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GIOVANNI PAOLO II “BEATO”. CHE COSA PUÒ DIRE AI GIOVANI DI OGGI?

Quella sera in cui morì il Papa, il 2 aprile 2005, alle tre di notte mi trovavo in fila per andare a “vedere” Giovanni Paolo II in S. Pietro. Non resistetti alla fatica, tornai indietro con un po’ di vergogna. In compenso decine di migliaia di giovani camminarono fino a sette-otto ore per un sguardo-lampo, ma così intenso, come quando si vuol incontrare per l’ultima volta una persona veramente amica. Mi metto nella situazione di un educatore che vuol parlare della beatificazione di Giovanni Paolo II ai giovani. Il mio è un esercizio, come si dice, in caduta libera. So bene che prima di parlare ai giovani, bisogna incontrali e condividere una buona relazione con loro… Diamola per esistente. Del resto il mio contributo è un input, se può servire a fare meglio…

Perché parlarne?

Rispondo partendo da qualcosa di singolare, per non dire straordinario, che è capitato. Quella sera in cui morì il Papa, il 2 aprile 2005, alle tre di notte mi trovavo in fila per andare a “vedere” Giovanni Paolo II in S. Pietro. Non resistetti alla fatica, tornai indietro con un po’ di vergogna. In compenso decine di migliaia di giovani camminarono fino a sette-otto ore per un sguardo-lampo, ma così intenso, come quando si vuol incontrare per l’ultima volta una persona veramente amica. Si sa che quella, più che un corteo funebre, era una processione pensosa e serena, che rimase nella memoria collettiva come un evento storicamente unico. Colpirono certamente i solenni funerali in Piazza S. Pietro, con tutti i cosiddetti ‘Grandi’ della terra.

Colpì in particolare un’espressione usata più volte in seguito da Benedetto XVI, che allora da cardinale presidente della celebrazione qualificò Giovanni Paolo II: “Il nostro amato Papa”, mai fino allora usata ufficialmente a riguardo di un pontefice. ‘Amato’ traduce il ‘geliebte’ tedesco, è la parola degli innamorati! E finalmente sulla piazza risuonò sia pur sommessamente quel grido altrimenti forte e intenso: John Paul Two, we love you!, da sempre scandito a Buenos Aires, a Santiago, a Czestokowa, a Manila, a Denver, a Parigi, a Roma, a Toronto, a Colonia… Sta qui, in questo condensato di storia viva, che si radica la ragione di parlare di Giovanni Paolo ai giovani di oggi, come per una memoria di cui hanno diritto e possono averne bisogno. In sintesi non è errato, conoscendo il feeling che si era creato tra Papa e giovani, pensare ad una trasmissione di eredità.

Come attualizzare questo rapporto singolare tra giovani e il Papa “beato”?

Proprio il suo essere detto ‘beato’, cioè certamente avvolto dalla gloria di Dio, avrà anche la capacità, il carisma di suscitare la partecipazione giovanile? Non saprei rispondere a priori. E’ giusto ricordare che l’entusiasmo di cui stiamo parlando ha avuto il suo nucleo generatore in particolare nelle Giornate Mondali della Gioventù, e più ampiamente grazie agli incontri con i giovani che Giovanni Paolo II voleva sempre in agenda in qualsiasi posto della terra andasse, tra cristiani, musulmani, buddisti. E’ ovvio che quei giovani di allora sono diventati adulti, e sarebbe un bel segno se si affacciassero su S. Pietro o davanti al monitor nelle piazze delle città o della TV di casa. Staremo a vedere, ma con motivata speranza. Gli anni trascorsi non sono tanti e le radici del cuore sono sempre più difficili da estirpare!

Semmai è da verificare se è cambiata la direzione del vento della fede, se il contesto sociale non favorevole ad un loro futuro occupazionale non ha prodotto scetticismo e sconforto, come pure se gli orientamenti culturali dominanti, così frammentati e miopi, non blocchino ideali di cambio e la stessa possibilità di farlo, non dimenticando d’altra parte la incoercibile ricerca di senso, anche in ambito religioso, e sicuramente per una umanità diversa, che proprio questi giovani vanno manifestando.

E’ dunque in questo clima in chiaroscuro che si collocano le generazioni più giovani – quelli che arrivano oggi ai 18-20 anni – che hanno sentito parlare del Papa e l’hanno magari visto in TV, ma non l’hanno incontrato in qualche raduno. E’ difficile ipotizzare una previsione di partecipazione da parte loro, Giovanni Paolo II “beato”. Che cosa può dire ai giovani di oggi? Certamente – come si sta verificando – vi sarà l’accorrere di folle di credenti di ogni età e i giovani di ieri e di oggi si chiederanno cosa stia capitando. Qui ritengo che si affacci il compito di noi educatori: di rinverdire la memoria, di impostare un discorso con i giovani facendo scoprire la persona di Giovanni Paolo II. Come?

Lasciando parlare Lui stesso nei grandi interventi (come dimenticare il suo grande discorso ‘kennedyano’ alle Sentinelle del mattino nella GMG del 2000 a Roma nella notte di quella indimenticabile veglia?), servendosi dei tanti sussidi massmediatici, e facendo parlare dei testimoni, quelli del “ c’ero anch’io”, nelle GMG e in altre occasioni. Solo così può rivivere Giovanni Paolo II.

Che cosa può ricevere – grazie agli educatori – la generazione giovane da un Papa beatificato loro amico? Che cosa aggiunge la beatificazione alla relazione così vivace che fu tra loro?

La risposta è relativamente semplice: beatificazione vuol dire conferma solenne, ispirata dallo Spirito Santo, del valore della vita del beatificato, della sua causa, dei suoi pensieri, delle sue scelte, e dunque nel nostro caso, del modo di Giovanni Paolo II di pensare, amare, volere, trattare i giovani e farsi incontrare da loro. Qui sarebbe da aprire il vasto fronte della ricerca, sapendo che diversi studi sono stati pubblicati, ben poco sulla totalità del suo ministero pastorale tra i giovani. Si tenga in ogni caso presente la sua Lettera ai Giovani del mondo nel marzo del 1985.

