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GIOVANI E LAVORO, RAGAZZI DISORIENTATI NEGLI ATENEI E PRECARI UN ANNO DOPO LA MATURITÀ

GIOVANI (Italia) – C’è soprattutto l’università e un po’ di lavoro nei giorni dei giovani che hanno superato da un anno la maturità. Ci sono le lezioni, il caos delle aule e le nuove amicizie. Ma anche gli ordini del capo, le mansioni quotidiane e la paga a fine mese. I primi passi negli atenei e nelle imprese produttive. Eppure un sesto di loro sono fuori da tutto questo. Qualcuno, così presto, sta facendo i conti con il muro altissimo della disoccupazione e altri non hanno non neppure quello. Né un po’ di studio, né un impiego. Né la voglia di cercarlo più. E’ molto complessa e articolata la realtà dei giovani che escono in questi anni dalle superiori. Il consorzio interuniversitario AlmaLaurea ne restituisce un articolato profilo nel Rapporto sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati che verrà presentato all’università di Sassari giovedì 26 maggio. Nell’indagine, realizzata insieme all’organizzazione AlmaDiploma, vengono esplorati con attenzione i percorsi di un campione di giovani, circa 20.000, che si sono diplomati nel 2009 e nel 2007. 

Nella gran mole di dati si registra un leggero calo, rispetto agli anni scorsi, della proporzione di chi sceglie l’università. A un anno dal diploma, sei su dieci si sono iscritti a un ateneo. Ma non tutti seguono, o possono seguire, i corsi alla stessa maniera. Tre quarti di loro sono così studenti a tempo pieno mentre gli altri cercano di tenere insieme studio e lavoro. Poi c’è chi lavora e basta. Chi con lo studio, almeno per ora, ha chiuso. Sono in tutto il 23,6 per cento. E poi, ci sono i ragazzi più in difficoltà. L’undici per cento della generazione uscita dalla maturità nel 2009 cerca un impiego ma non lo trova. Sono loro a fare i prematuri conti con il permanere anche in Italia del mostro della disoccupazione. A loro si aggiunge un altro cinque per cento che ha smesso di studiare e un lavoro neppure lo cerca più.

Le traiettorie dei giovani sono molto diverse a seconda delle superiori che hanno frequentato. Il settanta per cento di quelli che sono stati al liceo, a un anno dal diploma, si impegnano solo negli studi universitari. Un altro 22 per cento è uno studente-lavoratore. Molto diverse le proporzioni negli altri casi. Va all’università il 51,6 per cento dei diplomati degli istituti tecnici e il 21,4 per cento degli istituti professionali. Così come sono diverse le proporzioni di quelli che a un anno dal diploma hanno già un impiego: il 53 per cento dei giovani usciti dagli istituti professionali, il 28 per cento dai tecnici e solo il 4 per cento dei liceali. Allo stesso tempo, i ragazzi degli istituti professionali sono quelli che più di altri stanno soffrendo la disoccupazione o lo “scoraggiamento”: il 25,6 per cento di loro sono in questa condizione. Tanti sono anche i ragazzi dei tecnici senza un impiego o che non lo cercano (il 19,7 per cento). “Il successo formativo del sistema scolastico secondario superiore – dice Andrea Cammelli – non si misura solo dall’esito finale dell’Esame di Stato, ma anche e soprattutto sulla capacità di inserimenti professionali o formativi di alto livello qualificati, dove sia certificato e valorizzato il sapere come il saper fare. Capire quali scelte, al di là delle intenzioni e dei desideri, i diplomati hanno compiuto per davvero, quali strade hanno seguito o abbandonato a uno e tre anni dal conseguimento del titolo, è una sfida importante perché incide sul miglioramento del sistema scolastico, sulle politiche all’istruzione, e sull’orientamento”.

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AL VIA LE VACANZE ESTIVE: DOPO LE COLONIE MARINE E MONTANE ANCHE LA SCUOLA DIVENTA UN CAMPEGGIO

GIOVANI (Italia) – La scuola sta per concludersi e i ragazzi, per tre mesi, andranno in vacanza. Un problema che per i genitori che lavorano si presenta ogni anno, perché non hanno molta disponibilità di tempo da dedicare ai propri figli. Così alcuni Comuni italiani, pur con i bilanci sempre più critici, hanno deliberato che una scuola su quattro rimarrà aperta – dalle materne alle medie – affinché madri e padri non si affannino, prima delle agognate ferie, nella ricerca di una struttura che accolga i loro ragazzi. 

Negli ultimi due anni, la richiesta di campi estivi è aumentata un po’ ovunque in Italia: +10% a Torino e Milano, +5% a Bolzano dove le attività estive si svolgono soprattutto all’aperto, +15% a Roma e Napoli. Il personale che si occupa di accudire i bambini proviene da cooperative e associazioni, perlopiù del mondo cattolico, e il servizio dura fino alla fine di luglio. Ci si chiede: è giusto far rimanere i bambini, due mesi in più, a scuola? “Meglio a scuola, nei parchi e nei musei cittadini, con personale comunque già utilizzato in questo genere di attività”, dice Aldo Fortunati, direttore della ricerca dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, l’osservatorio nazionale più autorevole in materia di servizi per l’infanzia. Aggiunge poi: “Se le scuole materne e quelle elementari non restassero aperte sotto forma di centri estivi, si verificherebbe il paradosso che mentre i nidi per la fascia 0-3 anni funzionano, i bimbi più grandi dovrebbero rimanere a casa”. 

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2 MAGGIO 2011: CERIMONIA COMMEMORATIVA PER INTITOLARE IL PIAZZALE DI TOR VERGATA A GIOVANNI PAOLO II

SPECIALE BEATIFICAZIONE (Roma)- Il piazzale di Tor Vergata, sarà dedicato al futuro Beato Giovanni Paolo II: questa è l’iniziativa di Renato Lauro, rettore del secondo ateneo romano, che ha organizzato un evento commemorativo il giorno 2 maggio alle ore 16.30 presso l’università.Alla cerimonia saranno presenti, tra gli altri, il cardinale vicario Agostino Vallini e il cardinale Stanislaw Dziwisz, segretario di Giovanni Paolo II e attuale metropolita di Cracovia. La scelta del luogo non è casuale: proprio su quel piazzale, che accolse oltre due milioni di ragazzi, è stata posta la possente croce in acciaio realizzata per celebrare la Giornata mondiale della gioventù durante il Giubileo.

