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UNITÀ D’ITALIA, VIAN A ‘LA CIVILTÀ CATTOLICA’: “L’ITALIA SAREBBE IMPENSABILE SENZA IL PAPATO”

UNITÀ D’ITALIA – ‘La Civiltà Cattolica’, rivista fondata nel 1850 dalla Compagnia di Gesù su espressa volontà di Pio IX, ha organizzato, il 16 aprile, nella sua sede di via di Porta Pinciana, una tavola rotonda su “L’Unità d’Italia e i cattolici”. L’incontro si è voluto inserire nel dibattito sul ruolo della Chiesa cattolica nel processo risorgimentale. Argomento d’attualità considerato anche il 150° anniversario dell’Italia unita. Presenti alla conferenza in qualità di relatori, la docente di Storia Contemporanea alla Sapienza Emma Fattorini, il professor Francesco Margiotta Broglio ordinario di Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa, Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea alla Sapienza e Gian Maria Vian direttore dell’Osservatore Romano e docente di Filologia Patristica alla Sapienza. Moderatore padre Gian Paolo Salvini direttore de La Civiltà Cattolica.

Proprio quest’ultimo, nel discorso introduttivo, si sofferma sul fatto che “le celebrazioni del 150° dello Stato laico sono in sordina rispetto ai festeggiamenti del 1911 e del 1961”. Nei primi infatti “s’inaugurò il Vittoriano, nei secondi, invece, venne fondato un intero quartiere a Torino”. Ma forse ora “c’è meno retorica e più attenzione”, conclude padre Salvini, evidenziando come il “cambio di rotta dei cattolici nel processo unitario è stato nascosto dalla storiografia”. Visione cattolica che non fu “contraria all’Unità d’Italia”, sottolinea Fattorini. “Pio IX non era contro l’Italia ma contro un processo rivoluzionario percepito dal Pontefice come una corrente unitaria: che andava dalla Rivoluzione francese fino ai moti del 1848”, aggiunge la docente. E spiega come “l’Unità non comportò una crisi della religiosità” e come “anche le élites non fossero ostili all’attività pastorale della Chiesa almeno fino all’epoca di Francesco Crispi”.

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IL PAPA AI PARROCI ROMANI: SIATE UOMINI CON IL CUORE DI DIO, ANNUNCIATE LA VERITÀ ANCHE SE SCOMODA

BENEDETTO XVI (Città del Vaticano) – Il sacerdote non è un “amministratore”, ma un uomo scelto da Dio per imitare Cristo, che sa come Lui essere umile, amare l’umanità, avere sensibilità per i poveri, sostenere con coraggio la Chiesa là dove essa è minacciata. Con un’articolata lectio divina ispirata dal capitolo 20 degli Atti degli apostoli, Benedetto XVI si è intrattenuto stamattina con i sacerdoti della diocesi di Roma, guidati dal cardinale vicario, Agostino Vallini, nel tradizionale incontro annuale svoltosi nell’Aula della Benedizione. Avere l’occhio di Dio, non quello del burocrate. Non c’è alternativa per un sacerdote. San Paolo lo aveva compreso e San Luca descritto in quel capitolo degli Atti degli Apostoli che il Papa ha definito come “destinato agli uomini di ogni tempo”. L’attualità del testo antico è diventata materia di riflessione per il prete del tempo moderno, centellinata dal Pontefice frase dopo frase. Il sacerdote, ha affermato, anzitutto “non è un padrone della fede”: “Prete non si è a tempo solo parziale; si è sempre, con tutta l’anima, con tutto il nostro cuore. Questo essere con Cristo ed essere ambasciatore di Cristo, questo essere per gli altri è una missione che penetra il nostro essere e deve sempre più penetrare nella totalità del nostro essere”.

Il servizio, ha proseguito Benedetto XVI, chiama l’umiltà. Che non è esibizione di “falsa modestia” ma amore per la volontà di Dio, che proprio grazie all’umiltà del servitore può essere annunciata nella sua integrità, senza condizionamenti o preferenze, e senza “creare l’idea che il cristianesimo sia un pacchetto immenso di cose da imparare”: “Questo è importante: non predica un cristianesimo à la carte, secondo i gusti propri, predicando un Vangelo secondo le proprie idee preferite, secondo le proprie idee teologiche: non si sottrae dall’annunciare tutta, tutta la volontà di Dio, anche la volontà scomoda, anche i temi che personalmente non mi piacciano tanto”. Il testo paolino ha poi suggerito al Pontefice spunti di riflessione sul tema della conversione del cuore. “Conversione”, ha detto il Papa, è soprattutto quella del pensiero e del cuore, per cui la realtà non sono le cose tangibili o i fatti del mondo così come si presentano, ma realtà è riconoscere la presenza di Dio nel mondo. Da questa visione il sacerdote deve condurre la sua “corsa” nel mondo, senza mai perdere – ha raccomandato Benedetto XVI – lo smalto degli inizi: “Non perdiamo lo zelo, la gioia di essere chiamati dal Signore (…) lasciamoci rinnovare la nostra gioventù spirituale (…) la gioia di poter andare con Cristo fino alla fine, di ‘condurre a termine la corsa’ sempre nell’entusiasmo di essere chiamati da Cristo per questo grande servizio”.