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ROMA, ALLA PARROCCHIA DI SAN TOMMASO MORO AULE COMPUTER, LIBRERIE PER I GIOVANI E SOLIDARIETÀ

CHIESA CATTOLICA (Roma) – I cancelli della parrocchia di San Tommaso Moro, nel quartiere Tiburtino, sono sempre aperti, dalla mattina alla sera. «Quando sono stato nominato amministratore parrocchiale, pochi mesi fa, ho capito che c’era la forte necessità di entrare in dialogo con il territorio che non è molto vasto ed è abitato soprattutto da studenti universitari, molti fuori sede, e da anziani – spiega monsignor Andrea Celli –. É una parrocchia di frontiera che si colloca tra l’università La Sapienza, il Centro nazionale delle ricerche (Cnr) e il quartiere San Lorenzo. C’è bisogno di una vera evangelizzazione che si ponga in dialogo con delle realtà lontane, come quelle giovanili che, a volte, hanno forti pregiudizi verso la Chiesa».

La vocazione naturale di questa parrocchia è quella di entrare in contatto con i giovani e don Andrea, coadiuvato dal viceparroco don Edimilson Lima, ha incentrato questi primi mesi di attività proprio su questo e sull’evangelizzazione. «Abbiamo creato una sala studio con computer e librerie dove i ragazzi possono venire a studiare liberamente tutti i pomeriggi; una sala giochi, un salone parrocchiale e una sala catechesi. Si stanno completando i lavori dei campi da calcetto e pallavolo che saranno inaugurati e benedetti il 26 giugno, giorno in cui festeggeremo il nostro patrono con una Messa a cui farà seguito la finale di alcuni tornei che avranno inizio nei primi giorni di giugno», racconta il sacerdote. Lo stesso giorno il salone parrocchiale sarà intitolato a Giovanni Paolo II, mentre nei giorni precedenti, il 22 e il 24 giugno, si terranno in parrocchia rispettivamente una tavola rotonda sul primato della coscienza e una veglia di preghiera sul rapporto tra vita del Santo e radicalità evangelica, sempre nell’ambito della festa patronale.

Il gruppo universitario si riunisce ogni mercoledì per discutere sul tema “L’incontro con Cristo”. Laura Versace è una delle animatrici e spiega che tanti ragazzi sentono la parrocchia come una seconda famiglia: «È bello vedere come lo Spirito Santo opera in questi giovani, mettendo nel loro cuore il desiderio grande di conoscere il Signore. La sfida è cercare di far avvicinare quanti più ragazzi possibile, soprattutto i tanti fuori sede che abitano e circolano nel quartiere». Nella zona non sono molti i bambini, ma la parrocchia pensa anche a loro. Una ventina frequentano un gruppo di pre-Comunione, e ogni sabato pomeriggio si incontrano per seguire un percorso sulle parabole di Gesù e per giocare insieme nel grande parco che circonda la parrocchia. «Nel giardino è stato sistemato un piccolo parco giochi dove le mamme possono portare i loro bambini», dice ancora don Andrea. 

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COME CAMBIANO LE GMG. SCELTE DIVERSE MA COMPLEMENTARI, I GIOVANI SI RACCONTANO

I GIOVANI E LE GMG – 1984: ritrovo a Roma in Piazza S. Pietro. 2011: Madrid accoglie i giovani del mondo. Il volto delle Giornate Mondiali della Gioventù (GMG) è cambiato, e sta cambiando. Perché? Perché cambia il mondo e l’uomo al suo interno. Basti pensare, per fare un esempio, all’avvento di Internet e dei mutamenti soprattutto antropologici che ha portato con sé. A partire da questo punto basilare cambia la vita dei giovani stessi, le gioie e le problematiche che vivono al loro interno. Questi cambiamenti vengono recepiti e assunti dagli stessi messaggi che i vari Pontefici, in questi anni, hanno inviato ai giovani in occasioni delle GMG. Nelle parole che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno preparato ad hoc per i giovani del mondo si percepisce un desiderio di accogliere e, per quanto possibile tradurre, le richieste, le attese e le speranze che vivono in essi. Nel messaggio in occasione della GMG di Madrid, un esempio significativo, si evidenzia la consapevolezza del Papa verso la difficoltà del lavoro nel precariato giovanile. Scrive Benedetto XVI: “Certamente, ricordando la mia giovinezza, so che stabilità e sicurezza non sono le questioni che occupano di più la mente dei giovani. Sì, la domanda del posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi è un problema grande e pressante, ma allo stesso tempo la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande”.

Giovani che si raccontano

Prendendo spunto dal testo del Messaggio per la GMG 2011 di Madrid, daremo voce a diverse voci di giovani che hanno compiuto scelte diverse tra loro, ma complementari. Il messaggio del Papa sarà commentato dalla diretta testimonianza di persone che, con la loro vocazione, fanno emergere risvolti esistenziali a partire dal testo della GMG. Come si dice in gergo tecnico “provengono dalla strada” e credo pedagogicamente corretto e saggio nell’ottica formativa proporre questo percorso. Un percorso che si può valorizzare in famiglia, a scuola, in parrocchia, nella catechesi, in monastero, ecc.

