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GIOVANI E LAVORO, RAGAZZI DISORIENTATI NEGLI ATENEI E PRECARI UN ANNO DOPO LA MATURITÀ

GIOVANI (Italia) – C’è soprattutto l’università e un po’ di lavoro nei giorni dei giovani che hanno superato da un anno la maturità. Ci sono le lezioni, il caos delle aule e le nuove amicizie. Ma anche gli ordini del capo, le mansioni quotidiane e la paga a fine mese. I primi passi negli atenei e nelle imprese produttive. Eppure un sesto di loro sono fuori da tutto questo. Qualcuno, così presto, sta facendo i conti con il muro altissimo della disoccupazione e altri non hanno non neppure quello. Né un po’ di studio, né un impiego. Né la voglia di cercarlo più. E’ molto complessa e articolata la realtà dei giovani che escono in questi anni dalle superiori. Il consorzio interuniversitario AlmaLaurea ne restituisce un articolato profilo nel Rapporto sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati che verrà presentato all’università di Sassari giovedì 26 maggio. Nell’indagine, realizzata insieme all’organizzazione AlmaDiploma, vengono esplorati con attenzione i percorsi di un campione di giovani, circa 20.000, che si sono diplomati nel 2009 e nel 2007. 

Nella gran mole di dati si registra un leggero calo, rispetto agli anni scorsi, della proporzione di chi sceglie l’università. A un anno dal diploma, sei su dieci si sono iscritti a un ateneo. Ma non tutti seguono, o possono seguire, i corsi alla stessa maniera. Tre quarti di loro sono così studenti a tempo pieno mentre gli altri cercano di tenere insieme studio e lavoro. Poi c’è chi lavora e basta. Chi con lo studio, almeno per ora, ha chiuso. Sono in tutto il 23,6 per cento. E poi, ci sono i ragazzi più in difficoltà. L’undici per cento della generazione uscita dalla maturità nel 2009 cerca un impiego ma non lo trova. Sono loro a fare i prematuri conti con il permanere anche in Italia del mostro della disoccupazione. A loro si aggiunge un altro cinque per cento che ha smesso di studiare e un lavoro neppure lo cerca più.

Le traiettorie dei giovani sono molto diverse a seconda delle superiori che hanno frequentato. Il settanta per cento di quelli che sono stati al liceo, a un anno dal diploma, si impegnano solo negli studi universitari. Un altro 22 per cento è uno studente-lavoratore. Molto diverse le proporzioni negli altri casi. Va all’università il 51,6 per cento dei diplomati degli istituti tecnici e il 21,4 per cento degli istituti professionali. Così come sono diverse le proporzioni di quelli che a un anno dal diploma hanno già un impiego: il 53 per cento dei giovani usciti dagli istituti professionali, il 28 per cento dai tecnici e solo il 4 per cento dei liceali. Allo stesso tempo, i ragazzi degli istituti professionali sono quelli che più di altri stanno soffrendo la disoccupazione o lo “scoraggiamento”: il 25,6 per cento di loro sono in questa condizione. Tanti sono anche i ragazzi dei tecnici senza un impiego o che non lo cercano (il 19,7 per cento). “Il successo formativo del sistema scolastico secondario superiore – dice Andrea Cammelli – non si misura solo dall’esito finale dell’Esame di Stato, ma anche e soprattutto sulla capacità di inserimenti professionali o formativi di alto livello qualificati, dove sia certificato e valorizzato il sapere come il saper fare. Capire quali scelte, al di là delle intenzioni e dei desideri, i diplomati hanno compiuto per davvero, quali strade hanno seguito o abbandonato a uno e tre anni dal conseguimento del titolo, è una sfida importante perché incide sul miglioramento del sistema scolastico, sulle politiche all’istruzione, e sull’orientamento”.

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IL PAPA ALL’AMBASCIATORE DI SPAGNA: LA SOCIETÀ NON EMARGINI LA RELIGIONE, LA FEDE MIGLIORA IL MONDO

CHIESA NEL MONDO (Città Del Vaticano) – Rispetto per la libertà religiosa in generale e per la Chiesa cattolica in particolare. Difesa della famiglia e di una formazione per i giovani che non emargini i valori della fede. Sono i contenuti principali del discorso rivolto questa mattina da Benedetto XVI al nuovo ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede, la signora María Jesús Figa López-Palop, ricevuta in udienza per la presentazione delle Lettere credenziali. Alla neo ambasciatrice, nativa di Barcellona, che qualche minuto prima lo aveva salutato ribadendo i secolari legami della Spagna con il Vaticano e riconoscendo le radici cristiane che formano “l’identità” della nazione, così come il valore della “laicità positiva” con la quale il Paese intende rispettare tutte le credenze religiose, Benedetto XVI ha replicato con un discorso chiaro su come la Chiesa sia sempre al servizio del bene comune e di come la Santa Sede intenda i rapporti con le autorità istituzionali, in particolare “sui grandi temi di interesse comune”. Lo scopo delle relazioni diplomatiche, ha affermato, il Papa, “è quello di progredire sempre nel rispetto reciproco e nella cooperazione, all’interno della legittima autonomia nei rispettivi campi, per tutto ciò che riguarda il bene delle persone e l’autentico sviluppo dei loro diritti e delle loro libertà, compresa l’espressione della loro fede e della loro coscienza, sia in pubblico che in privato”.

Tuttavia – e il Papa lo aveva ripetuto nell’ultimo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace – oggi esistono “forme, spesso sofisticate, ostili alla fede, che si esprimono talvolta col rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispecchia l’identità e la cultura della maggioranza dei cittadini”: “ Che in certi ambienti si tenda a considerare la religione come un fattore socialmente irrilevante, e perfino fastidioso, non giustifica il fatto di volerla emarginare, a volte attraverso la denigrazione, il ridicolo, la discriminazione, compresa l’indifferenza davanti a episodi di chiara dissacrazione, con i quali si viola il diritto fondamentale alla libertà religiosa inerente alla dignità della persona umana, che ‘è una vera arma di pace, perché può cambiare e migliorare il mondo’”. La Spagna, come il resto del mondo, è coinvolta – ha osservato Benedetto XVI – da una crisi economica dai contorni “davvero preoccupanti”. La disoccupazione, soprattutto, sta provocando “delusione e frustrazione soprattutto nei giovani e nelle famiglie più svantaggiate”. Il Papa ha detto di aver a cuore tutti gli spagnoli, invitando gli amministratori della cosa pubblica a praticare la giustizia e la solidarietà e assicurando in ogni caso il sostegno della Chiesa, che vede in ogni persona la presenza di Dio. In particolare, parlando della difesa della vita e del sostegno offerto alla famiglia dalla Chiesa, il Papa ha detto di quest’ultima che essa “difende, inoltre, una educazione che integri i valori morali e religiosi secondo le convinzioni dei genitori, com’è loro diritto, e come conviene allo sviluppo integrale dei giovani. E, per la stessa ragione, chiede che essa includa anche l’insegnamento della religione cattolica in tutte le scuole che la scelgono”.

