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QUEL LIBRO CHE METTE D’ACCORDO CICERONE E IL PAPA

CULTURA (Italia) – Chi afferma che la vita quotidiana e gli scritti del Medioevo siano schiacciati dalla trascendenza, spesso non considera alcuni testi poco noti, ma significativi a quell’epoca, che documentano un vissuto molto diverso. Aelredo di Rievaux, monaco cistercense del XII secolo, scrive il De spirituali amicitia, uno degli scritti più interessanti di quell’età di rinascita, che ebbe come fonte, oltre al patrimonio della Scrittura e dei Padri, anche le opere dei classici latini. Gli studiosi affermano che, per quanto riguarda la dottrina sull’amicizia, Aelredo è per il Medioevo ciò che Cicerone fu per l’antichità.

Invitato da san Bernardo a scrivere le sue opere sotto l’ombra degli alberi, cioè nel raccoglimento offerto dal silenzio della natura, Aelredo viene eletto abate nel 1147 e in questo servizio reso alla sua comunità rivela doti di dolcezza, di equilibrio, di tatto e di delicatezza nel comprendere gli uomini a lui affidati e nel guidarli nella vita monastica. Perciò le opere della tradizione classica e cristiana da cui attinge la sua saggezza diventano vive in lui nell’esperienza dell’amicizia spirituale: da qui nasce il suo breve trattato. Egli parte dalle definizioni della parola amicizia date da Cicerone e da Sallustio: il primo aveva scritto che l’amicizia non è altro che l’accordo in tutte le cose divine e umane, con benevolenza e carità; il secondo aveva osservato per bocca di Catilina, che volere le stesse cose, rifiutare le stesse, è questa la vera amicizia.

Idem velle atque idem nolle: espressione colta e insieme adagio popolare, che anche Benedetto XVI cita nella sua prima enciclica Deus caritas est, assegnando alle parole antiche il significato di quel “diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare”.

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ROMA, 140 UNIVERSITARI RICEVONO LA CRESIMA. IL CARDINALE VALLINI: “I GIOVANI SIANO PIETRE VIVE”

GIOVANI (Roma) – I giovani devono essere “pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale”: questo è stato l’invito che il Cardinale vicario Agostino Vallini ha rivolto ai 140 studenti universitari degli atenei romani che, sabato sera, hanno ricevuto il sacramento della Cresima nella basilica di San Giovanni in Laterano. Ha proseguito poi il porporato: “Qualunque sarà la vostra strada nella vita, la vostra vocazione, sentitevi responsabili di cooperare per un mondo che, con la vita degna dell’uomo, renda gloria a Dio e renda bella e godibile la terra”. Ha, inoltre, aggiunto: “Non siamo cristiani per godere in maniera personale, individuale del dono di Dio», ma come scriveva san Pietro, «dobbiamo essere pietre vive di Cristo vivo», dobbiamo «impegnarci per cooperare nella costruzione di un edificio che con la forza dell’uomo nuovo trasforma la realtà del mondo”. 

Sulla scia del passo del Vangelo, il cardinale Vallini ha affermato che impegnarsi per il bene comune “non sia soltanto un’aspirazione quasi utopica. Voi potreste dirmi: Guardando la realtà che ci circonda questo ideale che lei ci propone sembra irrealtà. No. Non è così. Dipende da ciascuno di noi e dalla civiltà cristiana: se ci sono cristiani, uomini e donne, che hanno il coraggio di una testimonianza senza incrinature, coerente nella propria fede vissuta in Gesù Cristo, le cose cambiano”. Ha, poi, esortato gli studenti a «fuggire da ogni compromesso» e a perseguire «la rettitudine della propria coscienza, il bene di tutti, l’onestà», perché «nell’impegno per quello che ognuno può fare in questo mondo sia più giusto a beneficio di tutti».Dalla forza di Cristo risorto “che ci rende pietre vive”, ha proseguito il Cardinale vicario, “noi siamo chiamati a diventare capaci di trasformare il mondo, assumendoci anche gli impegni di questo momento. La fede in Cristo sia davvero una fede viva, sia davvero per voi, attraverso il Vangelo, la luce della verità”. “Deve essere una scelta radicata, vissuta quotidianamente. Il cristiano”, ha sottolineato, “ ha bisogno di avere spazi di silenzio per rimettere a fuoco le ragioni della sua vita futura e lì incontrare Dio. Non separatevi mai da Gesù Cristo, stringetevi a lui. Ovunque vivrete si irradierà lo stile della vostra vita cristiana”.

