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IRAQ: POLITICI, RELIGIOSI E FEDELI CRISTIANI E MUSULMANI PREGANO LA MADONNA PER LA PACE NEL PAESE

ESTERI (Kirkuk, IRAQ) – Cristiani e musulmani irakeni, uniti, hanno pregato la Madonna per la fine delle violenze nel Paese. I leader religiosi – cattolici, sciiti, sunniti, curdi – hanno lanciato delle colombe come segno di pace, nella speranza che l’Iraq possa superare conflitti e divisioni. È quanto è successo questa mattina a Kirkuk, nel nord dell’Iraq, dove l’arcivescovo caldeo Mons. Louis Sako ha riunito le autorità politiche e religiose musulmane della città, per onorare la madre di Gesù al termine del mese mariano. 

Nel suo intervento, il prelato ha sottolineato il “valore” dell’incontro, in un periodo di “sofferenze”. Alle celebrazioni ha presenziato anche il vice-governatore, in rappresentanza dei vertici dell’amministrazione locale, insieme alle famiglie di due vittime del terrorismo: Ashur Yacob Issa, rapito e torturato a morte a metà mese, e un ufficiale di polizia musulmano, massacrato con altri 27 il 16 maggio. Oggi si conclude il mese dedicato dalla Chiesa alla Madonna, una figura onorata e riverita non solo dai cristiani, ma capace di unire pure musulmani e membri di altre religioni. Per l’occasione, questa mattina l’arcivescovo caldeo di Kirkuk ha invitato le autorità politiche e religiose musulmane, per una preghiera comune. In città molti fedeli musulmani vengono in pellegrinaggio alla statua della Vergine, soprattutto le donne che pregano perché possa realizzarsi un desiderio o un miracolo.

Da tempo la giornata è occasione comune per cristiani e musulmani, per pregare per la pace e la stabilità della nazione e della regione di Kirkuk, colpita nelle ultime settimane da una serie di attentati e violenze che ha “scioccato” la popolazione. La preghiera ha avuto luogo questa mattina nella cattedrale, la corale ha cantato inni mariani, l’assemblea interconfessionale ha recitato i salmi 62 e 121, mentre un diacono ha intonato l’Annunciazione a Maria, tratta dal Vangelo di Luca, e un imam la Surat di Myriam, sullo stesso tema. Infine è intervenuto l’arcivescovo, mons. Sako, che ha indirizzato un saluto comune. Il momento più toccante, tuttavia, è stato la recita della preghiera universale alla Vergine, per chiedere la pace e la sicurezza, letta all’unisono da donne cristiana e musulmane in quattro lingue: araba, curda, turcmena e caldea. Al termine delle celebrazioni, un imam sciita turcmeno, un imam sunnita arabo, un imam curdo e l’arcivescovo hanno lanciato delle colombe quali simbolo della pace. Alla celebrazione hanno partecipato il vice-governatore in rappresentanza delle istituzioni (il governatore era impegnato fuori città) e le famiglie di alcune vittime del terrorismo estremista a Kirkuk, cristiane e musulmane. Fra le altre personalità che hanno partecipato alla preghiera vi sono il presidente del Consiglio municipale, il capo della polizia, il capo dell’esercito e i leader dei partiti politici. La cattedrale era colma di gente, fedeli cristiani e musulmani di entrambi i sessi, senza divisioni né barriere.

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LA MORTE DI BIN LADEN SCINTILLA PER UN CONFLITTO FRA IL CRISTIANESIMO E L’ISLAM

DIALOGO INTERRELIGIOSO (Islamabad, PAKISTAN) – Con la morte di Osama Bin Laden il rischio di una radicalizzazione del conflitto, che possa sfociare in una guerra fra cristianesimo e islam – osteggiata con forza da papa Benedetto XVI – è un “pericolo reale”. È l’opinione di un giornalista musulmano, esperto di politica e religione, secondo cui il capo di al Qaeda – ucciso ieri dalle forze speciali Usa – “non era il leader dell’islam, ma i suoi seguaci sono tutti musulmani” e la minoranza religiosa cristiana potrebbe essere il primo obiettivo di una vendetta. 