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PARROCCHIA SAN GIUSEPPE AL TRIONFALE, CACCIA AL TESORO: UN MIX DI GIOCO E SOLIDARIETÀ

EVENTI (Roma)- L’8 Maggio la Parrocchia San Giuseppe al Trionfale sta organizzando la Prima edizione della Caccia al Tesoro Cittadina che si svolgerà nell’arco di un’intera giornata.
In collaborazione con alcuni gruppi giovanili di formazione, il tema dell’iniziativa è “Gli Imperatori di Roma” che ha lo scopo di unire il gioco, lo sport, la passione per la fotografia,per la cultura insieme alla voglia di conoscere persone nuove e, perché no, riscoprire le bellezze di Roma.
La Caccia al Tesoro punta, però, alla solidarietà e al rispetto del’ambiente. Nel corso della giornata vi sarà una piccola raccolta fondi a sostegno di progetti concreti di enti ed associazioni impegnate nel sostegno dei più bisognosi e la promozione di forme di mobilità sostenibile attraverso l’uso di mezzi di trasporto ecologici.

Quali sono le regole del gioco della Caccia al Tesoro? I partecipanti si organizzano in squadre, formate da 4 persone,inventando il nome della propria squadra. Ad ogni squadra vengono date 4 t-shirt, uno zaino, una mappa del centro della città e una busta contenente 15 enigmi. La soluzione di ogni enigma è un monumento o un particolare di esso da fotografare. La città di Roma possiede un patrimonio artistico e culturale dal valore inestimabile che spesso viene dimenticato.E’ in questa occasione che i partecipanti potranno riscoprire le bellezze della nostra città in maniera divertente, promuovendo lo sport, la fotografia, la cultura e, allo stesso tempo, avere un occhio attento al rispetto per l’ambiente.

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YOUTUBE, FACEBOOK E IL NUOVO SITO INCONTRAGIOVANI.IT, ECCO “ROMA CAPITALE DEI GIOVANI”

GIOVANI (Roma) – Un canale YouTube, una pagina Facebook ed il nuovo sito internet http://www.incontragiovani.it. Queste alcune delle inziative che l’assessorato alla Famiglia, all’educazione e ai giovani del Comune di Roma ha previsto nel suo progetto “Roma Capitale dei giovani”, che apre la nuova stagione delle politiche giovanili nella Capitale. L’obiettivo, ha spiegato l’assessore Gianluigi De Palo, è quello di “un’amministrazione in dialogo con i giovani, in grado di parlare il loro linguaggio attraverso i social network  le email e gli sms, e di raccogliere da loro suggerimenti e idee”. Sulle pagine Facebook e YouTube dedicate a “Roma Capitale dei giovani” e attive già da alcuni giorni, i ragazzi potranno esprimere le loro opinioni, pensieri e proposte attraverso video, post ed interviste che, oltre a stimolare il dialogo tra gli utenti, potranno “rendere Roma una città a misura di giovane ed attivare una loro partecipazione diretta alla vita dell’amministrazione”.

Il progetto troverà il suo momento culminante a maggio, in un incontro pubblico a cui parteciperanno tutti i ragazzi che avranno inviato le loro idee e nel corso del quale l’assessorato comunicherà quali proposte sono state selezionate. Dal 25 maggio in poi il progetto partirà anche sul nuovo sito dedicato http://www.incontragiovani.it, realizzato da Zétema Progetto Cultura e promosso dal Dipartimento Servizi educativi e scolastici. Incontragiovani.it sarà un portale dinamico, perfettamente integrato con i principali social network, che vuole essere un punto di riferimento sempre aggiornato su cui trovare notizie, appuntamenti, iniziative, approfondimenti e guide sui principali temi giovanili. Il sito sarà organizzato in cinque aree tematiche: studio e formazione, lavoro e impresa, esperienze all’estero, cultura e spettacolo, città e tempo libero, che forniranno aggiornamenti ed informazioni da cui i ragazzi potranno prendere spunto per iniziare a progettare il loro futuro. Ci sarà poi lo spazio speciale “Giovani Artisti e Associazioni”, ideato per dare maggiore visibilità ai giovani talenti, al volontariato e alle associazioni giovanili. Registrandosi sul sito si potrà creare un profilo personale per promuovere le proprie attività. In un’altra sezione del sito si potrà invece rispondere ad alcune domande sulle eccellenze culturali italiane: per i più veloci in palio libri, cd, dvd e biglietti gratuiti per concerti, mostre ed eventi.

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IMMIGRATI, DOMANI A RADIO VATICANA INCONTRO CARITAS SULLA COLLETTIVITÀ POLACCA A ROMA

SOCIETÀ (Roma) – Domani alle 17, presso la sala conferenze di Radio Vaticana, si terrà il primo di una serie di incontri dedicati alle collettività di immigrati a Roma, con l’introduzione di padre Federico Lombardi. L’iniziativa, promossa dalle organizzazioni cui fa capo l’Osservatorio Romano sulle Migrazioni (Caritas diocesana, Camera di Commercio e Provincia di Roma), si propone di presentare questi gruppi nazionali che ormai costituiscono parte strutturale del tessuto sociale della Capitale e dell’intera area romano-laziale. Gli incontri sono imperniati sul più ampio coinvolgimento non solo delle realtà istituzionali, sociali e religiose (a partire dai cappellani degli immigrati, coordinati dalla Fondazione Migrantes), ma anche delle strutture collegate a queste stesse collettività, dalle ambasciate alle associazioni, dagli imprenditori ai mediatori culturali, ai giornalisti e così via.

L’incontro di apertura è dedicato alla Polonia, di cui, nella ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, va ricordata la partecipazione a diverse iniziative del Risorgimento e, durante le tragiche vicende della seconda guerra mondiale, l’apporto che il II Corpo d’Armata polacco diede per sfondare la “linea Gustav” e, quindi, la “linea Gotica” per liberare Bologna, a costo di 4.000 morti e 9.000 feriti. Questi soldati erano poco più di 100.000, all’incirca tanti quanti sono adesso gli immigrati polacchi, dei quali un quinto è concentrato nell’area romana. Pur rappresentando l’ottava collettività per consistenza numerica e pur essendo l’Italia molto amata dai polacchi, come attestano diverse indagini, il nostro paese non sta in cima alle preferenze dei migranti di Varsavia e dintorni che, avendo fruito di un’ottima formazione, si indirizzano altrove (ad esempio in Gran Bretagna) per trovare più significativi sbocchi professionali. La collettività polacca, nella quale le donne incidono per il 70%, è uno dei casi più significativi del cosiddetto “spreco dei cervelli” e, ciò nonostante, si tende ancora a inquadrarle sempre come collaboratrici domestiche.