Il rettore di Tor Vergata ha dichiarato: “Abbiamo accettato volentieri l’invito del Vaticano ad ospitare la cerimonia. Per l’Università di Tor Vergata è un tributo importante proprio perché Giovanni Paolo II aveva a cuore la vita dei giovani e degli universitari”. A riprova di questo monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio per la pastorale universitaria, ha affermato: ”Giovanni Paolo II era affezionato al mondo dei giovani sin da quando era cappellano universitario a Cracovia. Durante il pontificato ha coltivato questa relazione anche con gli universitari romani”. Inoltre, «con la beatificazione si aprono le iniziative della pastorale universitaria per ricordare Papa Wojtyla. Il prossimo appuntamento è per il 18 maggio, in occasione del suo compleanno, con una Messa in tutte le cappelle; poi il 26 con una festa al Teatro Argentina”.Come ha ricordato il rettore dell’Ateneo, l’evento commemorativo 2 maggio rientra nel programma della Festa della Pace, giunta alla quinta edizione e organizzata dalla cappellania San Tommaso d’Aquino: “Grazie a questa iniziativa c’è la possibilità di coinvolgere i ragazzi di altre confessioni presenti nel nostro ateneo, dando così un senso tutto particolare all’evento”.

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“YOUCAT”, IL CATECHISMO DI BENEDETTO XVI: UN PICCOLO MANUALE LITURGICO PER I RAGAZZI DELLA GMG

GIOVANI (Città del Vaticano) – Nato da un’iniziativa di Giovanni Paolo II e portato a termine dal Santo Padre Benedetto XVI, domani, nella Santa Sede, verrà presentato Youcat, lo Youth catechism, il catechismo per i ragazzi. Con una copertina gialla e in formato tascabile, si tratta di un piccolo libro di 300 pagine, realizzato per i giovani in vista della prossima Giornata mondiale della gioventù, che si terrà a Madrid dal 16 al 21 agosto 2011. Il volume, con la premessa di Benedetto XVI, è una piccola guida spirituale che risponde a tutti gli interrogativi che i ragazzi si pongono riguardo l’importanza della religione nella loro vita.Youcat contiene più di 500 domande e risposte, che sono state elaborate sotto la guida di uno dei più fidati collaboratori dell’attuale Pontefice, l’arcivescovo di Vienna, cardinale Christoph Schoenborn.Gli interrogativi sono stati formulati in maniera sintetica e con un linguaggio semplice ed accessibile ai ragazzi, ma perfettamente consoni ai principi della Chiesa cattolica. Gli argomenti sono i più vari, da quelli strettamente religiosi – come capire cosa sono il peccato o la castità – alle questioni riguardanti la vita familiare e sociale, come il divorzio, il mondo economico, l’ambiente, i media etc.

A delle domande poste in maniera così rapida seguono risposte lunghe non più di 8-10 righe o meno, con un commento di circa venti righe.Un esempio: “Se Dio conosce ogni cosa e può fare ogni cosa, perché non impedisce il male?”, con la risposta: “Dio permette il male solo per lasciarne scaturire qualcosa di migliore” ed il commento: “Il male nel mondo è un mistero oscuro e doloroso (…). La morte e la risurrezione di Cristo ci mostrano che il male non aveva la prima parola e non avrà neppure l’ultima; dal male peggiore Dio ha fatto scaturire il bene migliore, e noi crediamo che col Giudizio Universale Dio porrà fine ad ogni ingiustizia”.La domanda sull’importanza della domenica è così illustrata: “Se la domenica viene trascurata o abolita, tutti i giorni sono solo lavorativi. L’uomo, che è stato creato per la gioia, diviene così un animale da lavoro e potenzialmente asservito al consumismo”.

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YOUTUBE, FACEBOOK E IL NUOVO SITO INCONTRAGIOVANI.IT, ECCO “ROMA CAPITALE DEI GIOVANI”

GIOVANI (Roma) – Un canale YouTube, una pagina Facebook ed il nuovo sito internet http://www.incontragiovani.it. Queste alcune delle inziative che l’assessorato alla Famiglia, all’educazione e ai giovani del Comune di Roma ha previsto nel suo progetto “Roma Capitale dei giovani”, che apre la nuova stagione delle politiche giovanili nella Capitale. L’obiettivo, ha spiegato l’assessore Gianluigi De Palo, è quello di “un’amministrazione in dialogo con i giovani, in grado di parlare il loro linguaggio attraverso i social network  le email e gli sms, e di raccogliere da loro suggerimenti e idee”. Sulle pagine Facebook e YouTube dedicate a “Roma Capitale dei giovani” e attive già da alcuni giorni, i ragazzi potranno esprimere le loro opinioni, pensieri e proposte attraverso video, post ed interviste che, oltre a stimolare il dialogo tra gli utenti, potranno “rendere Roma una città a misura di giovane ed attivare una loro partecipazione diretta alla vita dell’amministrazione”.

Il progetto troverà il suo momento culminante a maggio, in un incontro pubblico a cui parteciperanno tutti i ragazzi che avranno inviato le loro idee e nel corso del quale l’assessorato comunicherà quali proposte sono state selezionate. Dal 25 maggio in poi il progetto partirà anche sul nuovo sito dedicato http://www.incontragiovani.it, realizzato da Zétema Progetto Cultura e promosso dal Dipartimento Servizi educativi e scolastici. Incontragiovani.it sarà un portale dinamico, perfettamente integrato con i principali social network, che vuole essere un punto di riferimento sempre aggiornato su cui trovare notizie, appuntamenti, iniziative, approfondimenti e guide sui principali temi giovanili. Il sito sarà organizzato in cinque aree tematiche: studio e formazione, lavoro e impresa, esperienze all’estero, cultura e spettacolo, città e tempo libero, che forniranno aggiornamenti ed informazioni da cui i ragazzi potranno prendere spunto per iniziare a progettare il loro futuro. Ci sarà poi lo spazio speciale “Giovani Artisti e Associazioni”, ideato per dare maggiore visibilità ai giovani talenti, al volontariato e alle associazioni giovanili. Registrandosi sul sito si potrà creare un profilo personale per promuovere le proprie attività. In un’altra sezione del sito si potrà invece rispondere ad alcune domande sulle eccellenze culturali italiane: per i più veloci in palio libri, cd, dvd e biglietti gratuiti per concerti, mostre ed eventi.