Il timore è condiviso da diversi leader cattolici, che parlano di un “successo” nella lotta contro il terrorismo, ma al tempo stesso chiedono più sicurezza, ribadendo che non è giusto gioire perché – come sottolineato ieri dal Vaticano – la morte di un uomo non può essere motivo di festa. Il timore più grande resta quello di una possibile “guerra di religione” aizzata dai gruppi fondamentalisti, nel tentativo di vendicare la morte di Osama Bin Laden. Un pericolo sottolineato da Aoun Sahi, musulmano ed editorialista di ‘The News International’, esperto di politica e religione in Pakistan. Le minoranze fra cui quella cristiana, spiega, saranno un “facile obiettivo” della vendetta dei gruppi radicali. “Osama Bin Laden – chiarisce l’editorialista – non era il leader dell’islam, ma i suoi seguaci sono tutti musulmani” ed è probabile che reagiranno alla sua morte con attacchi. Il luogo dove questo può avvenire potrebbe essere il Pakistan, che è più facile da colpire rispetto a Stati Uniti ed Europa, e all’interno del Paese la minoranza cristiana (identificata a torto con gli Usa e l’Occidente) è un bersaglio privilegiato. La popolazione è “scioccata e sorpresa” per la morte del leader di al Qaeda, ma il problema più grande sono le conseguenze dell’azione militare americana. “Al momento non sono successi gravi episodi di violenza – conclude Aoun Sahi – ma la morte del capo potrebbe scatenare reazioni” tali da sfociare in un conflitto fra cristiani e musulmani.

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LIBIA: LE VERE RAGIONI DI UNA GUERRA SBAGLIATA

ESTERI (Libia) – Oltre alla sofferenza di un popolo sotto la minaccia di mitra, raid aerei, bombardamenti, in queste ore colpisce l’ipocrisia dei governi occidentali, coperta da un diritto internazionale che appare ormai ambiguo. L’operazione militare in Libia è la logica espressione di una politica neocoloniale che ormai domina le dinamiche internazionali dell’Occidente. Il pretesto è sempre l’intervento umanitario o la difesa della pace messa a repentaglio. Si cominciò con la Serbia negli anni 90. Con la giustificazione di interventi umanitari Belgrado e la Serbia furono bombardati in modo indiscriminato portando alla caduta di Milosevic. Arrestato e processato per crimini contro l’umanità all’Aja mise in scacco la pm Carla del Ponte dimostrando, alla luce proprio dei principi internazionali, che le ragioni addotte per l’intervento contro il suo governo non avevano basi giuridiche. A questo punto, morì misteriosamente in carcere. Quello di Milosevic non era certo un governo esemplare per rispetto dei diritti del suo popolo, ma era stato eletto democraticamente e non era certo peggiore di altri regimi (come ad esempio quello cinese) verso cui Paesi come la Francia, si sono inchinati. Si passò poi a Saddam Hussein e alle due guerre dei Bush: la prima per l’invasione del Kuwait, la seconda per il presunto possesso di armi atomiche. Si dimostrò poi che Saddam non possedeva alcuna arma di distruzione di massa. Solo Giovanni Paolo II e pochi altri, di fatto, erano contrari alla guerra.

