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HAITI UN ANNO DOPO, UN ABBRACCIO NUOVO: QUI, PERCHÉ IL FILO NON SI SPEZZI E PERCHÉ QUESTO È PARADISO

HAITI – È passato un anno. Tempo di bilanci sembrerebbe, tempo per guardarsi indietro e dire cosa si è fatto e cosa non si è fatto, chi ha lavorato bene e chi no, di chi i meriti e di chi le colpe. A noi del Vilaj Italyen di Haiti non interessa guardare indietro, vogliamo guardare avanti e per farlo capiamo che dobbiamo guardare all’istante che oggi ci è dato di vivere. E così… guardiamo all’oggi, chiedendoci cosa ci ha tenuto qui in questi lunghi mesi, cosa ci ha fatto muovere sfidando l’impossibile della ricostruzione di un Paese da sempre devastato, cosa ci muove oggi davanti agli alti e bassi del colera. E perché continuiamo a proporre ai nostri amici di aiutarci e continuiamo, su un immondezzaio che sembrerebbe non aver futuro, a vivere le giornate con la nostra gente, indicando una strada, una speranza, un abbraccio nuovo. Guardando il volto della mia gente, fermandomi a parlare con loro o prendendo in braccio i loro bimbi sporchi e nudi, è come se mi fosse data la possibilità di ripartire ogni giorno dall’unica ragione che può tenere una persona qui: la generosità ed il buonismo finiscono in fretta in un posto così. Per cosa si resta e si continua a credere che anche qui sia possibile l’esperienza di felicità per l’uomo? Per Cristo, per l’Unico che questa condizione umana l’ha abbracciata come compito e l’ha vissuta fino in fondo, non rifiutando nulla di ciò che comportava.

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HAITI AD UN ANNO DAL TERREMOTO: ANCORA LONTANA LA RICOSTRUZIONE

HAITI – Oggi per Haiti è il giorno del ricordo. Ad un anno dal devastante terremoto che il 12 gennaio 2010 causò 250 mila morti e immani distruzioni, il cardinale Robert Sarah celebra una solenne liturgia, nella capitale Port-au- Prince sulla spianata antistante la Cattedrale distrutta dal sisma. Il presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum leggerà un Messaggio del Papa. Ieri il porporato aveva presieduto una Messa nel campo sfollati di Parc Acra. Ad Haiti sono oltre un milione le persone, di cui la metà bambini, che continuano a vivere nelle tende, mentre un’epidemia di colera ha provocato più di 3.600 morti da ottobre. Helene Destombes ha intervistato l’ambasciatore haitiano presso la Santa Sede, Carl-Henri Guiteau:

R. – C’est difficile de faire un bilan…
E’ difficile riuscire a fare un bilancio un anno dopo una catastrofe di tali proporzioni. E’ necessario anzitutto sottolineare la resistenza straordinaria del popolo haitiano, che malgrado sia ancora in mezzo alle macerie e nelle tende dà un senso alla vita. Questo è un popolo che ha sofferto molto nella sua storia ma che ha imparato a sorridere, a vivere. Tuttavia c’è un limite a questa capacità di adattamento. Bisogna anche sottolineare che l’aiuto umanitario è stato essenziale ed è arrivato da tutti i Paesi del mondo, permettendo di ridare speranza tante persone. Ora, a livello della ricostruzione – bisogna dirlo francamente – la situazione è penosa: ci sono state molte promesse, ma non abbiamo visto ancora segni reali di ricostruzione. Abbiamo la sensazione che non sia stato fatto molto in tale direzione.

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HAITI TRA VIOLENZE E COLERA. FIAMMETTA: COSÌ CERCHIAMO DI COMBATTERE IL COLERA E IL NOSTRO LIMITE

HAITI – Carissimi amici, vi scrivo queste righe dopo aver saputo che i giornali in Italia riprendono a parlare di Haiti. Come spesso succede, le cattive notizie viaggiano sempre più veloci e fanno più clamore di quelle buone. Prima di tutto vorrei rassicurare quanti hanno scritto e telefonato che noi di AVSI stiamo bene e continuiamo il nostro lavoro. Come sapete, il colera è alla fine arrivato in città e il contagio si estende. Purtroppo è difficile avere dei dati certi e che rappresentino davvero la situazione, ma certamente ci sono oltre mille vittime, che sono un numero enorme, e migliaia di contagiati in trattamento ospedaliero.

Gli ospedali della capitale sono alla capienza massima e le organizzazioni umanitarie come noi ricevono pressanti inviti ad attivarsi per cercare di prendere in carico almeno i casi meno gravi. Cosi abbiamo organizzato due tende in due avamposti di Cite Soleil, il quartiere più colpito, per identificare le persone contagiate, prestare la prima idratazione e vedere se si riesce a stabilizzare il paziente, prima di decidere se trasferirlo in un centro meglio attrezzato. Le persone vengono numerose, ed è di grande sollievo per loro avere un posto dove essere ascoltati e magari rassicurati, senza dover aver paura delle reazioni della gente, dell’isteria del contagio che si diffonde. Molti non hanno la fortuna di sapere dove andare e aspettano di essere veramente molto gravi per andare in ospedale, dove arrivano a volte troppo tardi. Per questo stiamo lavorando per migliorare la sensibilizzazione comunitaria e raggiungere tutti ma davvero tutti. Unicef ha approvato la nostra proposta di distribuzione di pastiglie per potabilizzare l’acqua a tutte le famiglie beneficiarie, cosi mentre facciamo la sensibilizzazione possiamo anche direttamente intervenire per migliorare la situazione di vita della gente. Vediamo che questa prossimità alla gente dà dei risultati, che il contagio leggermente rallenta là dove riusciamo ad arrivare in modo energico a sensibilizzare e prendere in carico la gente. Vorremmo fare di più, ma non sempre ne abbiamo le energie e le risorse e le nostre equipes a volte sono davvero stanche. Abbiamo anche ricevuto un appello da alcuni ospedali a prendere in carico i neonati delle mamme che entrano in trattamento di isolamento, affinché non deperiscano in assenza dell’allattamento. Avendo già lavorato sui neonati orfani di madre in risposta al terremoto, siamo pronti e il nostro staff è formato.

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CRISI UMANITARIA AD HAITI: EPIDEMIA DI COLERA COLPISCE GLI SFOLLATI

HAITI – “Nove mesi dopo un terremoto che ha causato la morte di più di 200mila persone, Haiti sta ancora attraversando una profonda crisi umanitaria che tocca i diritti umani di chi è stato sfollato a causa dalla tragedia”. A sostenerlo è Walter Kaelin, rappresentante Onu del segretario generale dei diritti degli sfollati, che parla di un milione e 300mila persone coinvolte a vario titolo nella crisi, tra chi ha perso la casa durante il terremoto e chi è sfuggito all’estrema povertà accentuata dal sisma del 12 gennaio scorso. A questo allarme se ne aggiunge un altro, lanciato dalle autorità sanitarie locali che parlano di un’epidemia di colera che ha già ucciso 135 persone. Sulla situazione sanitaria ad Haiti, Salvatore Sabatino ha intervistato Federico Filidei, medico del Gruppo di chirurgia d’urgenza dell’azienda ospedaliera universitaria di Pisa, che si era recato ad Haiti nel post-terremoto:

R. – La situazione al nostro arrivo era ovviamente disastrosa. La città era un brulicare di persone che stavano fuggendo, ovviamente soprattutto nella parte più vicina al centro gli edifici erano completamente crollati. Quindi, è una situazione molto, molto precaria.

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