Il sacerdote, come Paolo, ha affermato il Papa non deve pensare alla sua mera “sopravvivenza biologica”. Certo, custodirsi è doveroso, ma non dimenticando che l’offerta di sé, anche fino al dono della vita, assimila il sacerdote al suo modello, Cristo: “Solo Dio può farci sacerdoti, solo Dio può scegliere i suoi sacerdoti e se siamo scelti, siamo scelti da Lui. Qui appare chiaramente il carattere sacramentale del presbiterato e del sacerdozio, che non è una professione che dev’essere fatta perché qualcuno deve amministrare tutte le cose (…) E’ un’elezione dallo Spirito Santo”. Pio XI, ha ricordato Benedetto XVI, rimarcava il problema della “la sonnolenza dei buoni”, cioè la mancanza di argini che spesso gli stessi cristiani oppongono alle forze del male. Il sacerdote, ha ribadito, è chiamato a “vegliare” e a pregare intensamente: “’Vegliate su voi stessi’: siamo attenti anche alla nostra vita spirituale, al nostro essere con Cristo (…) pregare e meditare la Parola di Dio non è tempo perso per la cura delle anime, ma è condizione perché possiamo essere realmente in contatto con il Signore e così parlare di prima mano dal Signore agli altri”.

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80 ANNI DI RADIO VATICANA: DALLE ONDE AI BIT, QUANDO I PAPI SCONFISSERO LA BABELE DELLE LINGUE

CITTA’ DEL VATICANO – Un microfono aperto per amplificare nel mondo la voce dei Papi, raccontare la vita delle Chiese di ogni angolo del pianeta, difendere la fede cristiana da chi la considera superata o scomoda. Sono 80 anni che generazioni di giornalisti, di tecnici e di altre maestranze si mettono ogni giorno al lavoro alla Radio Vaticana per assolvere a questo preciso servizio. Con Benedetto XVI, sono sette i Pontefici che si sono avvalsi di questo strumento, che il primo fra loro, Pio XI, definì un “poderoso mezzo materiale per la diffusione dell’Idea”, cioè il Vangelo. E ad ogni traguardo raggiunto, ciascun Papa non ha dimenticato di celebrare l’importanza della “sua” Radio.

Ottant’anni di storia mostrano, della Radio Vaticana, un aspetto incontestabile: la più moderna tecnologia non ha mai snaturato la sua anima più antica. Né i pesi della storia hanno reso meno veloci i suoi messaggi. È un principio che vale da quando chi la volle, Pio XI, per primo tracciò nell’etere la traiettoria di un contenuto e di uno stile: la Radio del Papa intende parlare delle cose del cielo a chi sta sulla terra, senza distinzioni. E vuole farlo in quante più lingue possibili, quasi a voler sancire la sconfitta di Babele, dove all’inizio del mondo la diversità di idiomi oscurò la comprensione di Dio, mentre l’accordo col quale oggi lavorano le oltre 40 lingue portate al microfono può aiutare a ritrovare il sentore di quella perduta unità. La grande storia parte con la cronaca di un memorabile pomeriggio. Sono circa le 16.40 e una leggera tramontana serpeggia tra la folla riunita sulla collinetta alle spalle della Basilica di San Pietro, sede della nuova Statio Radiofonica della Città del Vaticano. Guglielmo Marconi – celebrato genio della fisica ma soprattutto principale autore delle portentose macchine che da ore stanno rombando a pieno regime – si avvicina al grande microfono e dice:

“Ho l’altissimo onore di annunziare che fra pochi istanti il Sommo Pontefice Pio XI inaugurerà la stazione radio dello Stato della Città del Vaticano. Le onde elettriche trasporteranno in tutto il mondo, attraverso gli spazi, la sua parola di pace e di benedizione. Per circa 20 secoli, il Pontefice Romano ha fatto sentire la parola del suo divino magistero nel mondo, ma questa è la prima volta che la sua viva voce può essere percepita simultaneamente su tutta la superficie della terra…”

Gli sguardi sono ora tutti su Pio XI. Questi si alza dalla poltrona rossa, guadagna il tozzo microfono lasciato libero da Marconi e comincia a parlare. Sono le 16,49 e mezzo mondo – da New York a Melbourne – sta ascoltando in simultanea. È il “miracolo” del primo Papa che conquista la dimensione dello spazio-tempo: “…Ci rivolgiamo primieramente a tutte le cose e a tutti gli uomini, loro dicendo, qui e in seguito, con le parole stesse della Sacra Scrittura: ‘Udite, o cieli, quello che sto per dire, ascolti la terra le parole della mia bocca. Udite, o genti tutte, tendete l’orecchio, o voi tutti che abitate il globo, uniti in un medesimo intento, il ricco e il povero. Udite, o isole, ed ascoltate, o popoli lontani’”.

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