USA – Negli Stati Uniti il Digital Youth Project mette a fuoco le potenzialità sociali, umane e didattiche del rapporto tra media digitali e giovani. Analizziamo i risultati con Matteo Bittanti, esperto di culture videoludica e collaboratore del progetto. Che cosa fanno davvero gli adolescenti online? È tutta una perdita di tempo, o peggio, qualcosa di pericoloso? Oppure i new media servono a estendere amicizie, approfondire relazioni, espandere interessi? Queste alcune delle questioni affrontate in una ricerca appena pubblicata, Living and Learning with New Media, lo studio etnografico finora più ampio e articolato riguardo l’uso dei media digitali da parte dei giovani statunitensi: 800 giovani e giovani adulti intervistati, un totale di oltre 5.000 ore di osservazione online, un team di 28 ricercatori in sparsi nel Paese, coordinati dalla University of Southern California a Irvine e dalla University of California a Berkeley. Sponsorizzata dalla MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning, l’indagine ha diffuso pochi giorni fa i risultati online sotto Creative Commons, inclusa l’ampia bozza di quello che sarà il volume cartaceo previsto l’anno prossimo presso MIT Press. Risultati che, va chiarito, riguardano strettamente i giovani statunitensi e rifuggono facili generalizzazioni. È solo l’inizio di un più ampio lavoro in corso, denominato appunto Digital Youth Project: in primavera 2009 partirà la seconda fase, con un terzo dei collaboratori che hanno partecipato finora, sempre coordinati da Mizuko (Mimi) Ito, maggiormente mirata sugli aspetti critici, oltre che inclusiva di giovani utenti in vari Paesi dell’America Latina.
Il progetto appare dunque complementare e parallelo alle indagini curate, sulla costa opposta, dal Berkman Center for Internet & Society (Harvard University), che per ora hanno trovato sintesi nel volume Born Digital e annesse appendici online, di cui abbiamo scritto recentemente su Apogeonline. Nell’un caso e nell’altro trattasi di dare voce direttamente ai giovani, con percorsi dal basso e trasversali, e offrire interpretazioni contestualizzate per porre nella giusta prospettiva elementi positivi e negativi del quadro generale. Soprattutto, si tratta di spazzar via quei miti urbani duri a morire, che, complici parecchi media tradizionali, alimentano ancora l’idea di un “lato oscuro della Rete” sostanzialmente inesistente.
Per leggere tutto il testo visita: http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=1992