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MINORI IN CARCERE, INTERVISTA A PADRE GRECO: “È ANCORA EMERGENZA EDUCATIVA”

MINORI (Roma) – Dopo la riforma del codice di procedura penale minorile del 1988, il carcere per i ragazzi autori di reati è divenuta ormai un rimedio estremo. Eppure, gli istituti penali per minorenni sono diventati dei luoghi di marginalità sociale in cui finiscono solo stranieri, rom e ragazzi del Sud d’Italia. Questa la fotografia scattata dall’associazione Antigone, che ha redatto il “Primo rapporto sugli istituti penali minorili”, un dossier che racconta di un sistema che funziona bene, anche se non per tutti. L’associazione ha confrontato le denunce, gli ingressi nei 27 centri di prima accoglienza – che ospitano i minorenni fino a 96 ore dopo l’arresto – e le presenze nei 19 istituti penali del territorio italiano: i numeri dicono che gli stranieri sono una minoranza tra i denunciati, ma una maggioranza nelle case circondariali. Mariaelena Finessi di Zenit ha intervistato padre Gaetano Greco, cappellano da trent’anni al carcere minorile romano di Casal del Marmo, che ci spiega la situazione delle carceri minorili italiane.

D – Dal 1998 al 2010 i minori stranieri che infrangono le regole sono diminuiti del 60%, eppure c’è una sovrarappresentazione nei cosiddetti “luoghi di privazione della libertà”, dove finiscono con l’eguagliare se non addirittura superare la componente dei minori italiani. Può spiegarne il senso?

R – Padre Greco: Il fatto è che i minori stranieri non usufruiscono di tutta la gamma delle pene alternative al carcere. Ad esempio, non avendo molto spesso una famiglia alle spalle qui in Italia, non possono tornare nelle proprie abitazioni oppure quando usufruiscono della comunità, vi si allontanano e allora i magistrati tendono a non concedere una seconda volta questo genere di misura, confermando per loro la pena detentiva.

D – Qual è la composizione dei minori nell’istituto penale minorile di Casal del Marmo, dove lei è cappellano? Antigone spiega nel dossier che i ragazzi sono in maggioranza rom e che, quando sono italiani, provengono dalle periferie delle grandi città del Sud.

R – Anche a Roma la maggioranza, è vero, è fatta di stranieri, perlopiù rom della Romania. C’è però un nuovo elemento, ossia il ritorno massiccio degli italiani in carcere, anche qui – ipotizzo – per via del non rispetto delle misure alternative da parte dei ragazzi che si allontanano dalla comunità alla quale sono stati assegnati. Che siano invece del Sud questo non lo condivido, a meno che intendiamo i migranti meridionali di lungo corso, non certamente degli ultimi anni. E che provengano dalle periferie delle città, questo sì. Specie quelle difficili e degradate, come è Tor Bella Monaca a Roma, o l’ex Bastogi o il Laurentino 38.

D – Padre, su chi pensa debbano ricadere le responsabilità dello sbandamento dei giovani?

R – Viviamo una situazione nuova, forse inaspettata ma è ciò che accade quando non ci si assume la responsabilità delle proprie azioni, dei propri gesti. Il nodo fondamentale è la deresponsabilizzazione degli adulti, comprese le agenzie di formazione, che ad un certo momento hanno cominciato a sentire di meno il senso della propria missione e del proprio ruolo nei confronti dei ragazzi, lasciandoli in balia delle proprie fragilità.

D – È dunque vero che c’è una contrazione del volontariato in carcere?

R – Dando per assodato e consolidato ciò che di buono è stato fatto e continua a farsi, non può essere negata una minore attenzione verso i ragazzi detenuti. È anche questo un aspetto di una società che vive una profonda crisi valoriale, dove a prevalere sono gli egoismi. Riemerge dunque oggi un elemento che è proprio dell’uomo a cui è venuto meno il senso di appartenenza ad una collettività.

D – È l’emergenza educativa di cui parla più volte Benedetto XVI, come ad esempio nella Lettera inviata nel 2008 alla diocesi e alla città di Roma, nella quale scrive che la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa è la «crisi di fiducia nella vita» o, come scrive al cardinale Bagnasco, presidente della Cei, nell’ottobre 2010, là dove si riconosce la «fatica di tanti adulti nel concepirsi e porsi come educatori».

R – Esatto. Questo documento ha illuminato una realtà che molti non hanno voluto vedere. Il cardinale Bagnasco ha fatto suo l’appello del Santo Padre e la Cei ne ha preso atto nel redigere il documento conclusivo della 46esima Settimana sociale. E così nei prossimi dieci anni l’impegno della Chiesa, e mi auguro della società tutta, andrà in questa direzione: ridare vigore alla formazione. L’augurio è che ciascuno di noi si senta responsabile e provi a porre rimedio al degrado educativo in cui siamo caduti. Lo dobbiamo ai ragazzi, questo è ovvio, ma anche della nazione. In fondo sono loro il nostro futuro.

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TECNOLOGIA, L’ALLEANZA TRA I GIOVANI NATIVI DIGITALI ED I PROFESSORI PUÒ CAMBIARE LA SCUOLA

TECNOLOGIA (Italia) – È ormai quasi retorico dire che le tecnologie digitali hanno trasformato il modo di comunicare, organizzare la vita, gestire informazioni e lavorare, perché tutti ormai lo constatiamo quotidianamente. La tecnologia è ovunque, e la sua repentina evoluzione, amplificata dal proliferare di sempre nuovi devices e applicazioni, consente di essere sempre connessi con la Rete in qualunque posto ci si trovi. Le parole chiave, oggi, sono connettività e portabilità. Se però è vero che la tecnologia è ovunque e ha trasformato la nostra vita, così non è per la scuola che è rimasta pressoché impermeabile al fenomeno.