Molti intellettuali nostrani inneggiavano all’interventismo protestante di Condoleeza Rice che avrebbe finalmente messo a posto il Medio Oriente, contro l’invito alla pace di Giovanni Paolo II. L’esito degli interventi militari, in entrambi i casi, è sotto gli occhi di tutti: nella ex Jugoslavia non ha portato alcuna stabilità e, anzi, la situazione potrebbe riesplodere da un momento all’altro, a causa della creazione di Stati senza tradizione all’indipendenza, mentre i cristiani vengono espulsi dalla nuova Bosnia a prevalenza musulmana; in Medioriente, il rilancio di un terrorismo senza tregua in Iraq, le stragi di civili, la persecuzione dei cristiani in molti Paesi musulmani, lo spazio involontariamente concesso al regime sanguinario iraniano, l’aiuto indiretto ad Al Qaeda… Non paghi di tutto questo, si ricomincia con Gheddafi: si è invocato un intervento per emergenza umanitaria per poi verificare in questi giorni che Francia e Gran Bretagna, con l’acquiescenza del pensiero debole Obama-Clinton e di altri, stanno conducendo, non un’operazione umanitaria, ma una vera e propria guerra per rovesciare il regime a spese della popolazione libica. Sia ben chiaro, Gheddafi, come Milosevic e Saddam, è un dittatore, ma lo sono anche le leadership di Cina, Iran, Cuba, Venezuela, Corea del Nord o la giunta militare birmana. Dovremmo fare una guerra umanitaria contro ognuno di questi Paesi, vale a dire una guerra mondiale? E chi pensa all’alternativa per evitare ciò che è successo in Iraq dopo la guerra, l’espandersi di Al qaeda e la minaccia dalla guerra civile, o i 130.000 morti sgozzati dai fondamentalisti in Algeria?

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IL CALABRONE NON POTREBBE VOLARE EPPURE… DOWN: HANDICAP O RISORSA?

RIFLESSIONE – “Secondo alcuni autorevoli testi di tecnica Aeronautica, il calabrone non può volare a causa della forma e del peso del proprio corpo in rapporto alla superficie alare. Ma il calabrone non lo sa e continua a volare”.

Questo straordinario aforisma, uno tra i più belli che ci giungono da Igor Sikorsky (ingegnere aeronautico americano di origini ucraine, fondatore della Sikorsky Aircraft Corporation, produttrice di elicotteri) è il motore, la spinta che ha indotto alcuni genitori a credere in modo speciale ai loro figli speciali. Questi genitori hanno potuto constatare che, come per il calabrone “inconsapevole”, il solo fatto di credere in loro, di aver fiducia nel loro potenziale, ha fatto sì che i propri bambini affetti da sindrome di Down vivessero in modo che noi – sapienti tuttologi sani – potremmo definire praticamente normale. Consapevoli che altre dolcissime creature del tutto simili alle loro vengono ogni giorno eliminate a causa un genocidio selettivo chiamato poeticamente aborto terapeutico, a breve tempo dalla nascita di questi figli che tanto li inorgogliscono e donano loro gioia ogni giorno, alcune mamme hanno voluto offrire la loro esperienza attraverso un servizio rivolto alle coppie che si trovano ad affrontare una diagnosi prenatale relativa a questa sindrome. È così che nasce il sito “Credi in me” (www.crediinme.altervista.org). Attraverso questo portale, che cita come sottotitolo “Storie serie e semiserie sulla sindrome di down a Cagliari”, le mamme si mettono a disposizione delle coppie per sostenerle nella scelta di portare avanti la gravidanza, fornendo consigli sull’allattamento, la crescita e l’accudimento generale di questi piccoli, che per alcune operazioni quotidiane – per altri bimbi di routine – hanno invece necessità di una particolare accuratezza.

