonio ed anche il fidanzamento è mosso dalla preghiera che dà la motivazione a fare famiglia.

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IL CASO/ Il successo dei vampiri di Eclipse: moda o sogno d’immortalità?

E’ già record di incassi per il terzo capitolo della saga vampiresca di Twilight, Eclipse, interpretato dagli idoli dei teenager Kirsten Stewart e Robert Pattinson. Ed è “vampiri-mania”, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. La notizia sta su un giornale americano che si chiamaVampyres Only, che tradotto significa pressapoco: “Tuttovampiri”. Leggiamo: «ll dittatore Milosevic rappresenta un pericolo per la Serbia anche dopo la sua morte. Alcuni vampire hunters (cacciatori di vampiri) improvvisati  hanno già provato a piantare un paletto nel petto del defunto dittatore, ma non sono riusciti a raggiungere il cuore e hanno danneggiato solo la bara. La figlia di Milosevic ha, quindi, assoldato alcune guardie che vigilino sul corpo del padre». Fine della notizia. Siete basiti? Avete ragione. E non pensate che solo in Serbia possano liberamente circolare matti così che scorazzano per cimiteri a infilzare paletti nei cadaveri. L’Est europeo è pieno di simili storie. Proprio sui Carpazi, c’è il castello di Vlad III Tepes, detto l’Impalatore (principe guerriero romeno che combattè l’esercito ottomano) e soprannominato Dracul, cioè demonio. E se Transilvania significa “al di là della foresta”, si può ben supporre che da queste parti siano  abituati a guardare anche oltre la realtà. Nella zona di Snagov, a pochi chilometri da Bucarest, doveva sorgere il Dracula Park, una sorta di Disneyland dell’orrore, un investimento miliardario rimasto, per il momento, sulla carta. Le proteste degli ambientalisti, dell’Unesco e persino del principe Carlo d’Inghilterra hanno convinto il governo a rinviare la costruzione del baraccone vampiresco.Da tempo, Dracula e i suoi fratelli hanno però  lasciato i boschi della Transilvania per accomodarsi in più tranquille librerie, studi televisivi, pagine di giornali e remake dei film d’autore.   Nella letteratura, resta imbattuto il best-seller di Anne Rice, Intervista col Vampiro, mentre al cinema (il genere consta di almeno 300 pellicole) sono ancora Herzog con il suo Nosfe-ratu e F. Ford Coppola a dettare legge. Ma è soprattutto su internet che il principe succhia-sangue svolazza alla grande e affonda i canini nelle disponibili vene dei navigatori. La Rete si è trasformata ormai in un vero covo di pipistrelli, con decine e decine di siti dai nomi inconfondibili: vampiri.net, tenebra.com, bourbonstreet.com, dracula.it, vampangel.it o cuoreditenebra.it. La creatura dell’oltretomba, vive una nuova giovinezza, l’ennesima nella sua storia millenaria, alimentata dalle paure, incubi e paranoie dell’abitante della civiltà metropolitana. Nonostante il nichilismo della generazione attuale, anzi: proprio grazie a questo. Spazzati via sentimento e cultura religiosi, il Dio ucciso e morto viene sostituito dal Principe dello sprofondo, invincibile ed eterno révenant. Che non ha però il volto misericordioso e salvifico della divinità, ma la maschera orribile e terrificante del demone, della creatura oscena, costretta a uccidere per restare in vita.

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LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO DI STRASBURGO SENTENZIA: ‘VIA CROCIFISSO DA SCUOLE’.

notiziaSTRASBURGO – “La presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche impedisce la libertà di religione degli alunni e la possibilità, per i genitori, di dare ai figli l’educazione che vogliono”: con questa motivazione, accogliendo il ricorso di una cittadina italiana, la Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha sentenziato sulla presenza dei simboli religiosi nelle scuole italiane. Il caso era stato sollevato da Soile Lautsi, cittadina italiana di origini finlandesi, che nel 2002 aveva chiesto all’istituto statale “Vittorino da Feltre” di Abano Terme, in provincia di Padova, frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocefissi dalle aule. A nulla, in precedenza, erano valsi i suoi ricorsi davanti ai tribunali in Italia. Ora i giudici di Strasburgo le hanno dato ragione. E il governo italiano dovrà pagare alla donna un risarcimento di cinquemila euro per danni morali. La sentenza, rende noto l’ufficio stampa della Corte, è la prima in assoluto in materia di esposizione dei simboli religiosi nelle aule scolastiche.