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FOIBE – ZECCHI: ECCO PERCHÉ ABBIAMO TRADITO LA MEMORIA DEL NOSTRO POPOLO

ITALIA – «La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra». Fa un’operazione di verità storica, la legge firmata nel 2004 dal presidente Ciampi, riabilitando un popolo distrutto dall’odio etnico e politico. Nelle foibe del Carso trovarono la morte migliaia di italiani, vittime della violenza perpetrata dai partigiani comunisti di Tito tra l’autunno del ’43 e il giugno del ’45. Dopo di loro fu il dramma di quei 350mila italiani che, fino a tutti gli anni Cinquanta, dovettero fuggire dall’Istria e dalla Dalmazia per non subire le violenze, l’emarginazione, le confische dell’esperimento sociale comunista.

Sono queste le vicende che fanno da sfondo a Quando ci batteva forte il cuore, l’ultimo romanzo di Stefano Zecchi. «Il ricordo è un fatto principalmente educativo – dice Zecchi al sussidiario -. Per continuare a esistere dev’essere legato al senso di un’appartenenza, di una tradizione, al modo in cui questa prende importanza nel presente. Serve a non farci diventare degli infedeli, infedeli a ciò che di importante è stato nella nostra vita, personale e collettiva».

A suo modo il 10 febbraio è anch’esso un «giorno della memoria», che però a differenza di altre date più popolari è molto meno nelle corde dell’opinione pubblica.

Di questa vicenda tragica non si è mai voluto parlare, innanzitutto perché si sono voluti nascondere i crimini dei comunisti e poi tutta una serie di altre compromissioni di tipo politico. Non si è mai voluto riflettere sul fatto, drammatico e impressionante, che oltre 350mila italiani, senza contare quelli che sono stati trucidati, hanno rinunciato a tutto per rimanere italiani, e una volta arrivati in patria sono stati trattati come delinquenti e fascisti. Anche questa è la storia della nostra repubblica.

Ha parlato di convenienze politiche. Quali?

Quelle della realpolitik. Siamo in presenza di una tragedia legata al fascismo, che in un certo senso ne rappresenta la causa, ma la cui comprensione storica viene poi ostacolata dal patto tra comunisti e democristiani. Togliatti, in modo esplicito, da comunista qual era voleva che la Venezia Giulia, l’Istria, Fiume e la Dalmazia fossero annesse alla Jugoslavia. La Dc, con De Gasperi in testa, faceva fatica a controbattere a questa tesi e non voleva che si facesse il plebiscito, come chiedevano gli istriani, perché temeva che il Trentino-Alto Adige facesse prima o poi una richiesta analoga. Il silenzio è continuato con il trattato di Osimo e fino alla metà degli anni Settanta. Una storia su cui non si è mai voluto alzare il velo.

È questo lo sfondo del suo romanzo. Quanto c’è di autobiografico in Quando ci batteva forte il cuore?

Per quanto mi riguarda è soprattutto un romanzo, anche se come ogni romanzo risente di una serie di suggestioni, emozioni, visioni, conoscenze. Ho voluto fare la storia di un padre e di un bambino, raccontare l’importanza dell’educazione là dove la vita diviene dramma. Il tema mi stimolava: quand’ero assessore a Milano partecipavo alle iniziative della Giornata del ricordo, potevo conoscere da vicino le associazioni e la loro memoria storica, che mi appariva di una drammaticità impressionante. Mia nonna poi era triestina e ricordo bene le storie che mi raccontava. L’ultima parte del romanzo (padre e figlio scappano dall’Istria e si stabiliscono a Venezia, ndr) contiene cose che io stesso ho visto con i miei occhi… Se mette insieme tutto questo, ecco che nasce il romanzo.

La vicenda narrata nel romanzo tocca da vicino, oltre che la questione della memoria, anche quella dell’identità italiana. Cosa vuol dire per lei essere italiano?

Non è qualcosa di acquisito una volta per tutte. Ha richiesto un percorso, una maturazione. Per me essere italiani significa appartenere a una storia, a una cultura, a una tradizione. Sento di appartenere molto più ad una tradizione culturale che ad una tradizione politica. È più un fatto di sentimenti che una faccenda statuale o istituzionale.