Il bambino affetto dalla Trisomia 21 o sindrome di Down, come viene comunemente chiamata, oggi diagnosticabile in modo sicuro attraverso tecniche invasive come amniocentesi e villocentesi, è un tipo di bambino che ancora atterrisce i genitori: coppie che vedono infrangersi il sogno di un paffuto e sanissimo marmocchio e che – spesso spinte da medici poco umani – nel loro immaginario spaventato e confuso trasformano in una specie di mostro deformato, che ha ben poco di realistico. Qualunque sia il momento in cui i genitori vengono a sapere la notizia che il loro figlio è un “diverso”, è comunque un trauma che, a seconda di come sarà affrontato, porterà al rifiuto oppure all’amorevole accettazione… amore che il loro bambino speciale saprà ricambiare sempre. “Fu come un terremoto improvviso, ci mancò la terra sotto i piedi – confessa Aurelia, sul portale http://www.conosciamolimeglio.it – non sapevamo cosa ci aspettava, quale sarebbe stato il futuro di nostra figlia. Col tempo abbiamo capito che l’amore che potevamo darle, sarebbe stata la terapia più efficace. Eravamo noi e le nostre famiglie i protagonisti di questa storia… Tutti insieme avremmo collaborato alla crescita e allo sviluppo della nostra bambina”. Così è stato e la piccola Alessia è divenuta il collante del matrimonio di mamma e papà e la gioia dei suoi fratelli più grandi, al punto che oggi la mamma afferma: “davvero quel cromosoma in più è una risorsa che non finiremo mai di comprendere… i genetisti non ce ne vogliano!”. Per Cristina, i primi mesi dopo la nascita della sua piccola Lucrezia sono stati pesantissimi. Lei non sapeva nulla della malformazione della sua piccola prima che nascesse, e lo sgomento fu tale che i pensieri più terribili le passarono per la testa, al punto da desiderare che la bambina morisse. Piano piano, ha imparato a conoscere e ad amare la sua piccola che nel tempo è cresciuta ed ha collezionato sorrisi e progressi. Oggi Cristina è una mamma felice, che ammette senza difficoltà le debolezze che figli così inaspettati comportano ai genitori.

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LA VOCE DEI CRISTIANI È IL GRIDO DI DOLORE DELL’UMANITÀ. INTERVISTA AL CARDINALE APPIAH TURKSON

ROMA – “Il rischio è che adesso liquidino la strage di Alessandria d’Egitto come un imprevedibile atto terroristico. Ma non è così. È un grave episodio di intolleranza religiosa: contro i cristiani in primo luogo, ma anche contro tutti gli egiziani”. Il cardinale Peter Kodwo Appiah Turksonpresidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, non nasconde le sue preoccupazioni dopo l’attentato alla comunità copta ortodossa nella metropoli egiziana. “È la tragica conferma – aggiunge – della lucida visione manifestata da Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2011: un testo nel quale il Papa mette esplicitamente in guardia dai pericoli che può comportare per tutti il mancato rispetto della libertà religiosa”. Nel tracciare un bilancio del suo primo anno alla guida del dicastero, il porporato sottolinea proprio la drammatica attualità del tema del messaggio pontificio e invita a tenere alta la guardia di fronte ai ripetuti episodi di violenza che continuano a colpire le minoranze religiose.

Quali scenari si aprono ora per i cristiani in Egitto dopo la strage di capodanno?

Il timore è che si finisca per attribuire la responsabilità a gruppi terroristici. Sarà anche vero, ma ciò non deve far dimenticare che sono stati uccisi degli egiziani: e questo è avvenuto nel loro stesso Paese, nelle loro strade, tra le loro case. Uno Stato deve difendere i suoi cittadini, non deve consentire che vivano nel terrore, senza protezione. Per i cristiani questo accade troppo spesso, quasi che fossero cittadini privi di cittadinanza. Ricordo che quando qualche tempo fa l’Egitto fu preso di mira da attentati terroristici contro i turisti – una fonte di ricchezza per la nazione – vennero presi immediatamente provvedimenti efficaci per la sicurezza di quanti si recavano in visita al Paese. Io auspico che siano messe in atto le stesse misure per garantire l’incolumità dei cristiani.

Nel suo messaggio il Papa lega il rispetto della libertà religiosa alla costruzione della pace. Garantire questo diritto fondamentale è sufficiente per assicurare oggi la concordia tra i popoli?