Eppure proprio le conseguenze della pervasività delle tecnologie nella vita dei più giovani chiedono all’istituzione scolastica, e ai suoi insegnanti, di interrogarsi su come interpretare la propria missione educativa. La scuola si trova di fronte a importanti questioni che mettono in discussione alcuni capisaldi fondamentali, non ultime le teorie psicopedagogiche fino ad ora in voga nella scuola e la funzione democratica del sistema scolastico. Quanto al primo aspetto basti far cenno a come la diffusione delle tecnologie mal si coniughi con una impostazione frontale della didattica, ridefinendo i contorni del rapporto docente-studente e, più in fondo, l’idea di “scuola” intesa come luogo fisico privilegiato per la trasmissione del sapere e l’insegnamento e la costruzione delle conoscenze. L’insegnante non è più l’unico depositario del sapere. I giovani sono i veri esperti delle tecnologie: ne sanno molto di più dei loro genitori e dei loro insegnanti. A salire in cattedra in questo caso potrebbero essere proprio loro, i nativi digitali.

Inoltre il secondo digital divide – che non riguarda più il solo accesso ma le differenze d’uso – richiama la scuola a interpretare tra le altre anche una funzione di tipo democratico. Alla scuola, quindi, luogo deputato alla formazione di “cittadini” del mondo, viene chiesto di essere “ascensore” sociale capace di offrire eque opportunità per tutti. La domanda che ci poniamo è se studenti provenienti da ceti sociali più poveri possono colmare divario culturale e opportunità di successo attraverso una scuola maggiormente digitalizzata, affinché la diffusione delle tecnologie non li releghi ancor più – secondo la logica di una profezia autoavverantesi – in una vita infelice e poco soddisfacente. È a queste domande che cerca di rispondere il volume Un giorno di scuola nel 2020. Un cambiamento è possibile? della Fondazione per la Scuola, che contiene contributi originali di esperti autorevoli sul tema. Il volume fa il punto sulle evidenze scientifiche più recenti e mette in luce alcune consapevolezze – imprescindibili – da cui partire, perché la scuola sia più rispondente agli obiettivi e alle esigenze di apprendimento degli studenti, personalizzante, maggiormente focalizzata a sostenere le potenzialità di tutti i ragazzi.

Ma quali sono, allora, gli effetti delle tecnologie sul micro-sistema della relazione educativa? Chi sono, davvero, gli studenti che varcano oggi la soglia delle nostre scuole? Come hanno risposto scuole e insegnanti a queste ondate di cambiamento? La ricerca scientifica ci consegna un quadro molto complesso. L’universo dei nativi digitali è sfaccettato e multiforme. Usando termini come net generation, digital natives, generazione post-1982, si rischia di dare corpo ad un modello stereotipato di studente, di fatto senza età, senza sesso, senza preferenze e valori. Gli esiti delle indagini sui New Millennium Learners (NML) del Ceri-Ocse mettono in luce questa disomogeneità. Innanzitutto esistono significative differenze di genere: se i ragazzi usano più frequentemente il computer, le ragazze lo utilizzano per elaborare testi, inviare sms ed e-mail, animare blog. Anche provenire da un contesto socioeconomico più favorevole determina sia un accesso maggiore alle tecnologie, sia un utilizzo amplificato e più proficuo.

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DA ROMA 1985 A MADRID 2011, ALL’UNIVERSITÀ DI ROMA TRE RIVISSUTI 26 ANNI DI GMG

GMG (Roma) – “Gmg, che cos’è? Omaggio a Giovanni Paolo II”. È questo il titolo dell’incontro svoltosi ieri nell’Aula Magna della Facoltà di Lettere e filosofia dell’università Roma Tre, che ha ripercorso, insieme agli studenti, i meravigliosi eventi promossi dal Santo Padre nel corso dei 26 anni dalla nascita della Giornata Mondiale della Gioventù, momenti unici d’incontro tra il Papa e giovani provenienti da tutto il mondo.
Animato da canti e testimonianze dei ragazzi del “Laboratorio della fede”, l’incontro è stato moderato da don Nicolò Anselmi, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei, Gianpiero Gamaleri, professore di comunicazione pubblicitaria e Giacomo Marramao, docente di filosofia politica.

Don Marco Ceccarelli, cappellano dell’ateneo, ha inoltre proiettato un video di tutte le Gmg dal 1985 ad oggi, dalla prima storica Giornata di Roma a Sydney (2008), fino ad arrivare a Madrid 2011, in programma dal 16 al 21 agosto. Don Anselmi ha illustrato i dettagli della partenza verso la capitale spagnola: a Madrid andranno circa 100mila italiani, di cui 45mila saranno presenti già dalla settimana precedente l’evento. Il responsabile del servizio Cei per la Pastorale giovanile ha dichiarato che l’iniziativa della Gmg è un incontro “per vivere anche momenti di fraternità e amicizia con i ragazzi del luogo e delle diocesi in cui i ragazzi italiani verranno accolti». Il professor Gamaleri, attraverso uno studio dell’istituto Iard su un campione di 1000 ragazzi tra i 18 e i 29 anni, ha evidenziato che solo il 15% dichiara di essere cattolico praticante. Com’è possibile allora che ci sia un così grande afflusso di ragazzi alla prossima Gmg? La risposta, a detta del docente di comunicazione, “intercettano un moto spontaneo dell’animo giovanile che permette un coordinamento dall’alto, ma la cui spinta viene dal basso. Quello che unisce, in questi eventi, è la forte domanda di autenticità e di speranza che viene dai giovani”.

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PAPABOYS, LA TV OLANDESE RKK INTERVISTA IN ESCLUSIVA IL PRESIDENTE DANIELE VENTURI

SPECIALE BEATIFICAZIONE (Roma) – “L’Associazione Nazionale Papaboys non è un’associazione fondata in un palazzo: i Papaboys nascono in una piazza, piazza San Pietro ovviamente”. Con questa precisazione Daniele Venturi, presidente dell’Associazione Nazionale Papaboys, inizia a raccontare la storia dei Ragazzi del Papa in un’intervista alla televisione olandese RKK, giunta a Roma per raccogliere informazioni e testimonianze su Papa Giovanni Paolo II, in occasione della sua beatificazione del prossimo 1 maggio.