“Da soli non andiamo lontano”
Stefano Cuccaroni, studente universitario, educatore

“La fede cristiana non è solo credere a delle verità, ma è anzitutto una relazione personale con Gesù Cristo, è l’incontro con il Figlio di Dio, che dà a tutta l’esistenza un dinamismo nuovo. Quando entriamo in rapporto personale con Lui, Cristo ci rivela la nostra identità, e, nella sua amicizia, la vita cresce e si realizza in pienezza”. (dal Messaggio GMG 2011)

«La fede nasce da un incontro personale con il Signore, e si alimenta continuamente di questo incontro con Lui, che ritroviamo (e si fa ritrovare – verbo al passivo!) nella preghiera, nei Sacramenti, nel servizio e soprattutto nei fratelli. È la storia personale di ognuno di noi il luogo dell’incontro con Cristo. È nella storia personale di ognuno di noi l’appuntamento con il Signore. E sta a noi non rimandare o evitare quest’incontro (la tentazione laicista dell’autosufficienza da Dio). Non è un caso, poi, che Benedetto XVI ci racconti con passione la sua vicenda personale di giovane in ricerca e condivida con sincerità gli stati d’animo, le speranze, “l’anelito per ciò che è realmente grande”, tipici dell’età giovanile. Questi caratteri ci accomunano tutti, giovani di oggi e giovani “un po’ più cresciuti” (e ci aiutano anche a considerare il Santo Padre come uno di noi, e non come un mistico o un predestinato sollevato dai problemi quotidiani e soprattutto dai dubbi e dalle domande di senso). Quest’elemento personalissimo (quasi confidenziale) che il Santo Padre ci vuole comunicare, non fa altro che ribadire la “concretezza”di quest’incontro e la “realtà”della fede. Il dono della fortezza è il dono del coraggio, della costanza, della tenacia. Che lo Spirito Santo sia capace di regalare questo dono lo constatiamo dalla forza che gli Apostoli hanno acquistato nel giorno della Pentecoste: lo Spirito Santo li ha resi coraggiosi nel parlare ed entusiasti nel fare (At 4,31). Condizione necessaria per la fortezza è l’“essere radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”. Non ci sono altre fondamenta alla base di questa fortezza: radicati, fondati e saldi in Cristo e nella fede. Ci vogliono da parte nostra, però, disponibilità, volontà, coraggio di osare, ma soprattutto coerenza. E sappiamo quanto è facile cadere nella comoda tentazione dell’incoerenza dell’essere cristiani in sagrestia ma non nell’ufficio di lavoro, dell’essere cristiani tra i cristiani e del non esserlo con i non cristiani».

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“IMPARATE DA ME CHE SONO MITE ED UMILE DI CUORE ” (MT 11,29). SCOPRIAMO LE VERA RADICE DELL’UMILTÀ

CATECHESI – Gesù terminava la sua parabola degli invitati al banchetto dicendo che chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato (Lc 14,1.7-11). Ma cosa significa “umiliarsi”? Sono sicuro che se domandassi a varie persone cos’è per loro l’umiltà, otterrei tante risposte diverse, ognuna contenente una parte di verità, ma incomplete. Se lo domandassi a un uomo che è portato per temperamento alla violenza, a far valere il proprio punto di vista con forza, forse mi risponderebbe: “l’umiltà è non alzare la voce, non fare il prepotente in casa, essere più mite e arrendevole Se lo domandassi a una ragazza, forse mi risponderebbe: “l’umiltà è non essere vanitosa, non volere attirare lo sguardo degli altri, non vivere solo per se stessi o per la facciata…” Un sacerdote mi risponderebbe: “Essere umili significa riconoscersi peccatore, avere un sentimento basso di se stesso Ma è facile capire che così non si è toccata ancora la radice dell’umiltà. Per scoprire la vera radice dell’umiltà bisogna, come sempre, rivolgersi all’unico Maestro che è Gesù. Egli ha detto: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore ” (Mt 11,29). Per un po’ di tempo, confesso che questa frase di Gesù mi ha molto stupito. Infatti: dov’è che Gesù si mostra umile? Leggendo il vangelo non si incontra mai la benché minima ammissione di colpa da parte di Gesù. Questa è anzi una delle prove più convincenti dell’unicità e della divinità di Cristo: Gesù è l’uníco uomo che è passato sulla faccia della terra, ha incontrato amici e nemici senza dover mai dire: “Ho sbagliato!”, senza chiedere mai perdono a nessuno, neppure al Padre. La sua coscienza ci appare un cristallo: nessun senso di colpa la sfiora. Di nessun altro uomo, di nessun fondatore di religione, si legge una cosa simile. Dunque Gesù non è stato umile, se per umiltà intendiamo parlare o sentire bassamente di sé, ammettere di avere sbagliato. “Chi di voi – egli può dire con sicurezza – può convincermi di peccato?” (Gv 8,46). Eppure questo stesso Gesù dice con altrettanta sicurezza: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore ” (Mt 11,29). Allora vuol dire che l’umiltà non è proprio quella cosa che il più delle volte noi pensiamo, ma qualcos’altro che dobbiamo scoprire dai vangeli. Che cosa ha fatto Gesù per essere e dirsi “umile”? Una cosa semplicissima: si è abbassato, è sceso. Ma non con i pensieri o con le parole. No, no; con i fatti! Con i fatti Gesù è sceso, si è umiliato. Trovandosi nella condizione di Dio, nella gloria, cioè in quella condizione in cui non si può né desiderare né avere niente di meglio, è sceso; ha preso la condizione di servo, si è umiliato facendosi obbediente fino alla morte (cfr. Fil 2,6ss). Una volta iniziata questa discesa vertiginosa da Dio a schiavo, non si è fermato ancora; ha continuato a scendere, tutta la vita. Si mette in ginocchio per lavare i piedi ai suoi apostoli; dice: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). Non si arresta finché non tocca il punto oltre il quale nessuna creatura può andare, che è la morte, Ma proprio là, nel punto estremo del suo abbassamento, lo raggiunge la potenza del Padre, cioè lo Spirito Santo, afferra il corpo di Gesù nella tomba, lo vivifica, lo risuscita e lo innalza alla sommità dei cieli, gli dà il Nome che è al di sopra di ogni altro nome e ordina che ogni ginocchio si pieghi davanti a lui. Ecco un esempio concreto, la realizzazione massima della parola: “Chi si umilia sarà esaltato”.