C’è un problema che tocca la memoria dei popoli e di cui si è parlato di recente anche a proposito della Shoah. Che cos’è che a distanza di tempo «salva» il ricordo e gli permette di sopravvivere alle generazioni?

Il ricordo è un fatto principalmente educativo, e dunque culturale. Per continuare dev’essere legato al senso di un’appartenenza, di una tradizione, al modo in cui questa prende importanza nel presente. Per guardare al futuro dobbiamo pensare al passato dove abbiamo le nostre radici. Ho dedicato il romanzo a mio figlio perché ricordare serve a non farci diventare degli infedeli, infedeli a ciò che di importante è stato nella nostra vita. Per ricordare serve una trasmissione di conoscenze che avviene normalmente attraverso persone, incontri, letture. Famiglia e scuola sono determinanti, o meglio lo erano. Ora hanno abdicato.

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SPAZIO SACRO E SPAZIO CIVILE. PORTE APERTE TRA IL TEMPIO E LA PIAZZA

LECTIO MAGISTRALIS – “Il mondo è come l’occhio: il mare è il bianco, la terra è l’iride, Gerusalemme è la pupilla e l’immagine in essa riflessa è il tempio”. Questo antico aforisma rabbinico illustra in modo nitido e simbolico la funzione nel tempio secondo un’intuizione che è primordiale e universale. Due sono le idee che sottendono all’immagine. La prima è quella di “centro” cosmico che il luogo sacro deve rappresentare, un tema sul quale il grande studioso delle religioni Mircea Eliade (1907-1986) ha offerto un vasto dossier documentario. L’orizzonte esteriore, con la sua frammentazione e con le sue tensioni, converge e si placa in un’area che per la sua purezza deve incarnare il senso, il cuore, l’ordine dell’essere intero. Nel tempio, dunque, si “con-centra” la molteplicità del reale che trova in esso pace e armonia: si pensi solo alla planimetria di certe città a radiali connesse al “sole” ideale rappresentato dalla cattedrale posta nel cardine centrale urbano (Milano, per esempio, “centrata” sul Duomo ne è un esempio evidente, come New York è la testimonianza di una diversa visione, più dispersa e babelica). Dal tempio, poi, si “de-centra” un respiro di vita, di santità, di illuminazione che trasfigura il quotidiano e la trama ordinaria dello spazio. Ed è a questo punto che entra in scena il secondo tema sotteso al detto giudaico sopra evocato. Il tempio è l’immagine che la pupilla riflette e rivela. Esso è, quindi, segno di luce e di bellezza. Detto in altri termini, potremmo affermare che lo spazio sacro è epifania dell’armonia cosmica ed è teofania dello splendore divino. In questo senso un’architettura sacra che non sappia parlare correttamente – anzi, “splendidamente” – il linguaggio della luce e non sia portatrice di bellezza e di armonia decade automaticamente dalla sua funzione, diventa “profana” e “profanata”. È dall’incrocio dei due elementi, la centralità e la bellezza, che sboccia quello che Le Corbusier definiva in modo folgorante “lo spazio indicibile”, lo spazio autenticamente santo e spirituale, sacro e mistico.

Certo, questi due assi portanti trascinano con sé tanti corollari: pensiamo alla “sordità”, all’inospitalità, alla dispersione, all’opacità di tante chiese tirate su senza badare alla voce e al silenzio, alla liturgia e all’assemblea, alla visione e all’ascolto, all’ineffabilità e alla comunione. Chiese nelle quali ci si trova sperduti come in una sala per congressi, distratti come in un palazzetto dello sport, schiacciati come in uno sferisterio, abbrutiti come in una casa pretenziosa e volgare. A questo punto vorremmo proporre una riflessione di indole più specifica che abbia come codice di riferimento proprio quelle Sacre Scritture bibliche che sono state indubbiamente “il grande codice” della stessa civiltà artistica occidentale. È indiscutibile il rilievo che in esse ha una “teologia” dello spazio, anche se – come si vedrà – essa è inverata in una teologia superiore, quella del tempo e della storia (l’Incarnazione riassume in sé queste due dimensioni ricollocandole nella loro gerarchia). “Ai tuoi servi sono care le pietre di Sion” (Salmo, 102, 15). Questa professione d’amore dell’antico salmista potrebbe essere il motto stesso della tradizione cristiana che allo spazio sacro ha riservato sempre un rilievo straordinario, a partire dalla “pietra” del Santo Sepolcro, segno della risurrezione di Cristo, attorno alla quale è sorto uno dei templi emblematici dell’intera cristianità. Tra l’altro, è curioso che simbolicamente le tre religioni monoteistiche si ancorino a Gerusalemme attorno a tre pietre sacre, il Muro Occidentale (detto popolarmente “del Pianto”), segno del tempio salomonico per gli ebrei, la roccia dell’ascensione al cielo di Maometto nella moschea di Omar per l’islam e, appunto, la pietra ribaltata del Santo Sepolcro per il cristianesimo.