Il mondo di oggi sembra essere stanco di Dio. È meno tollerante, meno disponibile nei confronti delle manifestazioni della religione. È un mondo che vuole allontanare Dio il più possibile, che non è più capace di amare. Un mondo in cui ognuno ha paura dell’altro, di ciò che avverte come minaccia, di ciò che può sconvolgere i suoi piani. Purtroppo è questo il frutto di una cultura negativa che va sempre più diffondendosi. Aumenta la sensazione di insicurezza, di impotenza nei confronti del male stesso. La religione rappresenta quella dimensione positiva che non trova spazio in questo mondo.

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SALUTO DAL PRESIDENTE DELEGATO, CARD.LEONARDO SANDRI, PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE CHIESE ORIENTALI

SINODO PER IL MEDIO ORIENTE – Beatissimo Padre, rendiamo grazie a Dio, insieme a Vostra Santità, per la comunione col Successore di Pietro, che ci fa sentire Chiesa di Cristo, da Lui eternamente amata. Tramite il suo popolo santo, Egli ama l’umanità e vuole presentarsi anche oggi, come Signore della storia. Rendiamo grazie per questa espressione di collegiale fraternità episcopale a beneficio della Chiesa in Medio Oriente. Uniti a Lei, Santo Padre, vogliamo confidare nella misericordia di Dio e chiedere che venga presto in Oriente e in Occidente il Suo regno di verità, di amore e di giustizia. Nulla ci separerà dall’amore di Cristo (Rom 8,35): è la conferma che riceviamo in questi giorni, mentre siamo sempre in ascolto di “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2,11) e di ciò che Vostra Santità confida ai cristiani del Medio Oriente. Ora, qui a Roma portiamo nel cuore l’Oriente, i tesori preziosi della sua tradizione spirituale, la gloria e i meriti, come le fatiche del suo passato; le sofferenze e le attese per il presente e il futuro. Un “vincolo aureo” unisce tutte le epoche delle Chiese d’oriente: è il martirio cristiano. Esso illustra anche ai nostri giorni una fedeltà al Vangelo, che ha scritto indelebili pagine di fraternità ecumenica. Pur registrando la situazione qualche miglioramento, in taluni contesti i cattolici con gli altri cristiani soffrono ancora ostilità, persecuzioni e il mancato rispetto del diritto fondamentale alla libertà religiosa. Il terrorismo e altre forme di violenza non risparmiano nemmeno i nostri fratelli ebrei e musulmani. Vicende umanamente indegne si moltiplicano e colpiscono vittime innocenti. La perdita di persone e di beni, e di ragionevoli prospettive, genera la realtà migratoria, che è triste ed è purtroppo persistente al di là di talune eccezioni positive. L’angoscia riaffiora non raramente a porre la domanda cruciale se vi possano essere giorni di vera pace e prosperità in Medio Oriente o se per l’avvenire non sia in gioco la stessa sopravvivenza della “plebs sancta Dei”. Ella, Padre Santo, non ha mai perso la speranza. E piuttosto la infonde nelle Chiese d’Oriente perché vivano il mistero evocato dal profeta Ezechiele, quello della “gloria del Signore” la quale “entra nel tempio per la porta che guarda ad Oriente” (Ez 43,4). L’Oriente risponde perseverando nella comunione e nella testimonianza; risponde con la ferma volontà di offrire e ricevere la speranza della Croce. Nel cenacolo sinodale “sub umbra Petri” vogliono entrare con i loro pastori i figli e le figlie delle Chiese Orientali: desiderano essere “un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32) e fare propria la preghiera sacerdotale di Cristo “ut unum sint” (Gv 17,21). L’oriente conferma davanti a Vostra Santità la sua missione, quella cioè di cooperare all’unità di tutti i cristiani specialmente orientali secondo il mandato del Concilio Ecumenico Vaticano II (cfr OE 24).