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LA TENEREZZA DI BENEDETTO XVI – QUELLA PREGHIERA DI VERITÀ PER CHI FATICA. EDITORIALE DI AVVENIRE

«A voi affido le mie intenzioni»: così mentre scende la sera il Papa, pellegrino a Viterbo, si rivolge alle monache di vita contemplativa, pronto ad aprire il suo sguardo orante sul mondo e a rendere il sacrificio di lode a Dio per la Chiesa. La domenica è passata veloce tra grida di speranza e sguardi di futuro. Uomini, donne, giovani, vecchi, tante mani supplichevoli tese a rintracciare l’Apostolo, la forza che emana e si affaccia alla storia, colore di novità per rendere nuova l’avventura umana in Cristo. Forza non sua, non sua per merito. Pietro conosce l’uomo: l’Apostolo non ha né oro né argento, non altro vanto se non il nome preziosissimo del Maestro di Galilea. Il vero vanto di Pietro, il suo unico sostegno, è sapere di essere Vicario e Altro ha la libertà di passare per il suo corpo, per la sua parola. Altro, Colui al quale non si è neppure degni di sciogliere i calzari.

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NEL CUORE DEL PAPA L’AMORE CHE NASCE E CRESCE NELLA FAMIGLIA,FOCOLARE DI VOCAZIONI

revolutionaryCASTEL GANDOLFO – Benedetto XVI ha spiegato questa domenica come i genitori preparano la vocazione dei propri figli, aiutandoli a scoprire il piano d’amore di Dio, con generosa dedizione. Lo ha fatto a mezzogiorno affacciandosi nel cortile della residenza pontifica di Castel Gandolfo in occasione dell’Angelus. “Quando i coniugi si dedicano generosamente all’educazione dei figli, guidandoli e orientandoli alla scoperta del disegno d’amore di Dio, preparano quel fertile terreno spirituale dove scaturiscono e maturano le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata”, ha affermato.  “Si rivela così quanto siano intimamente legati e si illuminino a vicenda il matrimonio e la verginità, a partire dal loro comune radicamento nell’amore sponsale di Cristo”, ha aggiunto. Per indicare l’importanza della famiglia nella vocazione di ogni persona, Benedetto XVI ha ricordato “innumerevoli esempi di genitori santi e di autentiche famiglie cristiane, che hanno accompagnato la vita di generosi sacerdoti e pastori della Chiesa” nel corso della storia. In particolare, si è riferito ai beati coniugi Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini e alle famiglie dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno.

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BENEDETTO XVI ALL’ANGELUS QUESTA DOMENICA ESORTA I PAESI INDUSTRIALIZZATI A TUTELARE IL PIANETA.

CITTA’ DEL VATICANO – Il Papa richiama i Paesi industrializzati a cooperare per il futuro del Pianeta e perché non siano i più poveri a pagare il prezzo più alto dei cambiamenti climatici. Al centro della sua catechesi all’Angelus, recitato nella residenza estiva di Castel Gandolfo, l’esempio mirabile di Santa Monica e l’amore coniugale via per la santità e terreno fertile per la vocazione religiosa dei figli. Dopo la recita dell’Angelus Benedetto XVI ha rivolto un appello in vista della prossima Giornata per la salvaguardia del Creato, che sarà celebrata il 1 settembre, “un appuntamento significativo – ha sottolineato – di rilievo anche ecumenico”, che ha per tema l’aria “elemento indispensabile per la vita”. “…esorto tutti ad un maggiore impegno per la tutela del creato, dono di Dio. In particolare, incoraggio i Paesi industrializzati a cooperare responsabilmente per il futuro del pianeta e perché non siano le popolazioni più povere a pagare il maggior prezzo dei mutamenti climatici”.

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