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POLITICA IN CRISI. E L’ITALIA VA LENTA. E QUALCUNO SI ARRICCHISCE. E MOLTE FAMIGLIE SOFFRONO

CRISI POLITICA – Che l’Italia stia vivendo una profonda crisi politica ed istituzionale, di disvalori, mancanza di rispetto e perdita di fiducia da parte del popolo, specialmente le generazioni giovanili nei confronti di tutte le parti politiche ormai è un dato di fatto, così come è evidente e chiaro che ciò che si da in pasto ai fruitori dei media è in particolar modo carne da macello, gossip e violenza reiterata; nonostante tutto ciò ci sono dei silenziosi semi di speranza, che non saranno mai messi a tacere, finche Dio vorrà! Il nostro appello di giovani è quello di lavorare seriamente per edificare il bene comune, tanto atteso, in uno Stato dove la gioventù sia considerata davvero la primaria risorsa della politica, e dove si possa mettere la famiglia al centro della tutela come elemento essenziale pr l’equilibrio economico, politico e finanziario di tutta la società. Il resto, potrebbero essere anche solo chiacchere…

48 ore per salvare il governo.
Le più lunghe per Silvio Berlusconi dall’inizio di questa legislatura. Ma vediamo il timing di questa crisi. Alle 9 di stamattina è in programma l’intervento del presidente del Consiglio a Palazzo Madama. Poi, fino alle 14, la discussione generale sulle risoluzioni di sostegno che verranno presentate alle dichiarazioni del premier e sulle quali il governo chiederà la fiducia. Nel pomeriggio di oggi l’attenzione si sposta alla Camera, dove alle 16 è prevista l’illustrazione e la discussione sulle mozioni di sfiducia di Pd-Idv e Fli-Udc-Api. Al termine, intorno alle 19, al presidente del Consiglio spetterà la replica a nome del governo.

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BENEDETTO XVI: “OGNI GMG È UN AUTENTICO REGALO” . IL PAPA RISPONDE ALLE TUE DOMANDE

LUCE DEL MONDO – Nel nuovo libro La Luce del mondo, il Papa risponde alle tue domande: Che cosa provò quando fu eletto Papa? Come prega da quando è stato nominato Pontefice? Come ha affrontato il tema degli scandali sessuali? Come arrestare l’AIDS in Africa? Cosa ne pensa delle Giornate Mondiali della Gioventù? Qual è la principale sfida per i cristiani oggi? Benedetto XVI risponde alle domande del giornalista tedesco Peter Seewald nel suo nuovo libro-intervista La luce del mondo. Tra molti altri temi, il Papa parla delle Giornate Mondiali della Gioventù, delle quali ha detto che da quando furono create si sono trasformate in “un autentico regalo”. Come se si trattasse di una conversazione vis-a-vis, il Papa rivela le sue preoccupazioni, i pensieri e i modi di essere più intimi. Di seguito proponiamo un estratto di alcuni “passaggi”.

Giornate Mondiali della Gioventù

“Quando penso a quanti giovani trovano in queste giornate un nuovo punto di partenza e vivono poi spiritualmente da quel momento, a quanta allegria resta dopo l’evento, ma anche a quanto raccoglimento c’è durante le Giornate, devo dire che lì succede qualcosa che non creiamo noi”. Le Giornate Mondiali della Gioventù non sono un puro atto di massa, e così lo percepiscono tutti coloro che si trovano implicati in esse: “In Australia ci si aspettava grossi problemi di sicurezza, difficoltà, conflitti, tutto quello che succede in manifestazioni di massa. C’era inquietudine e un atteggiamento critico. Alla fine, però, la polizia era entusiasta, e tutti erano contenti perché non si era verificato alcun incidente”. Il segreto? “Semplicemente, ci spinse l’allegria comune della fede e ciò rese possibile che centinaia di migliaia di persone rimanessero in silenzio, unite al Santissimo Sacramento. In questo raccoglimento e in questa allegria, nel godimento interiore e nell’incontro autentico, nella assenza di criminalità e in tutto il resto, accade qualcosa di estremamente meraviglioso, qualcosa molto diverso da ciò che di solito succede negli eventi di massa”. Conclude: “E da Sidney continuano a prodursi effetti, come per esempio, le vocazioni al sacerdozio. Credo che con le Giornate Mondiali della Gioventù si è trovato qualcosa che aiuta tutti (…) La Spagna è sempre stata uno dei grandi Paesi cattolici con vitalità creativa. Se Dio vuole, entrerò di nuovo in contatto con lui nella Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid.