“Dal 2001 – spiega Venturi – con il nostro sito internet http://www.papaboys.it facciamo informazione quotidiana sul Santo Padre, sulla Chiesa e sui giovani. Poi, alla morte di Giovanni Paolo II, abbiamo ricevuto tantissime richieste da parte di giovani di tutto il mondo che avevano il desiderio di riunirsi in una maniera concreta e tangibile. Il nostro scopo è andare incontro ai giovani: per le strade, nelle discoteche, nei locali… Oggi i giovani vengono sfruttati dalla società, che non li ascolta: noi gli prestiamo ascolto, e poi a loro viene spontaneo tirare fuori tutto ciò che di buono hanno nel loro cuore”.

Il presidente dei Papaboys parla poi di Papa Wojtyla: “Giovanni Paolo II ha acceso il cuore di milioni di giovani, e Benedetto XVI sta alimentando questo fuoco. Come carattere, se Papa Wojtyla era un grande comunicatore, Benedetto XVI è un po’ più rigido, ha degli schemi. Devo dire però che nel mondo di oggi, che cambia ogni giorno in base a dove tira il vento, avere un punto fermo come Benedetto XVI sia un grande dono del cielo”. Ancora vivissimo nella mente di Venturi e di tutti i fedeli sono gli striscioni ed i cori “Santo Subito” apparsi il giorno dei funerali di Giovanni Paolo II. “L’idea di ‘Santo subito’ partì da un gruppo del Movimento dei Focolari, e noi l’abbiamo accolta immediatamente. Gli striscioni presenti in piazza San Pietro erano infatti un po’ nostri e un po’ dei Focolari. La rapidità tra la scomparsa di Papa Wojtyla ed il processo di beatificazione credo dimostri che è stata accolta la richiesta dei fedeli, richiesta su cui nessuno aveva alcun dubbio”.

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ROMA, DOMENICA IL SANTO PADRE CONSACRA LA NUOVA CHIESA DI SAN CORBINIANO ALL’INFERNETTO

CHIESA CATTOLICA (Roma) – Eretta nel 1999 con il nome di San Guglielmo, la parrocchia di San Corbiniano nel 2008 ha cambiato denominazione e domenica prossima vedrà la propria chiesa consacrata dal Santo Padre Benedetto XVI. In pochi anni di vita la comunità – circa 10.000 abitanti – ha dimostrato molto entusiasmo, attivando diversi gruppi e realtà associative nel quartiere Infernetto, periferia Sud di Roma. Domenica 20 marzo la chiesa sarà quindi intitolata al vescovo bavarese morto nel 730, di cui il Papa è stato successore, dal 1977 al 1982, in qualità di arcivescovo di Monaco-Frisinga.

“È tanta l’attesa e la gioia di questi giorni, in preparazione della visita del Papa – racconta don Antonio Magnotta, 40 anni, parroco dal 2009 – chiedendo ai bambini del catechismo come immaginavano la nuova chiesa di via Wolf Ferrari, uno di loro mi ha risposto ‘Per me dovrebbe essere come il Paradiso!’”. E la gente “è molto contenta dell’evento, anche perché la chiesa sarà un punto di aggregazione e un luogo d’incontro” in una zona residenziale e “mal collegata con il centro”, popolata da tanti nuclei familiari giovani, con una natalità altissima. “In un anno ho amministrato ben 60 battesimi, e quasi 200 ragazzi si stanno preparando alla prima comunione”, riferisce don Antonio, che ha alle spalle una lunga esperienza con le nuove generazioni: per otto anni è stato vicerettore del Pontificio Seminario romano minore, mentre dal 2001 al 2007 è stato viceassistente diocesano per l’Azione cattolica dei ragazzi. Al suo fianco, il viceparroco don Samuele Depedri, ed il seminarista Giuseppe Tavolacci, che sta vivendo nella parrocchia l’anno pastorale prima dell’ordinazione.

Denso il cammino in vista dell’accoglienza a Benedetto XVI: durante tutte le messe di oggi i fedeli pregheranno per il Santo Padre e secondo le sue intenzioni. Stasera alle 21 il rito della consacrazione della chiesa verrà presentato da Adelindo Giuliani, dell’Ufficio liturgico diocesano. I parrocchiani sono invitati al segno del digiuno, “gesto di penitenza come offerta al Signore per il bene della comunità parrocchiale. Domani sera si svolgerà invece l’evento “La consacrazione della chiesa – Luce per il quartiere”: alle 21 tutti gli abitanti del quartiere sono invitati ad accendere un lumino alla finestra della propria casa “come segno di veglia in attesa del Santo Padre e della solenne consacrazione della nuova chiesa”.

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TE LO DICO PAPALE-PAPALE – “LETTER@PERTA” IL PIANETA AZZURRO – L’IMPRONTA DEL CREATO

L’EDITORIALE DI DANTE (Roma) – Carissimi amici diPapaboys.it ben ritrovati con la nostra rubrica ‘Te lo dico papale papale‘, un inserto sull’attualità curato da un professionista della comunicazione, amico dei giovani e sempre sensibile alle tematiche cristiane, Dante Fasciolo. Riflessioni, qualche sana provocazione (culturale e sociale) e soprattutto degli spunti per riuscire, in verità, a farsi testimoni della carità. Sempre al servizio degli ultimi. Questi gli ingredienti della “letter@perta”. Sempre senza peli sulla lingua. Con chiarezza e brillantezza ci leveremo qualche sassolino dalle scarpe, grazie alla “penna” di Dante Fasciolo.Buona lettura a tutti!