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Benedetto XVI inaugura la centesima fontana nella Città del Vaticano: è dedicata a san Giuseppe

“Grazie per questo delicato e cortese pensiero!”: così Benedetto XVI inaugurando, stamane, nei Giardini vaticani la nuova fontana, realizzata dal Governatorato, intitolata a San Giuseppe, in omaggio al nome di battesimo del Papa. Si tratta della centesima fontana, ad abbellire la Città del Vaticano, installata “in un contesto naturale – ha sottolineato Benedetto XVI – di singolare bellezza”: “E’ un’opera che va ad incrementare il patrimonio artistico di questo incantevole spazio verde della Città del Vaticano, ricco di testimonianze storico-artistiche di varie epoche.” “Uno spazio vitale” – ha aggiunto il Santo Padre – per i miei predecessori e anche per me, “un luogo che volentieri frequento per trascorrere un po’ di tempo in preghiera e in serena distensione”: “Infatti, non solo i prati, i fiori, le piante, gli alberi, ma anche le torri, le casine, i tempietti, le fontane, le statue e le altre costruzioni fanno di questi Giardini un unicum affascinante”. Dedicata al padre terreno di Gesù, una “figura cara e vicina al cuore del Popolo di Dio e al mio cuore”, ha confidato Benedetto XVI: “Questa bella fontana dedicata a san Giuseppe costituisce un simbolico richiamo ai valori della semplicità e dell’umiltà nel compiere quotidianamente la volontà di Dio, valori che hanno contraddistinto la vita silenziosa, ma preziosa del Custode del Redentore”.
La fontana – formata da due grandi vasche ellittiche, di sei e otto metri, digradanti e comunicanti, con al centro una palma – è arricchita da sei formelle bronzee dell’artista bellunese Franco Murer, dedicate ad altrettanti episodi della vita di san Giuseppe, sui quali si è soffermato il Papa. Anzitutto lo ‘sposalizio’ tra Giuseppe e Maria, “un evento umano, ma determinante nella storia della salvezza dell’umanità” – ha ricordato il Papa – con “una connotazione soprannaturale” che i due sposi “accettano con umiltà e fiducia”. Poi il primo ‘sogno’ di Giuseppe, turbato dopo aver scoperto la misteriosa maternità di Maria, dove l’angelo gli fa comprendere ciò che avviene per opera dello Spirito Santo:
“Affidarsi a Dio non significa attuare tutto chiaro secondo i nostri criteri, non significa realizzare ciò che noi abbiamo progettato; affidarsi a Dio vuol dire svuotarsi di sé, rinunciare a se stessi, perché solo chi accetta di perdersi per Dio può essere ‘giusto’ come san Giuseppe, può conformare, cioè, la propria volontà a quella di Dio e così realizzarsi”. Quindi la ‘natività’, la ‘fuga in Egitto’, il ritrovamento di Gesù nel tempio, il lavoro di Giuseppe nell’officina di Nazareth, completano la narrazione tratta dai Vangeli di Matteo e Luca. Benedetto XVI ha ringraziato tutti quanti hanno partecipato a realizzare la nuova fontana, riservando “un pensiero speciale ai coniugi Hintze e al signor Castrignano di Londra, che hanno finanziato l’opera, insieme anche alle Suore del monastero di san Giuseppe di Kyoto e a vari enti pubblici e privati del Trentino.


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IN CAMMINO PER MADRID…. LA PRIMA CATECHESI PER I GIOVANI ITALIANI

CATECHESI – 1. “Pensare all´infinito” “Non avete mai incontrato nella vostra vita una donna che vi ha stregato e poi è scomparsa? Queste donne sono come le stelle che passano veloci nelle calme notti estive. Vi sarà sicuramente capitato di incontrare, in qualche stabilimento balneare, alla stazione, in un negozio, o su un tram, una di queste donne la cui vista è una rivelazione, come un fiore che sboccia improvvisamente dal profondo della vostra anima. E sarà solo un minuto; questa donna se ne andrà; rimarrà nella vostra anima come un tenue ricordo di luce e bontà; sentirete come un´indefinibile angoscia quando la vedrete allontanarsi per sempre. Io ho provato molte volte questa tristezza indefinibile; ero un ragazzo; in estate andavo spesso nel capoluogo di provincia e mi sedevo lunghe ore sulla spiaggia vicino al mare. E allora vedevo qualcuna di quelle donne misteriose, che come il mare azzurro stava davanti a me e mi faceva pensare all´infinito”. Il genio letterario di Azorín esprime molto efficacemente un´esperienza elementare che vive ogni uomo.

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LO SPIRITO CHIAMA A RACCOLTA CHI SI RICONOSCE NEL VANGELO. SI TRATTA DI DIVENTARE TESTIMONI.

RIFLESSIONE – Mi ha molto colpito l’affermazione di Papa Giovanni XXIII, riportata in un articolo di Ferdinando Castelli sull’Osservatore Romano: “Lo Spirito Santo ha scelto me. Si vede che vuole lavorare da solo. Mi sembra a volte di essere un sacco vuoto che lo Spirito Santo riempie improvvisamente di forza”. Sa di umorismo ma è anche un invito “alla fiducia e alla pace interiore”. Fiducia nell’opera di Dio, pace che nasce dal sapere che non ci lascia soli, neppure nella tormenta e nei drammi del nostro tempo, neppure quando ci rendiamo conto della nostra povertà e del senso di impotenza che ci prende di fronte al crescere della “impopolarità di Dio” e della sua “Chiesa”, alle difficoltà che abbiamo a vivere da cristiani, a testimoniare il Vangelo ai ragazzi e ai giovani, alle famiglie, a quanti, venendo da oltre confine, si confrontano con la nostra Religione.

Lo Spirito e la Chiesa

Ma davvero lo Spirito santo vuole lavorare “da solo”? Davvero non ha bisogno della Chiesa, dei suoi uomini, vescovi e preti, dei suoi laici, uomini e donne, giovani e anziani? Siamo davvero giunti alla frutta con questa Chiesa che, qualcuno dice, non essere in linea con il Vangelo, non rispondendo più ai sogni e alle attese più alte del cuore dell’uomo, che altri ritengono in agonia o moribonda o per nulla significativa? Parecchi credenti sono spaesati e confusi a rispondere, ma tanti sono convinti che lo Spirito non voglia lavorare da solo! Continua a chiamare a raccolta chi si riconosce nei valori del Vangelo, invita ad amare la Chiesa, come Cristo l’ha amata, calandosi in essa, anche nella sua miseria e povertà, rimanendovi “dentro” nonostante i limiti e i peccati degli uomini, che l’hanno abitata nel tempo.