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MINORI IN CARCERE, INTERVISTA A PADRE GRECO: “È ANCORA EMERGENZA EDUCATIVA”

MINORI (Roma) – Dopo la riforma del codice di procedura penale minorile del 1988, il carcere per i ragazzi autori di reati è divenuta ormai un rimedio estremo. Eppure, gli istituti penali per minorenni sono diventati dei luoghi di marginalità sociale in cui finiscono solo stranieri, rom e ragazzi del Sud d’Italia. Questa la fotografia scattata dall’associazione Antigone, che ha redatto il “Primo rapporto sugli istituti penali minorili”, un dossier che racconta di un sistema che funziona bene, anche se non per tutti. L’associazione ha confrontato le denunce, gli ingressi nei 27 centri di prima accoglienza – che ospitano i minorenni fino a 96 ore dopo l’arresto – e le presenze nei 19 istituti penali del territorio italiano: i numeri dicono che gli stranieri sono una minoranza tra i denunciati, ma una maggioranza nelle case circondariali. Mariaelena Finessi di Zenit ha intervistato padre Gaetano Greco, cappellano da trent’anni al carcere minorile romano di Casal del Marmo, che ci spiega la situazione delle carceri minorili italiane.

D – Dal 1998 al 2010 i minori stranieri che infrangono le regole sono diminuiti del 60%, eppure c’è una sovrarappresentazione nei cosiddetti “luoghi di privazione della libertà”, dove finiscono con l’eguagliare se non addirittura superare la componente dei minori italiani. Può spiegarne il senso?

R – Padre Greco: Il fatto è che i minori stranieri non usufruiscono di tutta la gamma delle pene alternative al carcere. Ad esempio, non avendo molto spesso una famiglia alle spalle qui in Italia, non possono tornare nelle proprie abitazioni oppure quando usufruiscono della comunità, vi si allontanano e allora i magistrati tendono a non concedere una seconda volta questo genere di misura, confermando per loro la pena detentiva.

D – Qual è la composizione dei minori nell’istituto penale minorile di Casal del Marmo, dove lei è cappellano? Antigone spiega nel dossier che i ragazzi sono in maggioranza rom e che, quando sono italiani, provengono dalle periferie delle grandi città del Sud.

R – Anche a Roma la maggioranza, è vero, è fatta di stranieri, perlopiù rom della Romania. C’è però un nuovo elemento, ossia il ritorno massiccio degli italiani in carcere, anche qui – ipotizzo – per via del non rispetto delle misure alternative da parte dei ragazzi che si allontanano dalla comunità alla quale sono stati assegnati. Che siano invece del Sud questo non lo condivido, a meno che intendiamo i migranti meridionali di lungo corso, non certamente degli ultimi anni. E che provengano dalle periferie delle città, questo sì. Specie quelle difficili e degradate, come è Tor Bella Monaca a Roma, o l’ex Bastogi o il Laurentino 38.

D – Padre, su chi pensa debbano ricadere le responsabilità dello sbandamento dei giovani?

R – Viviamo una situazione nuova, forse inaspettata ma è ciò che accade quando non ci si assume la responsabilità delle proprie azioni, dei propri gesti. Il nodo fondamentale è la deresponsabilizzazione degli adulti, comprese le agenzie di formazione, che ad un certo momento hanno cominciato a sentire di meno il senso della propria missione e del proprio ruolo nei confronti dei ragazzi, lasciandoli in balia delle proprie fragilità.

D – È dunque vero che c’è una contrazione del volontariato in carcere?

R – Dando per assodato e consolidato ciò che di buono è stato fatto e continua a farsi, non può essere negata una minore attenzione verso i ragazzi detenuti. È anche questo un aspetto di una società che vive una profonda crisi valoriale, dove a prevalere sono gli egoismi. Riemerge dunque oggi un elemento che è proprio dell’uomo a cui è venuto meno il senso di appartenenza ad una collettività.

D – È l’emergenza educativa di cui parla più volte Benedetto XVI, come ad esempio nella Lettera inviata nel 2008 alla diocesi e alla città di Roma, nella quale scrive che la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa è la «crisi di fiducia nella vita» o, come scrive al cardinale Bagnasco, presidente della Cei, nell’ottobre 2010, là dove si riconosce la «fatica di tanti adulti nel concepirsi e porsi come educatori».

R – Esatto. Questo documento ha illuminato una realtà che molti non hanno voluto vedere. Il cardinale Bagnasco ha fatto suo l’appello del Santo Padre e la Cei ne ha preso atto nel redigere il documento conclusivo della 46esima Settimana sociale. E così nei prossimi dieci anni l’impegno della Chiesa, e mi auguro della società tutta, andrà in questa direzione: ridare vigore alla formazione. L’augurio è che ciascuno di noi si senta responsabile e provi a porre rimedio al degrado educativo in cui siamo caduti. Lo dobbiamo ai ragazzi, questo è ovvio, ma anche della nazione. In fondo sono loro il nostro futuro.

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TECNOLOGIA, L’ALLEANZA TRA I GIOVANI NATIVI DIGITALI ED I PROFESSORI PUÒ CAMBIARE LA SCUOLA

TECNOLOGIA (Italia) – È ormai quasi retorico dire che le tecnologie digitali hanno trasformato il modo di comunicare, organizzare la vita, gestire informazioni e lavorare, perché tutti ormai lo constatiamo quotidianamente. La tecnologia è ovunque, e la sua repentina evoluzione, amplificata dal proliferare di sempre nuovi devices e applicazioni, consente di essere sempre connessi con la Rete in qualunque posto ci si trovi. Le parole chiave, oggi, sono connettività e portabilità. Se però è vero che la tecnologia è ovunque e ha trasformato la nostra vita, così non è per la scuola che è rimasta pressoché impermeabile al fenomeno.

Eppure proprio le conseguenze della pervasività delle tecnologie nella vita dei più giovani chiedono all’istituzione scolastica, e ai suoi insegnanti, di interrogarsi su come interpretare la propria missione educativa. La scuola si trova di fronte a importanti questioni che mettono in discussione alcuni capisaldi fondamentali, non ultime le teorie psicopedagogiche fino ad ora in voga nella scuola e la funzione democratica del sistema scolastico. Quanto al primo aspetto basti far cenno a come la diffusione delle tecnologie mal si coniughi con una impostazione frontale della didattica, ridefinendo i contorni del rapporto docente-studente e, più in fondo, l’idea di “scuola” intesa come luogo fisico privilegiato per la trasmissione del sapere e l’insegnamento e la costruzione delle conoscenze. L’insegnante non è più l’unico depositario del sapere. I giovani sono i veri esperti delle tecnologie: ne sanno molto di più dei loro genitori e dei loro insegnanti. A salire in cattedra in questo caso potrebbero essere proprio loro, i nativi digitali.