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CAMPO MINATO DI UNA TERRA DI NESSUNO. DEL CARCERE TUTTI SAPPIAMO TUTTO E’ PROPRIO COSI’?

RIFLESSIONE – Sul carcere è scesa nuovamente una cappa fumogena, una sorta di comando a non eccessivare troppo la pietà, in fin dei conti è tutto nello stato naturale delle cose, la ferraglia arrugginita è ben custodita, non vale la pena dedicare tempo e denaro, meglio impegnarsi su altri fronti, più redditizi in termini di visibilità e consenso. Questa è la sintesi su cui poggia l’intero impianto penitenziario italiano, il sentire comune sul carcere, che trasforma il diritto dei principi fondamentali in optional da sbandierare a comodo, che non interpellano la nostra coscienza, sul ruolo, sull’utilità, la stessa pena che alberga drammaticamente all’interno delle sue celle. Disquisizioni, chiacchiericcio ruminante, quasi a voler affermare che nelle galere non entra nessuno, non ci rimane alcuno, non esistono neppure condanne scontate, non si trovano uomini e donne alla catena, è tutta una bufala raccontata male. C’è un conflitto permanente sulla giustizia, un quotidiano affermare ciò che è vero oggi è falso domani, una dinamica che riproduce e rafforza intolleranza e indifferenza nei riguardi di chi ha sbagliato ma rimane un cittadino detenuto, che bisognerebbe aiutare a diventare una persona con il proprio contributo da consegnare alla collettività. C’è un silenzio che non possiede responsabilità per gli effetti collaterali, gli eventi critici, che attraversano le fondamenta del carcere italiano: si muore sul terzo piano di un letto a castello, su un materasso buttato a terra, sopra una turca posta a fianco delle stoviglie miserabili disperse qua e là. Si muore così, avvolto il capo in un sacchetto di plastica, con una corda, con un po’ di sapone, si muore lentamente con gli occhi sbarrati, per vederla tutta la propria vita annientata, dentro una latrina fatiscente a dismisura.

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LA CHIESA STA ‘PULENDO LA SPORCIZIA’ CON LA DETERMINAZIONE DI BENEDETTO XVI! E LA SOCIETA’?

ROMA – L’azione di Benedetto XVI sta colpendo in maniera puntuale ogni sorta di ‘sporcizia’ all’interno della Chiesa; il Papa lo aveva già detto – a chiare lettere – quando da Cardinale si trovò a commentare la Via Crucis del Colosseo nel 2005. Prima di andare oltre, rileggiamo quei momenti alla luce delle azioni quotidiane del Pontefice. In quell’indimenticabile Venerdì Santo, Giovanni Paolo II, stretto, quasi aggrappato al Crocifisso, in una struggente “icona” di sofferenza, ha ascoltato in silenzioso raccoglimento le parole di colui che sarebbe divenuto il suoSuccessore sulla Cattedra di Pietro. Significativamente, il leitmotiv della Via Crucis è stata la parola pronunciata da Gesù la Domenica delle Palme, con la quale – immediatamente dopo il suo ingresso a Gerusalemme – risponde alla domanda di alcuni greci che lo volevano vedere: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Con queste parole il Signore ha offerto una interpretazione “eucaristica” e “sacramentale” della sua Passione. Ci mostra – era stata la riflessione dell’allora Cardinale Ratzinger – che la Via Crucis non è semplicemente una catena di dolore, di cose nefaste, ma è un mistero: è proprio questo processo nel quale il chicco di grano cade in terra e porta frutto. Con altre parole, ci mostra che la Passione è un’offerta di se stesso e questo sacrificio porta frutto e diventa quindi un dono per tutti.