Mistero, Sacramento, Unione

Si tratta di diventare testimoni, non solo per le persone che sono lontane dalla Chiesa ma anche per la Chiesa stessa, che siamo invitati ad amare: la Chiesa “mistero”, suscitata da Cristo e non dall’uomo, la Chiesa “sacramento”, segno dell’amore di Dio per l’umanità per ognuno di noi, per ogni popolo e razza, la Chiesa “comunione”, famiglia di Dio unita dalla carità e dove in Cristo è abbattuta ogni inimicizia. E questa Chiesa esiste! E’ la Chiesa degli oratori, che durante l’estate ha convocato migliaia di ragazzi per non farli sentire soli, stranieri a se stessi e agli altri; la Chiesa del volontariato, della Caritas, che non si è fermata all’Abruzzo, a L’Aquila, ma è entrata nelle case degli anziani, dei “disabili”, nelle comunità di accoglienza degli stranieri, negli ospedali, nei luoghi della disperazione, che sono certe periferie e i drammi di chi si rifugia nelle sostanze, in terra di missione, tra gli ultimi. E’ la Chiesa della contemplazione! Non solo di Marta ma la Chiesa di Maria, dove nell’apparente inutilità della “clausura”, con le mani alzate tra terra e cielo, “i contemplativi” lodano e invocano Dio, lo chiamano ad essere presenza tra noi.

Non stiamo vivendo l’agonia della Chiesa e neppure del cristianesimo. Che anzi! E’ una Chiesa viva che lo Spirito invita ad essere “icona di Dio e icona dell’uomo secondo Dio”, “icona del Signore Gesù” sul Monte delle Beatitudini, nel gesto della Lavanda dei piedi, con il cuore aperto al Perdono e alla Misericordia, in attesa della Risurrezione, che viene anticipata nel gesto della carità, che fa passare l’uomo dal male al bene, dalla morte del cuore alla vita: carità educativa, carità-carità!

Il cuore dei giovani

Don Michele Do, rettore della chiesa di Saint-Jacques, piccolo paese della Val d’Aosta e amico fedele di Don Primo Mazzolari, con la sua predicazione, invitava i suoi fedeli a costruire “un’immagine creativa del cristianesimo”. Credo che ciò sia possibile, passando attraverso la Chiesa: in essa, i veri cercatori di Dio, coloro che amano l’umanità, gli stessi spiriti irrequieti devono entrare. Nella “fractio panis” e nell’ascolto della Parola, troveranno l’itinerario per dare alla Chiesa un’immagine nuova, che sia risposta alle tante ansie e dubbi dell’umanità. E’ un cammino che vuole vedere protagonisti anche i giovani. Vanno incoraggiati e sostenuti per manifestare la loro fede e viverla. Per quelli di una certa età è un forte segno di speranza vedere che il Vangelo e la Chiesa toccano ancora il cuore dei giovani!

 

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LO SPIRITO CHIAMA A RACCOLTA CHI SI RICONOSCE NEL VANGELO. SI TRATTA DI DIVENTARE TESTIMONI.

RIFLESSIONE – Mi ha molto colpito l’affermazione di Papa Giovanni XXIII, riportata in un articolo di Ferdinando Castelli sull’Osservatore Romano: “Lo Spirito Santo ha scelto me. Si vede che vuole lavorare da solo. Mi sembra a volte di essere un sacco vuoto che lo Spirito Santo riempie improvvisamente di forza”. Sa di umorismo ma è anche un invito “alla fiducia e alla pace interiore”. Fiducia nell’opera di Dio, pace che nasce dal sapere che non ci lascia soli, neppure nella tormenta e nei drammi del nostro tempo, neppure quando ci rendiamo conto della nostra povertà e del senso di impotenza che ci prende di fronte al crescere della “impopolarità di Dio” e della sua “Chiesa”, alle difficoltà che abbiamo a vivere da cristiani, a testimoniare il Vangelo ai ragazzi e ai giovani, alle famiglie, a quanti, venendo da oltre confine, si confrontano con la nostra Religione.

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IL PAPA ALL’UDIENZA: MONDO SAREBBE PIÙ FELICE SE PERSONE IMITASSERO RAPPORTO D’AMORE NELLA TRINITA’

CITTA’ DEL VATICANO – La ‘ricetta della felicità’ di Benedetto XVI è stata consegnata questa mattina dal Pontefice durante l’udienza generale del mercoledì. Certo che è riduttivo parlare di ‘ricetta’ per un Papa così profondamente trinitario e coinvolto nell’eserienza salvifica della carità al servizio della verità, ma Benedetto XVI coniuga nella Trinità, sia l’Amore sia la Verità. Se le relazioni tra le persone umane fossero modellate sul rapporto d’amore che lega le tre Persone divine, il mondo sarebbe un luogo più felice, nel quale ciascuno vivrebbe “per l’altro”. E’ la considerazione con la quale Benedetto XVI ha terminato questa mattina la catechesi all’udienza generale, in Aula Paolo VI. Il Papa ha tratto ispirazione dagli scritti di due monaci teologi del XII secolo, Ugo e Riccardo, che vissero nella famosa abbazia parigina di San Vittore.

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IL PAPA ALL’ANGELUS NELLA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE: LA CHIESA ANNUNCI IL VANGELO ALL’UMANITA’

CITTA’ DEL VATICANO – La Chiesa è chiamata ad annunciare la speranza evangelica a tutta l’umanità: all’Angelus in Piazza San Pietro, nella Giornata Missionaria Mondiale, Benedetto XVI ricorda che ciascun cristiano è impegnato a testimoniare il Vangelo a tutti, “in particolare a quanti ancora non lo conoscono”. Il Papa non ha poi mancato di rivolgere il pensiero ai missionari che operano in situazioni di grave disagio. Ed ha ricordato, in particolare, don Ruggero Ruvoletto, ucciso in Brasile, e padre Michael Sinnot, sequestrato nelle Filippine. Benedetto XVI ha ricordato il tema scelto per la Giornata Missionaria Mondiale, tratto dal Libro dell’Apocalisse: “Le nazioni cammineranno alla sua luce”. Questa luce, ha sottolineato, è “quella di Dio, rivelata dal Messia e riflessa sul volto della Chiesa”: “E’ la luce del Vangelo, che orienta il cammino dei popoli e li guida verso la realizzazione di una grande famiglia, nella giustizia e nella pace, sotto la paternità dell’unico Dio buono e misericordioso.