Inoltre il secondo digital divide – che non riguarda più il solo accesso ma le differenze d’uso – richiama la scuola a interpretare tra le altre anche una funzione di tipo democratico. Alla scuola, quindi, luogo deputato alla formazione di “cittadini” del mondo, viene chiesto di essere “ascensore” sociale capace di offrire eque opportunità per tutti. La domanda che ci poniamo è se studenti provenienti da ceti sociali più poveri possono colmare divario culturale e opportunità di successo attraverso una scuola maggiormente digitalizzata, affinché la diffusione delle tecnologie non li releghi ancor più – secondo la logica di una profezia autoavverantesi – in una vita infelice e poco soddisfacente. È a queste domande che cerca di rispondere il volume Un giorno di scuola nel 2020. Un cambiamento è possibile? della Fondazione per la Scuola, che contiene contributi originali di esperti autorevoli sul tema. Il volume fa il punto sulle evidenze scientifiche più recenti e mette in luce alcune consapevolezze – imprescindibili – da cui partire, perché la scuola sia più rispondente agli obiettivi e alle esigenze di apprendimento degli studenti, personalizzante, maggiormente focalizzata a sostenere le potenzialità di tutti i ragazzi.

Ma quali sono, allora, gli effetti delle tecnologie sul micro-sistema della relazione educativa? Chi sono, davvero, gli studenti che varcano oggi la soglia delle nostre scuole? Come hanno risposto scuole e insegnanti a queste ondate di cambiamento? La ricerca scientifica ci consegna un quadro molto complesso. L’universo dei nativi digitali è sfaccettato e multiforme. Usando termini come net generation, digital natives, generazione post-1982, si rischia di dare corpo ad un modello stereotipato di studente, di fatto senza età, senza sesso, senza preferenze e valori. Gli esiti delle indagini sui New Millennium Learners (NML) del Ceri-Ocse mettono in luce questa disomogeneità. Innanzitutto esistono significative differenze di genere: se i ragazzi usano più frequentemente il computer, le ragazze lo utilizzano per elaborare testi, inviare sms ed e-mail, animare blog. Anche provenire da un contesto socioeconomico più favorevole determina sia un accesso maggiore alle tecnologie, sia un utilizzo amplificato e più proficuo.

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GIOVANI (Roma) – Anche quest’anno Roma Capitale è attivata per organizzare corsi professionali gratuiti di durata biennale e triennale rivolti a ragazzi di età compresa fra i 14 ai 18 anni, anche per i giovani con disabilità. I corsi, organizzati dai Centri di Formazione Professionale sparsi su tutto il territorio del Comune di Roma, sono stati istituiti dal Campidoglio che, da decenni, forma i giovani romani, insegnando loro un mestiere. Attraverso questi corsi di formazione il ragazzo può sviluppare competenze, tecniche e pratiche, che potranno aiutarlo nella ricerca di un posto di lavoro, sia come dipendente che nell’aprire una propria attività.

Sono molteplici le discipline dei CFP tra cui gli studenti possono scegliere: grafico pubblicitario, grafico informatico, operatore hardware, elettricista, montatore, meccanico, estetista, operatore della ristorazione e molti altri ancora. I corsi sono organizzati in lezioni teoriche con esercitazioni di laboratorio in aula, e offrono la possibilità di svolgere dei tirocini presso aziende convenzionate, sotto l’occhio osservatore di un tutor. Le lezioni sono articolate in tre livelli: i corsi di primo livello, della durata di 2-3 anni, sono rivolti ad un target di ragazzi tra i 14 e i 18 anni, che abbiano terminato la scuola del’obbligo; il target di riferimento dei corsi di secondo livello, di durata variabile tra le 600 e le 1.200 ore, sono i giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni, che hanno terminato gli studi secondari.; infine, i corsi di terzo livello, rivolti principalmente a giovani neolaureati o disoccupati, che si prefiggono di fornire ai ragazzi un alto livello di specializzazione. Oltre a tutti questi, sono previsti anche dei percorsi formativi individuali. Al termine dei CFP gli studenti, dopo aver superato un esame, otterranno l’attestato di qualifica professionale che permetterà loro di accedere al mondo del lavoro.

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UN PONTE TRA DUE DIVERSE REALTÀ: I RIFUGIATI STRANIERI ASSISTONO I MALATI SLA ITALIANI

SOLIDARIETÀ (Roma) – Un aiuto concreto per i malati italiani di sclerosi laterale amiotrofica. È l’iniziativa umanitaria avviata dall’associazione “Viva la vita onlus” e Centro Astalli, servizio dei gesuiti per i rifugiati che organizzano corsi specifici di assistenza domiciliare per contribuire a soddisfare le esigenze dei malati di Sla. Al progetto benefico partecipano i cittadini stranieri con status di rifugiati politici o che abbiano ricevuto protezione per motivi umanitari; essi porteranno un po’ di speranza ed un aiuto concreto a alle persone affette da Sla.

L’attività di “Viva la vita onlus” si opera con il motto del “do ut des”: da una parte si dà ai rifugiati la possibilità di avere quella solida formazione professionale necessaria per diventare assistenti domiciliari, con specializzazione specifica per l’assistenza a malati di Sla e trovare, in futuro, un lavoro nel settore; dall’altra, si curano le persone ammalate nelle loro sofferenze fisiche, ma anche morali. Un pakistano, due eritrei, un somalo e un camerunense: sono cinque gli operatori che hanno già frequentato il primo ciclo di lezioni teoriche di 36 ore essenziali ad inquadrare la malattia, il tipo di assistenza da effettuare e le attrezzature di cui malati necessitano; successivamente, i rifugiati stranieri hanno iniziato un tirocinio che prevede 24 ore di assistenza presso famiglie e strutture residenziali. Secondo Emanuela Limiti, del Centro Astalli, le persone sono state selezionate in base all’attitudine al lavoro di assistenza ai malati e che avevano già deciso di intraprendere questo percorso formativo.

Alcuni stranieri, nella loro terra di origine, avevano già avuto esperienza nel campo medico in qualità di infermieri o tecnici ospedalieri, mentre altri hanno svolto altre professioni (giornalisti, raccoglitori di frutta etc.). “Trovare personale qualificato per l’assistenza domiciliare è difficile, perché servono competenze specifiche: bisogna conoscere la malattia, le sue conseguenze e le attrezzature necessarie ad operare”, dichiara Stefania Chiucchiù, che per assistere il marito affetto da Sla ha dovuto abbandonare il suo lavoro. La donna, una specialista del settore, ha tenuto otto ore di lezione agli operatori stranieri, occupandosi dell’area motoria e di come mobilizzare i malati che, per effetto del morbo di Gehrig, man mano perdono tono muscolare e vanno incontro all’immobilità.

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UNITÀ D’ITALIA, IL RUOLO DEI CATTOLICI NEL PROCESSO DI UNIFICAZIONE DEL NOSTRO PAESE

SPECIALE 150 ANNI (Italia) – Fare memoria e guardare al futuro, in spirito di leale collaborazione per la promozione dell’uomo ed il bene del Paese. È il senso della Messa promossa dalla Cei per giovedì prossimo, nell’ambito delle celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia. La Messa, alle ore 12, sarà presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco nella basilica di Santa Maria degli Angeli. “Un segno importante”, afferma Agostino Giovagnoli, direttore del dipartimento di Scienze storiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che RomaSette ha intervistato alla vigilia della ricorrenza. “L’impegno della Chiesa per l’unità del Paese – ha spiegato Giovagnoli – è in atto da anni: pensiamo al pontificato di Giovanni Paolo II e all’azione della Cei, con la Grande preghiera per l’Italia, per contrastare quelle tendenze disgregatrici e secessioniste che la Chiesa avverte con preoccupazione, interpretando le esigenze più vere di tutti gli italiani”.