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IL MEDITERRANEO È UN MARE DEI DIRITTI UMANI? MONS. MARCHETTO: I RESPINGIMENTI VIOLANO DIRITTI UMANI

notiziaROMA – La questione dei respingimenti degli immigrati in condizione di irregolarità avvistati nel Mediterraneo continua a destare scalpore e polemiche da più parti. Parole di condanna sono pervenute anche dall’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenuto questo giovedì a Roma all’incontro organizzato dalla Konrad-Adenauer-Stiftung, con il patrocinio della Pontificia Università Gregoriana, in collaborazione con il “Centre of European Studies” di Bruxelles. Nella sua prolusione, sul tema “Mare nostrum, mare dei diritti umani”, l’Arcivescovo ha ricordato che il diritto a emigrare è incluso nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 (art. 13§2), “anche senza ricorrere alla dottrina sociale della Chiesa, che pure è esplicita in materia”.

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http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=2937

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L’11 OTTOBRE ANCHE I PAPABOYS PARTECIPANO ALL’EVENTO ‘IO DISSUADO’ AL CIRCO MASSIMO DI ROMA

ROMA – Le persone sanno che “la velocità uccide”, eppure il loro comportamento di guida reale sembra non riflettere questo assunto. Giornali, ricerche sociali, istituzioni continuano a evidenziare la pericolosità della velocità al volante, ma le persone, di fatto, non ne tengono conto. Secondo una recente ricerca europea, in ogni istante il 50% dei guidatori supera i limiti di velocità consentiti (Fonte: OECD/ ECMT, 2006). Il progetto Io dissuado intende contribuire ad incidere, modificandolo, su questo atteggiamento mentale e comportamentale senza far leva su un facile terrorismo o una condanna morale, ma fornendo alle persone un’evidenza razionale, “Rallentare uccide di meno”, che fa appello alla loro intelligenza e alla sensibilità di individui e di membri della collettività. L’obiettivo del progetto è quello di sensibilizzare il grande pubblico sul tema della sicurezza stradale, stigmatizzando comportamenti e atteggiamenti scorretti alla guida.

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http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=2870

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L’11 OTTOBRE ANCHE I PAPABOYS PARTECIPANO ALL’EVENTO ‘IO DISSUADO’ AL CIRCO MASSIMO DI ROMA

ROMA – Le persone sanno che “la velocità uccide”, eppure il loro comportamento di guida reale sembra non riflettere questo assunto. Giornali, ricerche sociali, istituzioni continuano a evidenziare la pericolosità della velocità al volante, ma le persone, di fatto, non ne tengono conto. Secondo una recente ricerca europea, in ogni istante il 50% dei guidatori supera i limiti di velocità consentiti (Fonte: OECD/ ECMT, 2006). Il progetto Io dissuado intende contribuire ad incidere, modificandolo, su questo atteggiamento mentale e comportamentale senza far leva su un facile terrorismo o una condanna morale, ma fornendo alle persone un’evidenza razionale, “Rallentare uccide di meno”, che fa appello alla loro intelligenza e alla sensibilità di individui e di membri della collettività.

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COSA POSSIAMO FARE PER GAZA? SE LO CHIEDONO LE ASSOCIAZIONI DEL TAVOLO PER LA PACE

ROMA – A due mesi dallo scoppio dell’ultima guerra a Gaza, il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, la Piattaforma delle Ong per il Medio Oriente e la Tavola della pace hanno realizzato una missione congiunta in Israele e nei Territori Palestinesi Occupati (2-8 marzo 2009) tesa a definire le iniziative da assumere per portare la solidarietà dell’Italia alle vittime di questa tragedia. Questa scheda, che affronta esclusivamente il problema degli aiuti alla popolazione di Gaza, rappresenta una prima sintesi delle conclusioni della missione. Il rapporto completo sarà disponibile nei prossimi giorni. L’operazione militare israeliana “piombo fuso” ha provocato una tragedia umanitaria nella Striscia di Gaza. Oltre un milione e mezzo di persone, metà delle quali con meno di 14 anni, sopravvivono in condizioni inumane, rinchiuse in un territorio che non possono lasciare, in violazione dei più elementari diritti umani.