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BENEDETTO XVI ALL’UDIENZA GENERALE: LA PAROLA DI DIO È LA STRADA DELLA VITA.

CITTA’ DEL VATICANO – Gli uomini prediligano il silenzio interiore e resistano alla confusione del mondo, perché nel silenzio parla la voce di Dio. Da un grande asceta come San Pier Damiani, monaco e “fine teologo” della Chiesa del primo millennio, Benedetto XVI ha tratto uno degli insegnamenti che hanno caratterizzato l’udienza generale di questa mattina, che il Papa ha presieduto in Aula Paolo VI, proveniente da Castel Gandolfo. Al termine dell’udienza, il Pontefice ha poi salutato i pellegrini della Repubblica Ceca – che sarà meta del suo prossimo viaggio apostolico a fine mese – e ha levato un appello alla solidarietà verso mutilati e invalidi del lavoro.  Si definiva “l’ultimo servo dei monaci”, Benedetto XVI lo ha definito personalità “esuberante, ricca e complessa” della Chiesa medievale, oltre che dotato di “genio” teologico e capacità letterarie fuori del comune, che hanno prodotto per i suoi contemporanei, ma anche per i cristiani di oggi, pagine indimenticate sulla bellezza di Dio, sull’amore alla Croce di Cristo, sul valore del silenzio dell’anima: in particolare, quello che si apprezza nel ritiro di un chiostro. Tutto questo fu Pier Damiani, e il Papa – nel tratteggiarne vita ed spirituale ha posto in risalto alcun punti di un uomo che a poco più di 25 anni fu affascinato “dalla contemplazione dell’assoluto di Dio”: “La vita eremitica è per lui il vertice della vita cristiana, è ‘al culmine degli stati di vita’, perché il monaco, ormai libero dai legami del mondo e del proprio io, riceve ‘la caparra dello Spirito Santo e la sua anima si unisce felice allo Sposo celeste’. Questo risulta importante oggi pure per noi, anche se non siamo monaci: saper fare silenzio in noi per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire un ‘parlatorio’ dove Dio parla con noi: Apprendere la Parola di Dio nella preghiera e nella meditazione è la strada della vita”.

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conti

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I GIOVANI E LA SANTITA’. E’ USCITA LA SECONDA PARTE DEL DOSSIER DELL’AGENZIA VATICANA FIDES

CITTA’ DEL VATICANO – (Agenzia Fides) Una donna giovane che ha il coraggio di dire il suo ‘Si’ totale al Signore, un ‘Si’ senza condizioni che all’apparenza può sembrare straordinariamente difficile, ma che diventa ‘Si’ di azione e di santità se pronunciato nella totale donazione di se al progetto di Dio Padre: ecco Maria, la Madonna, modello di donna, di giovane, di Santa di tutti i Santi! La santità della Vergine, postulata dai Vangeli di Giovanni e Matteo, è enunciata con cura dal Vangelo di Luca: Maria è “oggetto per eccellenza del favore di Dio” consacrata dallo Spirito Santo che discende su di lei (Lc 1, 35), benedetta fra le donne ( Lc 1, 41), beata per aver creduto e, per questo, luogo privilegiato del compimento delle promesse (Lc 1, 45). Maria stessa rende grazie a Dio solo, per aver fatto in lei “grandi cose”. La vita cristiana ha come meta la perfezione della carità, dell’amore di Dio e del prossimo.

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IL PAPA A SAN GIOVANNI ROTONDO – AI GIOVANI: ‘LA CHIESA NON VI ABBANDONA!’

luSAN GIOVANNI ROTONDO – Giovani e religiosi accolgono con festa e gioia l’arrivo di Papa Benedetto XVI, per l’incontro che li vedrà protagonisti, nel confronto con il Successore di Pietro, nell’ascolto delle sue parole di speranza e di ‘dirazione di vita’ e nell’entusiasmo che il Santo Padre risce sempre a trasmettere, proprio alle nuove generazioni. “Ho presente i problemi che vi assillano, cari ragazzi e ragazze e rischiano di soffocare gli entusiasmi tipici della vostra giovinezza. Tra questi, in particolare, cito il fenomeno della disoccupazione, che interessa in maniera drammatica non pochi giovani e ragazze del Mezzogiorno d’Italia. Non perdetevi d’animo! Siate ‘giovani dal cuore grande’”. Papa Benedetto XVI ha rivolto ai giovani questa esortazione. “La Chiesa non vi abbandona. Voi non abbandonate la Chiesa! C’è bisogno del vostro apporto – ha concluso Papa Ratzinger – per costruire comunità cristiane vive, e società più giuste e aperte alla speranza. E se volete avere il ‘cuore grande’, mettetevi alla scuola di Gesù”.

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IL PAPA ALL’UDIENZA GENERALE: L’ESPERIENZA DELLA FEDE SI FA CON MENTE, CUORE E SENSI.