D -Qual è stato il ruolo della Chiesa e dei cattolici nell’Italia unita?
R – Un ruolo importante, anche se il conflitto Chiesa-Stato ha segnato le origini dello Stato unitario. L’unificazione è un processo di secoli, non è solo quello degli ultimi anni prima dell’unità. Un processo che comprende appieno la formazione che la Chiesa ha esercitato nella costruzione dell’identità italiana, premessa dello Stato unitario.

D – Le radici dell’Italia affondano quindi ad un periodo molto anteriore all’800.
R – Assolutamente. Penso alla creazione dello «spazio italiano», prima ancora dello Stato italiano, e penso al ruolo cruciale del Papa in modo particolare. Nell’800 c’è stato poi chi ha raccolto l’eredità precedente e l’ha portata dentro il processo di unificazione anche politico-istituzionale. Penso al ruolo di figure come Rosmini e Manzoni, che sono stati interpreti di questa eredità e l’hanno trasformata in una delle componenti fondamentali del dibattito risorgimentale.

D – Si è parlato di un’unificazione imposta a tutto il territorio nazionale, che avrebbe poi compromesso l’autonomia di alcune regioni e il loro sviluppo.
R – L’Italia era divisa in Stati, e le esigenze della storia hanno spinto per il superamento di un frazionamento avvertito come anacronistico dai protagonisti del Risorgimento per motivi culturali, economici, di politica internazionale. Il processo di unificazione si è rivelato positivo per la modernizzazione del Paese. Pensiamo a quello che poteva rappresentare un’Italia divisa, con barriere e dogane, con la limitazione nella mobilità dei capitali, delle idee, della manodopera. Le modalità dell’unificazione, poi, si possono discutere.

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GIOVANI E LAVORO: INIZIATIVE PER INTRAPRENDERE UN COMUNE PERCORSO DI CRESCITA

ROMA – A poco più di un anno dall’avvio del piano per favorire l’’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, i ministri Gelmini, Meloni e Sacconi hanno presentato un primo bilancio sui risultati ottenuti. Sei le linee di azione avviate con uno stanziamento complessivo di 1.082.000.000 euro suddivisi tra ministero del lavoro e delle politiche sociali (486 milioni), ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca (492,5 milioni) e ministro della Gioventù (103,8 milioni). Da sottolineare l’inizio della fase di ristrutturazione del Sistema Informativo Excelsior, al fine di identificare, a cadenza trimestrale, le principali tendenze delle professioni richieste dal mercato del lavoro in ciascuna provincia. Attraverso la partecipazione ai programmi PISA e PIIAC dell’OCSE, inoltre, ha preso il via un monitoraggio delle effettive conoscenze dei giovani italiani.

Centrale il ruolo delle Regioni insieme alle quali sono stati promossi degli accordi per incentivare l’utilizzo del contratto di apprendistato di primo livello e avviato nel contempo il progetto Fixo di Italia Lavoro per quello di terzo livello (o di alta formazione) diretto all’acquisizione di titoli di studio, compresi i dottorati di ricerca. Le iniziative vedono anche il coinvolgimento di istituti tecnici superiori come speciali Scuole di tecnologie al fine di formare “super-tecnici” nelle aree tecnologiche del piano di intervento Industria 2015. Infine, da ricordare le iniziative avviate dal ministro della Gioventù per favorire l’occupazione dei giovani, in particolare la messa a regime del progetto “Campus Mentis“” promosso dal Ministro della Gioventù e dall’Università La Sapienza di Roma che coinvolge i migliori 20.000 neo laureati d’Italia e le principali università pubbliche.

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SCUOLA: SCRUTINI, COPIA-INCOLLA E VOTI PUNITIVI: COSA STA SUCCEDENDO?

A lavori ancora in corso, posso dire che le cose che ho letto sul sussidiario sono tutte vere e scrivo la mia con un po’ di tristezza. Da me siamo all’80 per cento dell’opera e non sta andando bene, nonostante il passaggio in collegio docenti di una delibera quadro dedicata al tema della valutazione. La scuola italiana ha bisogno di un’anima per ridare senso a quello che gli studenti, giorno dopo giorno, sono chiamati a fare: parlo della passione del lavoro di docente, della capacità di trasmettere entusiasmo, della capacità di convincere circa l’utilità dello studio personale, della capacità di adeguare il processo di insegnamento al mutato quadro concettuale e mentale dei giovani (i cosiddetti stili cognitivi).

Non dobbiamo prendercela con gli scrutini: se la valutazione non funziona non è colpa dello scrutinio elettronico e neanche della confusione mentale prodotta dalla necessità di valutare (tentare di valutare) per competenze. Non è colpa degli scrutini se la valutazione è in crisi; ma allo scrutinio un DS scrupoloso vede parecchie cose della scuola meritevoli di attenzione. La mia scuola è fatta per l’80 per cento da un vecchio Itis (ora Istruzione Tecnica settore Tecnologico, indirizzi Meccanico, Elettrotecnico ed Informatico) e per il restante 20 per cento da un vecchio Liceo Scientifico Tecnologico (ora Liceo Scientifico Opzione Scienze Applicate). Vediamo allora cosa ho visto.

Si boccia troppo – È troppo diffuso il principio della valutazione intesa come premio-punizione e troppo poco diffusa un’idea di valutazione come momento formativo e come momento in grado di intervenire sulla dimensione affettiva dello studente nei confronti del suo processo di apprendimento.
Qualche docente teorizza esplicitamente l’idea che i voti del primo quadrimestre servano da lezione per indurre gli studenti a studiare. A parte il rischio di indurre conclusioni del tipo non ne vale la pena, trovo singolare che un professionista dell’insegnamento non si interroghi sul fatto che non possa accadere che una intera classe cambi completamente, e in maniera drastica, il suo rendimento in una materia solo perché è cambiato il docente.

I casi sono due: o è stato preceduto da un incompetente (o da una intera serie di incompetenti), e allora avrebbe dovuto segnalarlo tempestivamente al DS, oppure lui sta sbagliando in qualche cosa sia nel giudizio, sia nella prognosi, perché è ben noto che non si impara (e non si disimpara) a scrivere in tre mesi. La discussione su questi elementi in sede di scrutinio è abbastanza imbarazzante perché tra colleghi, tendenzialmente, non ci si espone e perché è naturale ammettere che, in caso di nuovo docente, si abbiano fasi di assestamento dovute a cambiamenti di metodologia. Tutto bene se discutessimo di un 6 che diventa 5; non ci siamo se invece l’intera classe viene presentata come insufficiente, bisognosa di essere messa in riga e magari gli stessi studenti lamentano una mancanza totale di disponibilità all’ascolto.