TE LO DICO PAPALE-PAPALE – “LETTER@PERTA: Il pianeta azzurro – l’impronta del creato
Per la giornata mondiale della terra

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8 MARZO, MAGIS ORGANIZZA UN APERITIVO DI SOLIDARIETÀ PER LE DONNE DEL MOZAMBICO

SOCIALE (Roma) – L’8 Marzo è la data in cui ricorre la festa delle donne, destinate a ricevere mazzetti di mimose, spesso donati esclusivamente per questa occasione. Per la festa di domani la Fondazione Magis (Movimento e azione dei gesuiti italiani per lo sviluppo) ha deciso di organizzare un’iniziativa di solidarietà rivolta alle 23 donne mozambicane della cooperativa “8 de Março”, fondata nel 1978 e membro dell’Unione generale delle cooperative di Maputo. Domani alle 18:30, nella parrocchia di San Saba (piazza Bernini, 20) all’ombra della Piramide, con soli 5 euro ci sarà un aperitivo solidale, in cui si potranno degustare diversi cibi etnici.

La fondazione Magis si occupa e sostiene la diffusione di alberi di anacardo, pianta tropicale perenne ed originaria dell’America latina che produce un frutto composto da un peduncolo a forma di pera e da una sorta di castagna. La “pera” ha una polpa ricca di vitamina C e viene consumata sia come frutto sia in marmellate, succhi e bevande alcoliche; dal guscio della castagna si estrae invece un olio che viene utilizzato nell’industria delle vernici e anche in campo medico. La Fondazione Magis opera per migliorare la condizione delle donne del Mozambico, molte delle quali subiscono violenza. Le più colpite sono le contadine che, a causa delle vecchie tradizioni, sono vittime sottomesse ai loro mariti. Fortunatamente, però, queste donne non si perdono d’animo e reagiscono organizzandosi in gruppo. A dar loro una mano le associazioni locali ed il sostegno delle attività di cooperazione internazionale, che cercano di restituire loro una dignità umana e morale, in un percorso indirizzato verso una parità dei sessi.

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UN MINORE SU 4 MENO IMBARAZZATO SE «PARLA» ON-LINE

EUROPA – Per un quarto dei ragazzi italiani dagli 11 ai 16 anni è più facile essere se stessi su internet piuttosto che di persona. Il dato sconcertante che dovrebbe indurre a riflettere genitori ed educatori emerge dal progetto europeo “Eu kds on-line II” che ha raccolto le interviste di un campione di oltre 25mila studenti e altrettanti genitori. In occasione della giornata mondiale della sicurezza on-line cerchiamo di capire come viene percepita e utilizzata la rete dai più giovani e quali sono i pericoli a cui sono esposti. In base alla ricerca emerge che i ragazzi italiani usano internet per svolgere attività utili e divertenti, allacciare nuovi legami di amicizia e di intimità o coltivare quelli vecchi.

Un terzo di loro riesce a parlare di più cose su internet rispetto a quando si trovano con qualcuno di persona. Mentre il 19% parla on-line di cose private che non condivide di persona con altri. Internet un pericoloso surrogato dei rapporti personali diretti? Secondo la ricerca non è così. Per “Eu kids on-line” opportunità e rischi della rete sono fortemente connessi. Perciò quello che può essere divertente per qualcuno può risultare rischioso per un altro.

Bisogna considerare che sperimentare ed esprimere la propria personalità è un po’ l’essenza dell’adolescenza. Dunque i ragazzi che dicono che è “abbastanza vero” che è più facile esprimere se stessi on-line (20%) potrebbero semplicemente sfruttare le opportunità offerte dalla rete. Magari perché discutere di questioni personali on-line è meno imbarazzante. È invece fonte di qualche preoccupazione il fatto che per il 5% dei ragazzi italiani è “molto vero” che è più facile essere se stessi on-line. La risposta potrebbe essere che hanno qualche problema nelle relazioni interpersonali faccia a faccia oppure perché passano molto, troppo tempo al computer. In base alla ricerca emerge che non tutti hanno buoni rapporti con i coetanei.

Così l’11% non si sente ben accettato, mentre il 38% solo in parte (dichiarando un “abbastanza”). Sono i ragazzi che hanno maggiori difficoltà relazionali a sentirsi più se stessi on-line. Proprio per questo secondo gli esperti questi soggetti sembrano essere i più vulnerabili e quindi più esposti a pratiche rischiose. In effetti il 57% di coloro secondo cui è più facile essere se stessi on-line che di persona ha cercato negli ultimi dodici mesi nuovi amici in rete, il 40% ha aggiunto alla lista degli amici o dei contatti persone mai incontrate off-line, il 16% ha inviato informazioni personali a persone che non ha mai visto, il 14% ha finto di essere un’altra persona e il 16% è stato in contatto su internet con persone mai incontrate off-line.

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PRIME INDISCREZIONI SULLA III EDIZIONE DELLA FESTA DELLA LEGALITÀ DEI PAPABOYS

TEGGIANO(SA) – Ieri sera, presso la sede regionale Campana dei Papaboys, si è svolta una riunione del Comitato per la “Festa delle Legalità” presieduta dal delegato Regionale Papaboys, Massimo Manzolillo, organizzatore dell’evento che ogni anno destina un Premio a chi si è particolarmente distinto per aver promosso il tema della Legalità. La riunione è stata voluta per delineare un primo progetto sulla edizione da tenersi.

Secondo indiscrezioni trapelate, il programma dovrebbe essere lo stesso di questi primi anni: verrà mantenuto l’incontro mattutino con i ragazzi di un istituto superiore del comprensorio Valdianese e la consegna dei riconoscimenti durante la tavola rotonda pomeridiana, alla presenza delle autorità civili e religiose. Novità, proposta dal Direttore Generale della BCC Monte Pruno di Roscigno e Laurino, Michele Albanese, sembra essere l’istituzione di una borsa di studio per i ragazzi che svilupperanno un lavoro sulla legalità durante questo anno scolastico, sia esso un disegno, un tema, un elaborato digitale o un lavoro di tesi, affinché la legalità non sia solo tema di un giorno ma un lavoro di riflessione continuo da parte dei ragazzi durante tutto l’anno.