CITTA’ DEL VATICANO – L’esperienza della fede coinvolge non solo la mente e il cuore, ma anche i sensi. E’ quanto ha detto questo mercoledì Papa Benedetto XVI parlando dell’insegnamento del monaco Rabano Mauro. Il monaco, che visse tra il 780 e l’856, entrò giovanissimo in monastero e divenne prima abate del Monastero di Fulda e poi Arcivescovo di Magonza; fu consigliere saggio di principi all’interno della società carolingia e autore di uno dei più belli e conosciuti inni della Chiesa latina, il “Veni Creator Spiritus”. Prendendo come spunto il fatto che Rabano Mauro fu inoltre esegeta, filosofo e poeta, Benedetto XVI ha quindi ricordato che poesia e forma pittorica sono spesso servite ad esprimere verità di fede, come dimostrano i codici miniati della Bibbia. “Esso dimostra in ogni caso in Rabano Mauro – ha affermato il Santo Padre – una consapevolezza straordinaria della necessità di coinvolgere, nella esperienza della fede, non soltanto la mente e il cuore, ma anche i sensi mediante quegli altri aspetti del gusto estetico e della sensibilità umana che portano l’uomo a fruire della verità con tutto se stesso, ‘spirito, anima e corpo’”. Perché, ha aggiunto il Santo Padre, “la fede non è solo pensiero, ma tocca tutto il nostro essere. Poichè Dio si è fatto uomo in carne e ossa, è entrato nel mondo sensibile, noi in tutte le dimensioni del nostro essere dobbiamo cercare e incontrare Dio. Così la realtà di Dio, mediante la fede, penetra nel nostro essere e lo trasforma”. Rabano si sforzò inoltre di far comprendere il significato profondamente teologico e spirituale di tutti gli elementi della celebrazione liturgica, attingendo alla Bibbia e alla tradizione dei Padri.

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PAPA: LA SHOAH, MONITO CONTRO IL MALE E CONTRO OGNI NEGAZIONISMO

CITTA’ DEL VATICANO – La Shoah rimane un monito contro la potenza del male e contro ogni oblio e negazionismo. L’ha detto oggi Benedetto XVI che ha espresso la sua “piena e indiscutibile solidarietà” ai “fratelli” ebrei. Il Papa, che ha anche ricordato la sua visita ad Auschwitz, ha pure fatto riferimento alla revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani ai quali ha chiesto l’impegno a riconoscere il Concilio Vaticano II. Mentre – ha detto – rinnovo con affetto l’espressione della mia piena e indiscutibile solidarieta’ con i nostri fratelli destinatari della Prima Alleanza, auspico che la memoria della Shoah induca l’umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell’uomo”. La Shoah, ha aggiunto, deve essere “per tutti monito contro l’oblio, la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti. Le parole di Benedetto XVI appaiono una risposta alle polemiche sollevate dalle posizioni di uno dei vescovi tradizionalisti, mons. Richard Williamson, il quale nega l’esistenza delle camere a gas e riduce l’Olocausto alla uccisione di 300mila ebrei. Esse, peraltro, giungono nel giorno in cui il Gran Rabbinato di Israele ha deciso – a quanto riferisce il Jerusalem Post – di rompere a tempo indefinito le relazioni con il Vaticano, proprio a seguito della revoca della scomunica al vescovo lefebvriano negazionista. Il Gran Rabbinato ha anche cancellato un incontro con la Commissione vaticana per i rapporti con l’ebraismo, in programma a Roma dal 2 al 4 marzo.

Quanto ai rapporti con i lefebvriani, ricordando la parabola della pesca miracolosa, riferita alla costante ricerca di unità nella Chiesa, il Papa ha detto di aver concesso “la remissione della scomunica in cui erano incorsi i quattro vescovi ordinati nel 1988 da mons. Lefebvre senza mandato pontificio”, “proprio in adempimento di questo servizio all’unità”. “Ho compiuto questo atto di paterna misericordia – ha spiegato – perché ripetutamente questi presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare. Auspico – ha aggiunto – che a questo mio gesto faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero e dell’autorità del Papa e del Concilio Vaticano II”. Benedetto XVI, ha anche invocato lo Spirito Santo sul nuovo patriarca di Mosca, Kirill.

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SUL SETTIMANALE ‘TEMPI’ BONAIUTI E VIOLANTE COMMENTANO IL DISCORSO DEL PAPA A SYDNEY

ROMA – Curiosa iniziativa del settimanale ‘Tempi’ che chiede a due politici (par condicio applicata: uno del Pd e l’altro del Pdl) un commento sui discorsi tenuti da Papa Benedetto XVI a Sydney durante la XXIII Giornata Mondiale dei Giovani a Sydney. Il discorso del Papa alla Giornata mondiale della Gioventu’ di Sydney ‘vale piu’ di tutti i discorsi politici pronunciati nelle Camere’. Lo sostiene il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, mentre Luciano Violante dichiara: ‘Non sono cattolico, ma questa di Benedetto XVI, a mio avviso, e’ anche pedagogia civile’. Secondo Bonaiuti, ‘lo sbarco del Papa nel cuore dei giovani vale anche e soprattutto nella politica, perche’ la visione secolare della vita, una visione che non porta a Dio come punto di riferimento’ si presenta come ‘forza neutrale e rispettosa di tutti’ ma invece ‘manca di quell’amore, di quell’umilta’ nell’agire, di quella liberta’ che sole possono portare ad una concezione piu’ responsabile della vita’. Violante si chiede ‘chi sono i Maestri per le generazioni piu’ giovani del mondo contemporaneo? La politica sembra aver rinunciato ad una funzione formativa’, come anche la scuola e la famiglia. ‘Percio’ milioni di ragazze e ragazzi si avviano verso l’eta’ adulta senza aver conosciuto la necessita’ del limite, fondamento di qualunque educazione’, prosegue l’ex presidente della Camera. ‘Senza maestri, tramonta l’idea che non tutto e’ mercato’, conclude Violante.

Riflessioni di Paolo Bonaiuti

C’è stato un discorso nelle scorse settimane che vale più di tutti i discorsi politici pronunciati nelle Camere ed è quello che l’Avvenire ha definito: “Lo sbarco del Papa nel cuore dei giovani”. L’arrivo di Benedetto XVI nel mondo nuovo, nel mondo giovane e dei giovani dell’Australia ha un significato profondo: i ragazzi non vengono visti semplicemente come una massa indistinta di consumatori in un mercato dove già lo scegliere in se stesso, il potere di scelta, diventa il bene; dove la novità viene contrabbandata sempre e comunque come bellezza; dove l’esperienza soggettiva soppianta la verità oggettiva, portandosi dietro i rischi del relativismo, la malattia del secolo appena passato. L’analisi del sommo Pontefice vale anche e soprattutto nella politica, perché la visione secolare della vita, una visione che non porta a Dio come punto di riferimento, in realtà si presenta solo apparentemente come forza neutrale, imparziale, rispettosa di tutti. E invece essa manca di quell’amore, di quell’unità di intenti, di quell’umiltà nell’agire, di quella libertà che sole possono portare ad una concezione più intima, più individuale e quindi più responsabile della vita, della società, della politica stessa. Il messaggio di Papa Benedetto XVI sotto questo aspetto è molto chiaro: «Dio non è irrilevante nella vita pubblica». È un messaggio che induce a riflettere anche sugli scandali degli ultimi tempi, sul livello sempre più acceso del dibattito, sul rischio continuo che gli avversari preferiscano vedersi come nemici e soprattutto che prosegua la demonizzazione di chi la pensa in maniera diversa dagli altri.