Questo aspetto del docente come monade dentro un momento di valutazione collegiale dovrebbe gradualmente attenuarsi se riusciremo a passare alla valutazione per competenze, ma in realtà (per farlo) ci sarebbe bisogno di momenti di condivisione del lavoro, orario di servizio distinto dall’orario di insegnamento, continuità nella composizione dei consigli di classe, tutte cose che si scontrano con i chiari di luna attuali.

Che voto dare – Valutare prove e prestazioni e poi farci sopra delle medie aritmetiche (neanche ponderate) è la prassi normale. Anche i docenti più impegnati ed emotivamente coinvolti cedono le armi di fronte ad una verifica andata male. Quasi nessuno apre il registro, si concentra sullo studente, scrive un giudizio in cui si colgono gli elementi più rilevanti e poi azzarda un voto (solo alla fine). Se si cerca di imporre la stesura di un giudizio si scatena la metodologia del copia e incolla. Non ho nulla contro il copia e incolla, ce l’ho con il rifiuto di pensare allo studente mentre si valuta e con l’approccio secondo cui si preparano giudizi precotti per ogni valore di voto.

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CULTURA E SOCIETÀ: UNA SFIDA CULTURALE PER LA VITA

Verso la Giornata del 6 febbraio: la Messa a Santa Maria in Traspontina e l’Angelus a San Pietro. Sabato il convegno dei ginecologi romani al Policlinico Umberto I.

ROMA – Una sfida culturale per la vita che inizi dalla formazione dei giovani. Questo l’impegno della diocesi per la 33ª Giornata nazionale per la vita che si celebra domenica 6 febbraio. Previsti un convegno, raccolte fondi, manifestazioni, veglie rivolte alla riflessione sul diritto alla vita, partendo dal messaggio “Educare alla pienezza della vita”, promulgato dal Consiglio permanente della Cei. Fino al momento culminante delle manifestazioni con la Chiesa di Roma che insieme al cardinale vicario Agostino Vallini si unirà alla preghiera dell’Angelus in piazza San Pietro con il Papa.

«L’educazione è la sfida e il compito urgente a cui – scrivono i vescovi nel messaggio di quest’anno – tutti siamo chiamati, ciascuno secondo il ruolo proprio e la specifica vocazione». Perché, osserva Benedetto XVI, «alla radice della crisi dell’educazione c’è una crisi di fiducia nella vita». «Il fattore più inquietante – si legge ancora nel messaggio – è l’assuefazione». Aborti, anziani abbandonati, eutanasia, vittime di incidenti sulla strada o morti bianche sul lavoro: «Tutto pare ormai normale e lascia intravedere un’umanità sorda al grido di chi non può difendersi. Smarrito il senso di Dio, l’uomo smarrisce se stesso».

Occorre una svolta culturale, che esige anche interventi sociali e legislativi mirati. «La vita ha una sua pienezza, una dignità in sé, non è uno strumento per qualcosa – spiega monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale universitaria -. È fondamentale la formazione e l’impegno di chi di fatto è al servizio della vita». Così, medici, personale sociosanitario e studenti delle facoltà di medicina e non solo saranno i protagonisti della Giornata di domenica prossima.

Ad aprire le manifestazioni, sabato mattina, nell’aula di ostetricia e ginecologia del Policlinico Umberto I, il convegno dei ginecologi romani sulla chirurgia durante il periodo gravidico. «Valutaremo i rischi per la madre e per il feto in caso di intervento chirurgico – illustra Nico Arduini, uno degli organizzatori -, oggi più frequente sia per il miglioramento diagnostico sia per il numero di gravidanze in età avanzata». Rischi chirurgici e farmacologici non grossi e che permettono di evitare l’aborto. Anche in caso di patologie gravi come il tumore. «Inaugureremo il nuovo centro didattico di Ginecologia della Sapienza – afferma Pierluigi Panici, direttore del dipartimento – e lanceremo l’istituzione di un centro di medicina traslazionale».

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A COLLOQUIO CON MAREK SKWARNICKI. «COSÌ GIOVANNI PAOLO II SI IMMERGEVA IN DIO»

INTERVISTA – In Polonia è conosciuto come «il poeta amico di Giovanni Paolo II». Una definizione che va stretta a Marek Skwarnicki il quale è anche giornalista, scrittore e romanziere di successo. E per quanto riguarda l’amicizia personale con Karol Wojtyla «non è qualcosa che uno può mettere sul proprio biglietto da visita, soprattutto adesso che il Papa polacco viene elevato all’onore degli altari», nota con humour, quasi per nascondere la grande commozione che sta vivendo dopo aver appreso la notizia che Giovanni Paolo II verrà beatificato a Roma il prossimo primo maggio. Lui ci sarà, a Dio piacendo, nonostante gli acciacchi inevitabili di un uomo anziano che sta per compiere 81 anni. La sua è vita è più avventurosa di un romanzo, proprio come quella di Wojtyla, avendo attraversato le tragedie della guerra, del nazismo e del comunismo con cuore puro e ardimentoso. Da ragazzino Marek Skwarnicki ha partecipato all’insurrezione di Varsavia del 1944, è stato prigioniero in un lager nazista, quindi ha sofferto le privazioni e le censure del regime comunista. Ha conosciuto Karol Wojtyla nel 1958 e ben presto la collaborazione col giovane arcivescovo di Cracovia diventerà un’amicizia intensa e profonda che si protrarrà anche dopo la sua elezione al pontificato. Con il Papa conterraneo ha mantenuto una corrispondenza epistolare di ben 127 lettere che Skwarnicki ha pubblicato qualche anno fa col titolo «Giovanni Paolo II: saluti e benedizione». «Ed ora – mi dice – ho ricevuto la benedizione più grande: Karol verrà proclamato beato!».

Qual è stata la sua prima reazione alla notizia?

Guardi, come tanti altri che hanno conosciuto Wojtyla da vicino, anch’io non ho mai avuto dubbi sulla sua santità. Ma adesso è diverso: la decisione di Benedetto XVI di proclamare beato il suo predecessore non è semplicemente un atto formale, è un evento spirituale che coinvolge la Chiesa ed entra nelle viscere del mio essere credente. Ripenso alla mia lunga amicizia con Karol e la vedo sotto una luce diversa, mi sento in uno stato di grazia tutto particolare.

Cosa intende dire?

Gli ho voluto bene e lui mi ricambiava con generosità ed affetto. I nostri colloqui non erano mai superficiali. Ho sempre considerato Wojtyla un fratello maggiore, anzi un padre. Ed ora capisco: tramite l’amicizia con lui sono stato introdotto all’autentico “sensus Ecclesiae”, all’esperienza quotidiana della fede come incontro.

C’è un ricordo particolare che in questo momento sovrasta tutti gli altri?