Nessuna indiscrezione, invece, sui nomi dei premiati, che come da tradizione non saranno resi noti prima della conferenza stampa ufficiale sull’evento che si terrà nel mese di Marzo in Teggiano(SA). Questo il primo sunto dell’assemblea raccontato in anteprima alla nostra redazione.

per guardare il video clicca su: http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=4292

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LO SCRITTORE: CHE FINE HA FATTO NEI RAGAZZI IL PIACERE DELLA LETTURA?

SCUOLA – How to raise boys who read. Così titola un recente e interessante articolo del Wall Street Journal. La questione è di quelle grosse e sembra davvero universale: come far leggere i ragazzi, in particolare i maschi. Se la questione è grossa la soluzione più spesso perseguita è grossier per dirla alla francese; si parla infatti dei gross-out books. L’articolo americano sottolinea come in effetti gli scaffali si siano riempiti di libri che gli editori hanno creduto poter interessare ai ragazzi per il solo fatto di essere pieni di riferimenti a parti del corpo così come alle sue funzioni più elementari. Tra mutande e loro capitani e gas vari pare che un libro per attrarre i giovani uomini debba essere per forza lutulento e grossolano. In alternativa si pensano (e si vendono) quei libri che non chiedono di essere letti, libri-oggetto solamente da possedere, accattivanti nelle copertine e nei titoli, indipendentemente dal loro contenuto. Libri seriali da collezione. Col crescere dell’età sembra che debbano poi necessariamente farsi strada argomenti più pruriginosi con una malizia più o meno dichiarata a soddisfare curiosità sempre più difficili da appagare. Il linguaggio diventa slang, si impoverisce e si fa triviale. L’esito è sotto gli occhi di tutti: i giovani leggono poco e chi legge è per lo più femmina.

La questione mi interpella particolarmente come scrittore, soprattutto per ragazzi. La prima domanda che infatti mi pongo quando una bella storia mi incontra e mi chiede di essere raccontata è: per chi la scrivo? Non si tratta solo di una questione tecnica: il formato del libro, il numero delle battute, la presenza di illustrazioni. No, si tratta di pensare lingua, contenuto e forma per chi volterà le pagine. Ogni volta che scriviamo un libro per i giovani, ma anche ogni volta che lo scegliamo magari per regalarlo o solo per proporlo, non dobbiamo mai sottostimare, anzi disistimare il pensiero dei ragazzi. Non dobbiamo fare innanzitutto noi l’errore di abbassare il tiro, di vederli come un branco di brufolosi preda degli ormoni e di presunti istinti proponendo stereotipi più o meno moderni. Scrivere per loro, soprattutto scrivere qualcosa che possa piacere e interessarli, significa saper cogliere i desideri e le domande di cui sono portatori e rappresentarle all’interno di una storia credibile, non necessariamente verosimile. Ciò che infatti permette la necessaria identificazione del lettore è ritrovare tratti di sé nei temporanei compagni di carta. Sarà vedere come riescono ad affrontare le situazioni e risolvere questioni personali che offrirà spunti di pensiero, farà sentire meno soli, proponendo possibili soluzioni che altrimenti non verrebbero in mente.

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CINQUE ANNI INSIEME – LA FESTA DEI PAPABOYS PER ACCENDERE LA SPERANZA OLTRE LA CRISI

ROMA – Andare oltre la crisi, portare speranza. Con questo spirito è stata vissuta l’importante data di ieri 14 Dicembre per l’Associazione Nazionale Papaboys. Tempo di bilanci e festeggiamenti per questo traguardo tagliato: il primo lustro è ormai alle spalle, lo sguardo è già rivolto ai prossimi cinque anni. Nonostante le attenzioni dell’Italia fossero orientate quasi esclusivamente verso le votazioni in Parlamento, nonostante il clima da guerra civile che si respirava nelle strade della Capitale, nonostante tutto questo: i Papaboys il loro piccolo seme di speranza sono riusciti a piantarlo.

La giornata si è aperta presso la navata laterale della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano dove Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Emery Kabongo – già segretario particolare del servo di Dio Giovanni Paolo II -, con la presenza del concelebrante Don Jean Marie Audenaert, ha accolto una delegazione dell’Associazione ed ha celebrato una speciale messa privata. “Cari Papaboys, voi seguite l’insegnamento dei Papi..e dico Papi perché siete nati con Giovanni Paolo II e proseguite il vostro percorso con Papa Benedetto XVI” queste sono state le parole di accoglienza di Sua Eccellenza che ha riposto fiducia nei ragazzi del Papa per la diffusione della parola di Gesù, confidando nel loro operato e nei loro progetti futuri. Dalle 17.30 la giornata-evento si è trasferita a Palazzo Grassi dove, alle 18.15, è iniziata la convention “Cinque anni insieme – Il seme della speranza” a cui hanno partecipato numerosi ospiti del mondo delle Istituzione, del mondo Cattolico e amici dell’Associazione. La conferenza, moderata dalla Dottoressa Antonella Freno, ha visto il susseguirsi di numerosi interventi,ognuno dei quali associato ad un tema specifico ma con unico denominatore comune: i giovani e la speranza.

Dopo una veloce introduzione e un saluto agli ospiti presenti da parte del Presidente dell’Associazione Daniele Venturi e della Dottoressa Antonella Freno, a prendere la parola è stato Giovanni Scanagatta– Segretario generale dell’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) – che ha esposto uno dei temi più importanti per l’Italia e non solo, quello dei giovani e del mondo del lavoro. A seguire l’intervento di Don Patrizio Benvenuti, Presidente della Fondazione Kepha e sponsor della Nazionale di calcio Papaboys, che ha rivolto ai presenti un splendido discorso incentrato sulla speranza e sulla fede, mura portanti per poter costruire un futuro diverso, migliore. Giovani e Istituzioni è stato il tema trattato dal Presidente della Commissione Bilancio del comune di Reggio Calabria Demetrio Berna e da Fabrizio Santori, Presidente della Commissione Speciale per la Sicurezza Urbana del Comune di Roma.