Le parole del Papa arrivano anche a definire, a tracciare la rotta di un preciso impegno. Quando ai giovani dice che «la vita non è governata dalla sorte e non è casuale, la vostra personale esistenza è stata voluta da Dio», il Papa mette l’accento sul rischio che si presenta in questi tempi di crisi economica e finanziaria, di rialzi indiscriminati delle materie prime e del petrolio, sul rischio che si diffonda una generale avidità e di uno sfruttamento egoistico di questa situazione da parte di alcuni individui spregiudicati o di alcuni governi senza principio. Ecco perché il monito del Papa, anche se rivolto specificatamente ai giovani, si indirizza al futuro e quindi all’agire nella vita politica.

Riflessioni di Luciano Violante

Chi sono i Maestri per le generazioni più giovani del mondo contemporaneo? La politica, non solo quella italiana, sembra aver rinunciato deliberatamente ad una funzione formativa. In molte famiglie i genitori trovano più comodo dire tanti SÌ deresponsabilizzanti piuttosto che i pochi NO necessari. Nella scuola chi si sforza di educare si imbatte nella frustrazione di comunicare valori derisi nella società. I giovani, e sono tanti, che vivono degnamente sembrano pellegrini in patria, quasi condannati a vivere nella periferia del reale. Il mondo degli adulti, a partire dai mezzi di comunicazione, si muove più per gerarchie di interessi che per gerarchie di valori. Perciò milioni di ragazze e ragazzi si avviano verso l’età adulta senza aver conosciuto la necessità del limite, fondamento di qualunque educazione. Nessuno spiega loro che è proprio la consapevolezza del limite che dà un senso alla vita e permette che la vita abbia un senso. In un mondo che ha posto lo scambio al centro della vita, rischia di valere solo ciò che si può comprare o vendere. Senza maestri, tramonta l’idea che non tutto è mercato; che ci devono essere valori e comportamenti che non si comprano e non si vendono. Di questo vuoto ha parlato il Papa da Sydney; non solo ai giovani di tutto il mondo, ma ha anche agli adulti.

I giovani non possono vivere con responsabilità e libertà senza una pedagogia della dignità umana. Gli adulti devono sentirsi richiamati ai loro doveri educativi perché le parole di Sydney rammentano la responsabilità del rapporto tra le generazioni. Non sono cattolico, e mi scuso se entro in campi non miei: questa di Benedetto XVI, a mio avviso, è anche pedagogia civile, preoccupata non solo della presenza dei valori cristiani nella vita quotidiana, ma anche del futuro stesso dell’umanità. Una settimana dopo il discorso di Sydney, Barack Obama ha parlato, di fronte alla Porta di Brandeburgo, dei nuovi muri che bisogna abbattere per costruire un mondo più giusto. Lo ascoltava una folla di giovani entusiasti.
Le uniche due personalità del mondo contemporaneo che riescono a parlare ai giovani con un linguaggio universale, capace di scuotere gli animi, sono un rigoroso teologo tedesco di 81 anni, capo della Chiesa cattolica, e un senatore nero che compirà 47 anni il prossimo 4 agosto, candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Non sappiamo se Obama vincerà; se vincesse, Benedetto XVI sarebbe forse meno solo nel parlare del bisogno di valori nelle nostre vite.

Fonte: www.papaboys.it

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PIU’ DI 1.000 I GIOVANI ON LINE CON ‘PAPABOYS113@LIVE.IT’ , SERVIZIO MESSENGER NO STOP DEI PAPABOYS

ROMA – Tutto ci aspettavamo da questa Gmg di Sydney, ma l’iniziativa che abbiamo creato di aprire un servizio Messenger per gli indecisi ed i ‘lontani’ non pensavamo davvero che avrebbe coinvolto così tanti ragazzi: sono più di mille i ragazzi e le ragazze collegate ‘on line’ sul Messenger dei Papaboys, dopo che abbiamo aperto un indirizzo per tenere informati sulle iniziative della Gmg e per proporre ai ragazzi della rete la loro partecipazione, anche on line, appunto. A dichiararlo è Massimo Manzolillo, delegato regionale dei Papaboys della Campania – che in queste ore di Gmg si sta occupando di coordinare il team composto da 10 volontari che risponde, da dietro ai pc, anche in videoconferenza, alle tante richieste che giungo di essere aggiunti al Live Messenger. Usufruire del servizio e conoscere tanti nuovi amici, oltre che grauito, è semplicissimo: basta aggiungere alla propria lista contatti su Messenger la mail papaboys113@live.it e dall’altra parte del computer un volontario risponderà personalmente. C’è anche la possibilità di effettuare una videoconferenza, ovviamente. Faccia a faccia, per ascoltare problemi, delusioni e dare un consiglio a tutti coloro che ne fanno richiesta.

“Tra le richieste particolari arrivate – confida Manzolillo dei Papaboys – un giovane di 24 anni che ci ha chiesto dove potersi andare a confessare e se conoscevamo un sacerdote nella sua città (Milano ndr), oppure una ragazza di 18 anni di Messina che ci ha chiesto di poter parlare con noi disperata a causa del ragazzo che l’ha lasciata sola e con un figlio in arrivo. Poi tanti che ci chiedono dove sia la festa Gmg più vicina a loro. Stiamo già pensando con la Presidenza nazionale dell’Associazione – ad un primo incontro tra tutti i rgazzi che stiamo conoscendo in queste ore. Vedremo.”

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