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Benedetto XVI inaugura la centesima fontana nella Città del Vaticano: è dedicata a san Giuseppe

“Grazie per questo delicato e cortese pensiero!”: così Benedetto XVI inaugurando, stamane, nei Giardini vaticani la nuova fontana, realizzata dal Governatorato, intitolata a San Giuseppe, in omaggio al nome di battesimo del Papa. Si tratta della centesima fontana, ad abbellire la Città del Vaticano, installata “in un contesto naturale – ha sottolineato Benedetto XVI – di singolare bellezza”: “E’ un’opera che va ad incrementare il patrimonio artistico di questo incantevole spazio verde della Città del Vaticano, ricco di testimonianze storico-artistiche di varie epoche.” “Uno spazio vitale” – ha aggiunto il Santo Padre – per i miei predecessori e anche per me, “un luogo che volentieri frequento per trascorrere un po’ di tempo in preghiera e in serena distensione”: “Infatti, non solo i prati, i fiori, le piante, gli alberi, ma anche le torri, le casine, i tempietti, le fontane, le statue e le altre costruzioni fanno di questi Giardini un unicum affascinante”. Dedicata al padre terreno di Gesù, una “figura cara e vicina al cuore del Popolo di Dio e al mio cuore”, ha confidato Benedetto XVI: “Questa bella fontana dedicata a san Giuseppe costituisce un simbolico richiamo ai valori della semplicità e dell’umiltà nel compiere quotidianamente la volontà di Dio, valori che hanno contraddistinto la vita silenziosa, ma preziosa del Custode del Redentore”.
La fontana – formata da due grandi vasche ellittiche, di sei e otto metri, digradanti e comunicanti, con al centro una palma – è arricchita da sei formelle bronzee dell’artista bellunese Franco Murer, dedicate ad altrettanti episodi della vita di san Giuseppe, sui quali si è soffermato il Papa. Anzitutto lo ‘sposalizio’ tra Giuseppe e Maria, “un evento umano, ma determinante nella storia della salvezza dell’umanità” – ha ricordato il Papa – con “una connotazione soprannaturale” che i due sposi “accettano con umiltà e fiducia”. Poi il primo ‘sogno’ di Giuseppe, turbato dopo aver scoperto la misteriosa maternità di Maria, dove l’angelo gli fa comprendere ciò che avviene per opera dello Spirito Santo:
“Affidarsi a Dio non significa attuare tutto chiaro secondo i nostri criteri, non significa realizzare ciò che noi abbiamo progettato; affidarsi a Dio vuol dire svuotarsi di sé, rinunciare a se stessi, perché solo chi accetta di perdersi per Dio può essere ‘giusto’ come san Giuseppe, può conformare, cioè, la propria volontà a quella di Dio e così realizzarsi”. Quindi la ‘natività’, la ‘fuga in Egitto’, il ritrovamento di Gesù nel tempio, il lavoro di Giuseppe nell’officina di Nazareth, completano la narrazione tratta dai Vangeli di Matteo e Luca. Benedetto XVI ha ringraziato tutti quanti hanno partecipato a realizzare la nuova fontana, riservando “un pensiero speciale ai coniugi Hintze e al signor Castrignano di Londra, che hanno finanziato l’opera, insieme anche alle Suore del monastero di san Giuseppe di Kyoto e a vari enti pubblici e privati del Trentino.


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BENEDETTO XVI ALL’UDIENZA GENERALE: LA PAROLA DI DIO È LA STRADA DELLA VITA.

CITTA’ DEL VATICANO – Gli uomini prediligano il silenzio interiore e resistano alla confusione del mondo, perché nel silenzio parla la voce di Dio. Da un grande asceta come San Pier Damiani, monaco e “fine teologo” della Chiesa del primo millennio, Benedetto XVI ha tratto uno degli insegnamenti che hanno caratterizzato l’udienza generale di questa mattina, che il Papa ha presieduto in Aula Paolo VI, proveniente da Castel Gandolfo. Al termine dell’udienza, il Pontefice ha poi salutato i pellegrini della Repubblica Ceca – che sarà meta del suo prossimo viaggio apostolico a fine mese – e ha levato un appello alla solidarietà verso mutilati e invalidi del lavoro.  Si definiva “l’ultimo servo dei monaci”, Benedetto XVI lo ha definito personalità “esuberante, ricca e complessa” della Chiesa medievale, oltre che dotato di “genio” teologico e capacità letterarie fuori del comune, che hanno prodotto per i suoi contemporanei, ma anche per i cristiani di oggi, pagine indimenticate sulla bellezza di Dio, sull’amore alla Croce di Cristo, sul valore del silenzio dell’anima: in particolare, quello che si apprezza nel ritiro di un chiostro. Tutto questo fu Pier Damiani, e il Papa – nel tratteggiarne vita ed spirituale ha posto in risalto alcun punti di un uomo che a poco più di 25 anni fu affascinato “dalla contemplazione dell’assoluto di Dio”: “La vita eremitica è per lui il vertice della vita cristiana, è ‘al culmine degli stati di vita’, perché il monaco, ormai libero dai legami del mondo e del proprio io, riceve ‘la caparra dello Spirito Santo e la sua anima si unisce felice allo Sposo celeste’. Questo risulta importante oggi pure per noi, anche se non siamo monaci: saper fare silenzio in noi per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire un ‘parlatorio’ dove Dio parla con noi: Apprendere la Parola di Dio nella preghiera e nella meditazione è la strada della vita”.