È un ricordo buffo. Stamattina, camminando lungo la via Franciszkanska dove ha sede l’arcivescovado, m’è venuto in mente quella volta che mi recai dal cardinale Wojtyla con una grande agitazione addosso. Era il 1965, avevo ricevuto una lettera dal Vaticano con cui venivo nominato membro del Ponticio Consiglio per i laici, senza mai essere stato informato prima. Chiesi spiegazione ed il cardinale allargò le braccia: «Scusami tanto, mi sono dimenticato di dirtelo!». Poi mi spiegò: «Ci vuole uno che vada a Roma per sfatare quella sciocca idea di “Chiesa del silenzio” che in Occidente hanno sui cattolici dell’Est Europa». Non è un caso che, pochi giorni dopo la sua elezione a pontefice, disse: «Non c’è più la Chiesa del silenzio, adesso parla tramite il Papa!».

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OGGI LA GIORNATA MISSIONARIA DEI RAGAZZI PER AIUTARE I COETANEI PIÙ IN DIFFICOLTÀ

ROMA – La Giornata missionaria dei ragazzi, che si celebra oggi in molti Paesi del mondo, invita i più giovani a intensificare il loro impegno di annuncio e di solidarietà verso i coetanei vicini e lontani. “Tanti bambini e ragazzi – come ha ricordato stamani Benedetto XVI dopo l’Angelus – formano una rete spirituale e di solidarietà per aiutare i loro coetanei più in difficoltà”. E’ importante – ha aggiunto il Papa – che crescano con sentimenti di amore superando l’egocentrismo e il consumismo. La “Giornata” è anche occasione di approfondimento del significato dell’Epifania.

Ma come viene vissuta dai ragazzi? Adriana Masotti l’ha chiesto a Baptistine Ralamboarison, segretario generale della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria, organismo che promuove l’iniziativa.

R. – I bambini fanno una sintesi – se così si può dire – di tutte le iniziative che hanno avviato, delle azioni da loro intraprese. Il culmine di questa giornata dell’infanzia è la celebrazione eucaristica, durante la quale viene fatta – da parte loro – una colletta che rappresenta la concretizzazione di quello che sentono spiritualmente e che va ad alimentare il Fondo universale dell’infanzia.

D. – Questa colletta, poi, serve a finanziare tanti progetti: può farci qualche esempio?

R. – L’Infanzia missionaria, grazie allo sforzo e ai sacrifici dei bambini, finanzia circa 2.500 progetti l’anno. Siamo vicini ad una cifra pari a 20-22 milioni di dollari. I progetti che finanziamo sono soprattutto progetti destinati a risvegliare il senso missionario dei bambini, perché questo è lo scopo dell’Opera, attraverso la pastorale ordinaria che va intrapresa in ogni diocesi proprio per far prendere coscienza al bambino del ruolo che ha nella Chiesa. Ci sono poi anche progetti di formazione scolastica, essendo le scuole cattoliche uno strumento eccellente per l’evangelizzazione; ma ci sono poi quei progetti che noi chiamiamo di “protezione della vita” e che riguardano gli orfanotrofi, i centri per handicappati, i centri di accoglienza. Laddove c’è bisogno, cerchiamo di dare un aiuto affinché i bambini possano avere un piccolo capitale per realizzare il loro progetto.

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ENTRA NELL’ASSOCIAZIONE PAPABOYS!

“I giovani dell’Associazione Nazionale Papaboys accolgono con gioia il messaggio del Vangelo e facendolo proprio nella vicinanza al Santo Padre, sono impegnati nel mondo (pur restando di proprietà di Cristo) nella quotidianità delle proprie parrocchie ed associazioni. I Papaboys sono giovani che vivono, crescono, si formano e si impegnano per apportare al mondo, specialmente nelle categorie più deboli, quella goccia preziosa che altrimenti mancherebbe e con la stessa gioia si fanno testimoni per i loro coetanei alla ricerca del senso della vita”. “Ragazzi del Papa” quindi, ma anche “Messaggeri di Pace” e “Testimoni del Risorto”. Un apostolato giovanile del terzo millennio cristiano.
NUOVI AMICI IN TUTTO IL MONDO!

Sarai messo in contatto con i nostri responsabili regionali o provinciali in tutta Italia; potrai interagire con loro divenendo amici, e potrete creare ulteriori momenti di incontro e di scambio di esperienze. Qualora non fosse presente nella tua zona una sede provinciale o regionale, pregheremo e lavoreremo insieme per poter rendere concreta questa possibilità! Il nostro obiettivo &graveve; allargare una rete provincia per provincia, in tutte le regioni italiane e tu stesso potrai diventare referente per un gruppo di altri giovani o per un comitato locale o per una provincia intera.

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VIAGGI, SPORT, TURISMO & ATTIVITA’ CULTURALI!

Sarà a tua disposizione il nostro servizio turistico “Papaboys Agency” per programmare il tuo soggiorno a Roma e/o in altre regioni e città italiane, con visite guidate, momenti “personalizzati”, accompagnato da altri giovani come te! Contatta il seguente numero: 06/97270529 e comunica il tuo numero di tessera! Inoltre sarai coinvolto in tutti i viaggi e “pellegrinaggi” annuali che l’Associazione organizza per i propri iscritti sia in Italia che all’estero.

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PROTAGONISTA ATTIVO & INTERATTIVO!

Sarai iscritto alla nostra newsletter e riceverai informazioni in tempo reale sulle iniziative, le partecipazioni e gli appuntamenti dell’Associazione Nazionale Papaboys. Potrai usufruire, come socio, di tutte le sezioni del nostro sito ufficiale che eventualmente richiedono utente e password. Inoltre, se vorrai organizzare un incontro o evento nel tuo territorio, potrai contare sul patrocinio dell’Associazione e potrai usufruire dell’aiuto del nostro Ufficio Stampa per il coinvolgimento di media ed istituzioni.

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LAVORO, VOLONTARIATO & MISSIONE!

Sarai informato sulle attività sociali di evangelizzazione, volontariato e missione che l’Associazione promuove o patrocina in Italia ed all’estero. Potrai fare esperienze di lavoro estivo in Italia ed all’estero con l’Accademia Britannica srl (Partner dell’Associazione Nazionale Papaboys) ed anche con gli altri partner dell’Associazione. Diventerai punto di riferimento per altri ragazzi che hanno scelto l’Accademia Vacanze e le proposte di vacanze studio che essa promuove. Hai bisogno di crediti per scuole superiori o università? Potrai partecipare ad esperienze di formazione presso la Sede Nazionale o le Sedi Regionali dell’Associazione Nazionale Papaboys.

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LA VITA CONSACRATA TORNA MISSIONARIA IN EUROPA PER RISVEGLIARE LA BELLEZZA DELLA FEDE CRISTIANA

ROMA – L’Europa è il continente più segnato dalla storia dalla vita consacrata, ma anche la terra dove la fede cristiana, i religiosi e le religiose oggi per il loro futuro vivono le maggiori sfide della società secolare e dove si sente l’esigenza di una testimonianza cristiana di qualità. Per questo l’Unione dei superiori generali (Usg) che riunisce la quasi totalità degli ordini e delle congregazioni religiose maschili, nel corso del 2010 ha dedicato due assemblee per ridisegnare la presenza e la missione della vita consacrata nel vecchio continente. Una verifica che sarà sigillata venerdì 26 novembre nell’incontro con Benedetto XVI.