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UNA RAGAZZA INGLESE DI 15 ANNI, UN PIERCING ALL’ORECCHIO E RIMANE COMPLETAMENTE PARALIZZATA

GIOVANI – Grace, ragazzina inglese di 15 anni, fa quello che quasi tutte le sue coetanee in tutto il mondo fanno: un piercing. Lo fa a un orecchio e nel giro di pochi giorni rimane completamente paralizzata dalla testa ai piedi. Ha contratto un terribile virus…

IL PIERCING DI GRACE – Piercing: (dall’inglese to pierce, “perforare”) è la pratica ereditata da tribù indigene di varie parti del mondo di forare alcune parti del corpo allo scopo di introdurre oggetti in metallo, spesso arricchiti con pietre preziose, osso, pietra o altro materiale, come abbellimento o pratica rituale. Negli ultimi anni è diventata una pratica comune dei giovani del prospero mondo occidentale: persa ogni valenza rituale e spirituale, è diventata una moda come l’orecchino negli uomini o il tatuaggio per tutti. Anche il piercing è per tutti, maschi e femmine. Così quando Grace, ragazzina inglese di 15 anni, si reca a farsi forare un orecchio per introdurre un oggettino come si usa nella pratica del piercing, non ha nessuna paura. Non l’ha sua madre, Sharon, 41 anni. Lo fanno tutti. Ma non a tutti succede quello che sta per succedere a Grace. In pratica, quello che le succederà è un rischio a cui vanno incontro circa una persona ogni centomila al mondo. Grace è una di queste.

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“IMPARATE DA ME CHE SONO MITE ED UMILE DI CUORE ” (MT 11,29). SCOPRIAMO LE VERA RADICE DELL’UMILTÀ

CATECHESI – Gesù terminava la sua parabola degli invitati al banchetto dicendo che chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato (Lc 14,1.7-11). Ma cosa significa “umiliarsi”? Sono sicuro che se domandassi a varie persone cos’è per loro l’umiltà, otterrei tante risposte diverse, ognuna contenente una parte di verità, ma incomplete. Se lo domandassi a un uomo che è portato per temperamento alla violenza, a far valere il proprio punto di vista con forza, forse mi risponderebbe: “l’umiltà è non alzare la voce, non fare il prepotente in casa, essere più mite e arrendevole Se lo domandassi a una ragazza, forse mi risponderebbe: “l’umiltà è non essere vanitosa, non volere attirare lo sguardo degli altri, non vivere solo per se stessi o per la facciata…” Un sacerdote mi risponderebbe: “Essere umili significa riconoscersi peccatore, avere un sentimento basso di se stesso Ma è facile capire che così non si è toccata ancora la radice dell’umiltà. Per scoprire la vera radice dell’umiltà bisogna, come sempre, rivolgersi all’unico Maestro che è Gesù. Egli ha detto: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore ” (Mt 11,29). Per un po’ di tempo, confesso che questa frase di Gesù mi ha molto stupito. Infatti: dov’è che Gesù si mostra umile? Leggendo il vangelo non si incontra mai la benché minima ammissione di colpa da parte di Gesù. Questa è anzi una delle prove più convincenti dell’unicità e della divinità di Cristo: Gesù è l’uníco uomo che è passato sulla faccia della terra, ha incontrato amici e nemici senza dover mai dire: “Ho sbagliato!”, senza chiedere mai perdono a nessuno, neppure al Padre. La sua coscienza ci appare un cristallo: nessun senso di colpa la sfiora. Di nessun altro uomo, di nessun fondatore di religione, si legge una cosa simile. Dunque Gesù non è stato umile, se per umiltà intendiamo parlare o sentire bassamente di sé, ammettere di avere sbagliato. “Chi di voi – egli può dire con sicurezza – può convincermi di peccato?” (Gv 8,46). Eppure questo stesso Gesù dice con altrettanta sicurezza: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore ” (Mt 11,29). Allora vuol dire che l’umiltà non è proprio quella cosa che il più delle volte noi pensiamo, ma qualcos’altro che dobbiamo scoprire dai vangeli. Che cosa ha fatto Gesù per essere e dirsi “umile”? Una cosa semplicissima: si è abbassato, è sceso. Ma non con i pensieri o con le parole. No, no; con i fatti! Con i fatti Gesù è sceso, si è umiliato. Trovandosi nella condizione di Dio, nella gloria, cioè in quella condizione in cui non si può né desiderare né avere niente di meglio, è sceso; ha preso la condizione di servo, si è umiliato facendosi obbediente fino alla morte (cfr. Fil 2,6ss). Una volta iniziata questa discesa vertiginosa da Dio a schiavo, non si è fermato ancora; ha continuato a scendere, tutta la vita. Si mette in ginocchio per lavare i piedi ai suoi apostoli; dice: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). Non si arresta finché non tocca il punto oltre il quale nessuna creatura può andare, che è la morte, Ma proprio là, nel punto estremo del suo abbassamento, lo raggiunge la potenza del Padre, cioè lo Spirito Santo, afferra il corpo di Gesù nella tomba, lo vivifica, lo risuscita e lo innalza alla sommità dei cieli, gli dà il Nome che è al di sopra di ogni altro nome e ordina che ogni ginocchio si pieghi davanti a lui. Ecco un esempio concreto, la realizzazione massima della parola: “Chi si umilia sarà esaltato”.

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PERCHE’ REPUBBLICA, IL CORRIERE ED I GIORNALONI NON DENUNCIANO IL TRAFFICO DI BAMBINI?

TRAFFICO DI ESSERI UMANI – Come mai non leggiamo su Repubblica, il Corriere e gli altri ‘giornaloni’ di oggi, il traffico di esseri umani di Islamabad tra cui donne e bambini? Dov’è il servizio in prima pagina che ci fanno leggere ogni giorno quando c’è da attaccare Benedetto XVI e il Vaticano? Perchè i Signori Direttori non danno incarico agli Emeriti giornalisti di servire anche i deboli, oltre che l’illuministico editore di riferimento? Grazie a Dio, la tutela dei bambini e delle donne, e la denuncia per fare qualcosa viene segnalata dall’Agenzia Vaticana Fides, che alza la voce con tono assolutamente preoccupato. Una nota dell’agenzia internazionale della Congregazione dell’evangelizzazione dei popoli di questa mattina titola: “Traffico di donne e bambini fra gli alluvionati: la denuncia delle Ong”

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