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conti

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I GIOVANI DI FRONTE A GESÙ: TESTIMONIANZE DAL MONDO. APPROFONDIMANO E VIVIAMO ESPERIENZA DI CRISTO!

luADORAZIONE – Proponiamo la lettura di alcune testimonianze dirette di giovani, laici o sacerdoti, che propongono una diretta esperienza, vissuta personalmente o in qualità di testimoni credibili della grande opera di Gesù Risorto. Queste testimonianza sono pubblicate nella speranza di una riflessione sana e confortante, specialmente in queste ore di attesa della Terza Edizione dell’Adunanza Eucaristica Nazionale che si svolgerà nella notte tra il 27 ed il 28 giugno 2009 al Circo Massimo di Roma.

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ANCORA BLASFEMIA E VILIPENDIO DELLA RELIGIONE AL GAY PRIDE. E LA POLITICA STA ZITTA

luROMA – Organizzare il Gay Pride, partecipare a questa colorata esaltazione del nulla o del tutto (dipende come una persona vede la vita…), mettersi a ballare semi nudi su un carro di un carnevale fuori tempo a ritmo di musica tekno, alla fin fine è soltanto una esasperazione ed ognuno vive o crepa del male che vuole… certo che vivere del bene che ci è donato sarebbe meglio! Ma che in queste manifestazioni si eserciti una immorale e schifosa serie di offese blasfeme, bestemmie e vilipendio di religione è una cosa grave e concreta. Vestiti e paramenti che noi cattolici reputiamo ‘sacri’, quanto la vita di uno di quei ragazzi o ragazze, slogan e frasi animalesche contro il Santo Padre che reputiamo rappresentante di Gesù su questa terra, queste cose davvero NON SI POSSONO ACCETTARE!

E tutto nel silenzio più assordante delle Istituzioni!

SINDACO ALEMANNO, NIENTE DA DIRE?

PRESIDENTE BERLUSCONI, NIENTE DA DIRE?

E FRANCESCHINI, MA NON ERA DEMOCRISTIANO?

Quello che si sta perpetrando è una cosa grave ed insulsa, un vero e proprio REATO che passa davanti agli occhi di milioni di persone nel più profondo silenzio! Non escludiamo a priori di prendere e assumere ‘gravi’ iniziative a tutela della nostra religione, del Santo Padre e di tutte le persone che, tra un bacio omosessuale ed una stravaganza, hanno invece voglia di NORMALITA’, SOBRIETA’ E RISPETTO!

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«LA MUSICA CONTRO IL SILENZIO»: SUL PALCO GIOVANI MUSICISTI DISABILI

SPETTCOLI – Domenica 17 maggio dalle 20.30 alla Sala Greppi di Bergamo, in via Greppi 6, è in programma il concerto «La musica contro il silenzio» con l’esibizione di giovani musicisti con autismo e con disabilità cognitiva dell’orchestra sinfonica «La nota in più» insieme ai loro insegnanti. L’ingresso è libero. L’orchestra sinfonica «La nota in più» nasce nell’omonimo Centro di musicoterapia orchestrale – con sede a Bergamo in via Alcaini 1, quartiere di San Colombano – attivo da alcuni anni grazie alla sforzo congiunto di molti soggetti, in particolare l’Ufficio Scolastico Provinciale di Bergamo (ex Provveditorato agli Studi – http://www.istruzione.bergamo.it), il Comune di Bergamo, l’Associazione Spazio Autismo Onlus. 

