Esiste oggi in Italia un popolo cristiano che non è politicamente rappresentato? Esiste cioè nel nostro paese un popolo cristiano che costruisce comunità, assiste i malati e gli anziani, aiuta le famiglie, educa le giovani generazioni, lotta per rafforzare una cultura della legalità, ha cura dei poveri e dei disperati, tappa con il suo impegno volontario i buchi dello stato sociale e sosta, irrequieto e incerto, ai confini della politica? A me sembra che questo popolo esista. L’affermazione non è scontata. Una quarantina di anni fa era dominante piuttosto l’idea che il nostro fosse il tempo della secolarizzazione. Il tempo della secolarizzazione, si diceva, è quello di un uomo adulto che basta a se stesso e non ha bisogno di Dio. In questa fase storica sorge una nuova società che non ha bisogno di religione, e di religione non ha bisogno, naturalmente, neppure lo Stato. Per questa visione non può sussistere, nel nostro tempo, un popolo cristiano. Rimangono, certo, dei cristiani che sopravvivono come singoli al di fuori della sfera pubblica e non sono comunque interlocutori delle scelte sociali e politiche. L’uomo nuovo dell’epoca della secolarizzazione ha un suo orizzonte intrascendibile all’interno del quale colloca la formulazione e la soluzione di tutti i problemi dell’esistenza. All’interno di questo orizzonte non c’è posto per Dio. Nasce, allora, perfino una teologia che cerca di riformulare l’annuncio cristiano all’interno di quell’orizzonte; si parla di una “fede senza religione” o di un “cristianesimo ateo”. La realtà sembrava confermare quelle analisi: le chiese si svuotavano e la religione sembrava essere diventata un elemento residuale nella storia del mondo. Un poeta, Pier Paolo Pasolini, in un articolo sul Corriere della Sera, in occasione della Pasqua, descrive un uomo vestito di bianco che gira attorno al Colosseo portando sulle spalle una croce, seguito da qualche centinaio di persone, nella esecuzione di un rito che nessuno comprende più, mentre da tutti i lati sfrecciano le auto impazienti e disinteressate. E’ Paolo VI che celebra la Via Crucis e vive, al tempo stesso, la sua personale Via Crucis di uomo, di sacerdote e di Papa. Pasolini commenta che quell’uomo è il passato, ma quel passato è più umano del futuro che minaccioso si annuncia. In quel futuro, infatti non verrà meno solo il popolo cristiano. Verrà meno il popolo in generale, qualunque tipo di popolo. Residuerà solo una massa di individui isolati, egoisti, preoccupati solo di se stessi, e proprio per questo alienati e disponibili a qualunque manipolazione da parte del potere.
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