Soccorrere le vittime di questa tragedia è un dovere della comunità internazionale. Chi ha bisogno di aiuto ha il diritto di essere assistito. Un diritto che viene prima di ogni altra considerazione politica. I soccorsi sono resi difficili dalla continuazione della guerra e dall’assedio che consente solo un passaggio limitatissimo di merci e operatori. Nonostante questo, ecco cosa possiamo fare concretamente per portare aiuto alla popolazione di Gaza.

Per leggere tutto il testo visita:  http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=2353

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NETANYAHU “PREVEDE” ATTENTATO AL SANTO SEPOLCRO. LE FALSITA’ DI UNA PROPAGANDA E DELL’ALTRA

GERUSALEMME – Tutta un’altra guerra, tutta un’altra storia: è quella che vi stiamo raccontando, ormai da un po’ di giorni, attraverso le nostre pagine di Papaboys; una guerra che sui giornali e sulle televisioni nazionali non leggerete e non troverete mai, poichè scomoda, troppo simile e vicina alla realtà. La propaganda di ‘servizio al potere’ dei media ‘servili a questo potere’, queste cose non potrebbero scriverle e dirle: noi ci sentiamo liberi, grazie a Dio! E andiamo avanti. Vediamo di approfondire. “Questi i titoli che mi sporge l’amico Canonico Francesco Peggi, scrive Rossella De Fero su Terra Santa Libera, portale ‘on line’ – nostro prezioso collaborarore e ricercatore: “Bibi (l’abbreviativo-vezzaggiativo di Benjamin): Al Quaeda vuol far saltare in aria il più santo sito cristiano”, “Netanyahu predice che Al Qaeda tenterà di distruggere il Santo Sepolcro”, “L’esuberante sionista Netanyahu minaccia posticci e simulati attacchi ai danni del luogo della sepoltura di Cristo”.

“Caspita!”, diranno gli islamofobi, saltando sulla sedia nell’apprendere la notizia, e Allam sarà già col telefono in mano per dire a Vespa e Mentana che bisogna fare uno speciale sul terrorismo arabo.

Ma potete star certi che si tratta di una bufala, la solita trovata propagandistica israeliana per guadagnare consensi. Mai come ora infatti, dopo la strage di Gaza, che pare non finire, anzi sembra aggravarsi, i progetti di destabilizzazione del Medio Oriente, da parte dell’intelligence sionista, hanno bisogno del supporto di quel che resta di una civiltà cristiana scristianizzata, ma che rappresenta ancora pur sempre la massa dell’opinione pubblica occidentale e il grosso della forza militare appartenente alle varie Nazioni atlantiche, che potrebbero essere impiegati in funzione organica alle strategie militari di Tel Aviv.

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ANGELUS, BENEDETTO XVI: “UN GIORNO DIO CI CHIEDERÀ CONTO DELLE NOSTRE AZIONI”.