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UN APPELLO CADUTO NEL SILENZIO. RIFLETTIAMO INSIEME. E PREGHIAMO DI PIU’

VITA – “Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; […] tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e, mentre guastano la civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano ancor più che non quelli che le subiscono; e ledono grandemente l’onore del Creatore” […] con le nuove prospettive aperte dal progresso scientifico e tecnologico nascono nuove forme di attentati alla dignità dell’essere umano, mentre si delinea e si consolida una nuova situazione culturale, si dà ai delitti contro la vita un aspetto inedito e – se possibile – ancora più iniquo suscitando ulteriori gravi preoccupazioni: larghi strati dell’opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita in nome dei diritti della libertà individuale e, su tale presupposto, ne pretendono non solo l’impunità, ma persino l’autorizzazione da parte dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà ed anzi con l’intervento gratuito delle strutture sanitarie. […] attentati, concernenti la vita nascente e terminale, che presentano caratteri nuovi rispetto al passato e sollevano problemi di singolare gravità per il fatto che tendono a perdere, nella coscienza collettiva, il carattere di “delitto” e ad assumere paradossalmente quello del “diritto”, al punto che se ne pretende un vero e proprio riconoscimento legale da parte dello Stato e la successiva esecuzione mediante l’intervento gratuito degli stessi operatori sanitari. […] nessuna parola può cambiare la realtà delle cose: l’aborto procurato è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza […] ragioni per quanto gravi e drammatiche, non possono mai giustificare la soppressione deliberata di un essere umano innocente […] […] L’aborto e l’eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. La presente Enciclica […], vuole essere dunque una riaffermazione precisa e ferma del valore della vita umana e della sua inviolabilità, ed insieme un appassionato appello rivolto a tutti e a ciascuno, in nome di Dio: rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana!

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LA CONDANNA DEL SILENZIO: MORTI BIANCHE COSÌ BIANCHE DA ACCECARE PERSINO I CONTUSI NELL’ANIMA

PARLIAMONE – Ogni giorno che passa è scandito dalla notizia di un nuovo morto, quando va bene un ferito raccolto sbrigativamente per non creare ulteriori disagi. E’ un bollettino di guerra in piena regola, neppure sotto guerra di mafia, di camorra, di Sparta e di Troia, c’è stata così terrificante la somma di vite umane andate in frantumi. Un clichè sbalorditivo per la monotonia ripetitiva con cui si sottolineano sempre identiche le cause, riconducibili ai soliti ultimi anelli deboli della catena produttiva, eterno maledetto l’accidente inevitabile. Uno, due, tre morti al giorno, in fabbrica, in cantiere, sulla strada, per ogni posto di lavoro rimasto sguarnito, eccone subito un altro da conquistare, rimesso in gioco per il miglior offerente, quello che arrampica veloce, che produce e tace, senza bisogno di funi salva vita, di perdite di tempo che non possono essere conteggiate, di eccessivi e improbabili ripensamenti. Un morto, uno sull’altro, tutti uguali, senza nome né storia vissuta, ma con la stessa imperturbabile insignificanza, morti sul lavoro che non costituiscono allarme sociale. Sono morti che non hanno più odore, neppure quello dell’inaccettabilità. Il silenzio che avvolge questa ecatombe è inspiegabile, eppure ogni indicatore di cui disponiamo, ogni statistica divenuta dato esponenziale, ogni verifica e indagine segnalano una impennata dei pericoli che investono i lavoratori, al punto da essere diventati potenziali vittime predestinate. Inutile domandarsi ancora e con colpevole ritardo quanto numerosi siano i fattori che concorrono alla prosecuzione di questa strage, soprattutto l’indifferenza per rendere meno infame il diritto di tutela della propria dignità personale, per ogni cittadino lavoratore, che intende essere sempre presente per arrivare a fine mese, tentando di riuscirci in maniera decorosa.  Ogni anno migliaia di morti, accompagnati alla fossa con tutte le risposte ben cucite sulla pelle, eppure questa immane ingiustizia non genera sentimenti di rigetto, di rifiuto, di rivalsa, il popolo bisbiglia, lo Stato sottolinea la tragedia con malcelata impotenza, le istituzioni puntano i piedi attraverso l’esibizione di qualche bel concerto. Le litanie prendono le sembianze delle campagne politiche e mediatiche, ma l’effetto che si ottiene è la condanna al silenzio e all’immobilismo….

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