La vita consacrata, dopo attenta analisi, sta decidendo d’assumere in Europa l’impegno per una profezia evangelica che risvegli davanti alla mente e al cuore della gente la bellezza della fede cristiana e della vita donata a Dio. Più del mantenimento delle opere che nel passato hanno fatto la gloria dei religiosi – si è ripetuto nell’assemblea di maggio e, oggi, nei lavori di apertura dell’attuale assemblea – ora si devono rivitalizzare i carismi delle origini che hanno contribuito a plasmare anche il volto cristiano dell’Europa. Un continente in affanno dentro le sfide della globalizzazione e le fatiche dell’unione e perciò bisognoso anche dell’aiuto della vita consacrata per ritrovare se stesso e guardare con fiducia il futuro dell’integrazione. A differenza dell’Europa – ha ricordato aprendo l’assemblea il rettore maggiore dei salesiani, don Pascual Chávez Villanueva, presidente dell’Usg – in altre zone del mondo la vita consacrata “sta conoscendo una crescita e uno sviluppo inimmaginabili”. Una lettura “più serena e profonda dei dati e della realtà odierna ci dice che i religiosi in verità sono stati i primi a capire il fenomeno della globalizzazione e le sue conseguenze, a denunciare il suo volto inumano e quindi a schierarsi a favore degli esclusi. Crediamo che, anche se i religiosi tornano alle cifre di prima del secolo XIX, la vita consacrata non sparirà mai. E non parlo in modo generico della vita consacrata, ma anche dei religiosi nella diversità degli istituti secondo i carismi specifici. Essi sono, oggi come ieri, una riserva dell’umanità. E oggi come ieri la chiave di rinnovamento sarà sempre il ritorno a Cristo come prima missione per essere testimoni di Dio nel mondo, la formazione di comunità umanamente attraenti, socialmente rilevanti, vocazionalmente feconde, e la collocazione nelle frontiere sociali, geografiche e culturali della missione, lì dove ci attendono gli uomini e donne più bisognosi”.

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COME RICONOSCERE I “TALENTI” DEGLI ALLIEVI? UN ARTIGIANO PER VINCERE L’INDIVIDUALISMO DEI DOCENTI.

SCUOLA – È in grado, la scuola, di riconoscere i “talenti” degli allievi nel rispetto delle differenze? Come svilupparli, nel quadro di un sistema scuola che sulla scorta di una vecchia cultura di impianto statalista, tende ancora a livellare tutto e tutti? Il sussidiario ha parlato di questo e altro con Giorgio Chiosso, pedagogista, che oggi a Torino aprirà i lavori del convegno Un’altra scuola è veramente possibile? quattro questioni aperte, un’unica sfida, promosso dal Dipartimento di Scienze dell’educazione e della formazione dell’Università di Torino.
Nella scuola attuale si confrontano libri e computer. Qual è a suo modo di vedere lo stato attuale della scuola italiana in questa dialettica tra passato e futuro? Chi è più “avanti”: allievi o insegnanti? Non da oggi la scuola appare più “arretrata” del resto della società. Questo perché la scuola è, per sua natura, prima di tutto un luogo di deposito di saperi ed esperienze che una generazione trasmette all’altra. Lo può fare con i libri e lo può fare con i computer: nell’uno e nell’altro caso essi sono strumenti, non fini. Tutto dipende dal fattore “uomo” e cioè da come gli insegnanti concepiscono e usano libri e computer. Se un docente fa studiare a memoria il testo non serve a niente e fa solo danni, ma lo stesso accade se un insegnante si limita a far “smanettare” i suoi allievi sulla tastiera di un pc. Ciò che conta è il senso che viene dato – da docenti e allievi – all’esperienza dell’apprendimento.

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ELEONORE METTE IN CRISI LA FRANCIA. LA CORAGGIOSA BATTAGLIA CONTRO L’EUGENETICA LEGALIZZATA

CONTROCORRENTE – La coraggiosa battaglia di una ragazza down di 24 anni contro l’eugenetica legalizzata. Protagonista di iniziative pubbliche, la giovane si batte contro la selezione dei concepiti che recano i segni dell’anomalia genetica. E fa breccia nei francesi. E non solo… Eleonore Laloux, 24 anni, e’ una sorridente ragazza francese che si e’ battuta piu’ degli altri per un lavoro. Nella cittadina di Arras, presso Lille, e’ impiegata negli uffici amministrativi di una clinica. Ormai a suo agio con i colleghi, si rende conto in genere solo all’uscita dall’ufficio che nonostante tutto resta spesso una persona ‘anormale’ negli sguardi dei passanti che incrocia. Sguardi che le fanno male, perche’ la classificano in un batter d’occhio in una casella giudicata a priori priva di speranza: quella delle persone down.

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ESSERE POVERI PER COSTRUIRE LA GIUSTIZIA! LA POVERTA’ NON E’ MASOCHISMO, E’ PARTECIPAZIONE!

RIFLESSIONE – La povertà non è masochismo, ma partecipazione. Consiste in effetti nella capacità di gestione delle proprie risorse a favore di chi nulla possiede e in tutto dipende da altri, come nel caso dei miseri e degli abbandonati, verro i quali occorre una carità previa di povertà sincera; come pure consiste nel retto utilizzo dei nostri beni e nella capacità instancabile di donazione. Essere poveri equivale a saper costruire la giustizia e a dare il nostro contributo perché si pongano le condizioni per il cessare delle ostilità e delle divisioni a cui la discrepanza fra miseria e ricchezza ci costringe con le relative discrimanzioni e ingiustizie perché equivale alla formazione di noi stessi per la solidarietà e la comunione con tutti. L’avidità e il potere sono sempre state le minacce dell’umanità, ed è risaputo che tanto sangue sparso, le ingiustizie, le sopraffazioni e i soprusi ai danni dei poveri e degli indigenti hanno sempre arricchito i pochi benestanti. In nome del profitto si sovvertono valori e tendenze culturali ed etiche, si modificano talvolta le relazioni interpersonali e anche il concetto di lavoro e di occupazione ha assunto in questi ultimi decenni sempre più insicurezza e instabilità a scapito del salariato e del lavoratore dipendente e in vista del guadagno dell’imprenditore e del capitalista e il mercato del lavoro sembra condizionato dalla tutela degli interessi di business delle imprese e dei singoli affaristi, sempre a danno di chi cerca risorse per il proprio sostentamento visto che non vi è più oggi sicurezza nel campo occupazionale e lavorativo. Si tende alla logica del profitto e del potere che esalta pochi e umilia la moltitudine.

Marti Luther King sognava un mondo rinnovato nella giustizia e nella solidarietà, sottolineando che “A questo mondo non è più questione di scegliere tra violenza e non violenza, si tratta di scegliere o non violenza o non esistenza. “ E questo sogno diventerà realtà solo nella comunione nella solidarietà.

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