CITTA’ DEL VATICANO – Prima della tradizionale preghiera domenicale dell’Angelus in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha evocato il Giudizio Universale scuotendo non poco le coscienze dei fedeli. “Nell’ora che solo Dio conosce, ciascuno – ha infatti ammonito il Papa – sara’ chiamato a rendere conto della propria esistenza”. “Questo – ha spiegato il Pontefice – comporta un giusto distacco dai beni terreni, un sincero pentimento dei propri errori, una carita’ operosa verso il prossimo e, soprattutto, un umile e fiducioso affidamento nelle mani di Dio, nostro Padre tenero e misericordioso”. “Noi abbiamo sempre poco tempo, specialmente per il Signore: non sappiamo o, talvolta, non vogliamo trovarlo. Ebbene, Dio ha tempo per noi”, ha poi ricordato Benedetto XVI, appena rientrato dalla Basilica di San Lorenzo fuori le Mura. “Tutti – ha osservato il Papa – diciamo che ci manca il tempo, perche’ il ritmo della vita quotidiana e’ diventato per tutti frenetico. Anche a tale riguardo la Chiesa ha una ‘buona notizia’ da portare: Dio ci dona il suo tempo”. Secondo il Pontefice, “questa e’ la prima cosa che l’inizio di un anno liturgico ci fa riscoprire con meraviglia sempre nuova. Si’: Dio ci dona il suo tempo, perche’ e’ entrato nella storia con la sua parola e le sue opere di salvezza, per aprirla all’eterno, per farla diventare storia di alleanza. In questa prospettiva – ha detto il successore di Pietro agli oltre 30.000 pellegrini che assistevano all’Angelus dalla Piazza e agli altri milioni di fedeli collegati via Tv e Radio da tutto il mondo – il tempo e’ gia’ in se stesso un segno fondamentale dell’amore di Dio: un dono che l’uomo, come ogni altra cosa, e’ in grado di valorizzare o, al contrario, di sciupare; di cogliere nel suo significato, o di trascurare con ottusa superficialità”. Dopo la preghiera mariana dell’Angelus, il Papa ha quindi voluto pregare “per le numerose vittime sia dei brutali attacchi terroristici di Mumbai, in India, sia degli scontri scoppiati a Jos, in Nigeria, come pure per i feriti e quanti, in qualsiasi modo, sono stati colpiti”. “Diverse – ha rimarcato il Pontefice – sono le cause e le circostanze di quei tragici avvenimenti, ma comuni devono essere l’orrore e la deplorazione per l’esplosione di tanta crudele e insensata violenza”. “Chiediamo al Signore – ha aggiunto – di toccare il cuore di coloro che si illudono che questa sia la via per risolvere i problemi locali o internazionali e sentiamoci tutti spronati a dare esempio di mitezza e di amore per costruire una societa’ degna di Dio e dell’uomo”. “Di tutto cuore rivolgo il mio saluto e il mio augurio a Bartolomeo I e ai fedeli del Patriarcato Ecumenico, invocando su tutti l’abbondanza delle celesti benedizioni”, ha poi sottolineato Benedetto XVI, ricordando che “il 30 novembre ricorre la festa dell’Apostolo Sant’Andrea, fratello di Simon Pietro”. Entrambi furono dapprima seguaci di Giovanni il Battista e, dopo il battesimo di Gesu’ nel Giordano, divennero suoi discepoli, riconoscendo in Lui il Messia. “Sant’Andrea e’ patrono del Patriarcato di Costantinopoli, cosi’ che la Chiesa di Roma si sente legata a quella costantinopolitana da un vincolo di speciale fraternita’. Percio’, in questa felice circostanza – ha affermato il Papa -, secondo la tradizione, una delegazione della Santa Sede, guidata dal Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unita’ dei Cristiani, si e’ recata in visita al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I”. E “l’arrivo di quel giorno benedetto nel quale pregheremo Dio assieme in una condivisa celebrazione dell’Eucaristia” e’ stato auspicato dal Santo Padre nel messaggio consegnato a suo nome dal Cardinale Kasper a Bartolomeo I. Il Papa, nella lettera, dichiara che “la vita interiore delle nostre Chiese e le sfide del mondo moderno richiedono urgentemente la testimonianza di unita’ dei discepoli di Cristo”.

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DIFESA VITA E FAMIGLIA, LIBERTÀ DI RELIGIONE, DIRITTI UMANI E CONDANNA TERRORISMO. IL PAPA ALL’ONU

NEW YORK (USA) – ”Alcuni aspetti” dell’applicazione delle recenti scoperte scientifiche e tecnologiche ”rappresentano una chiara violazione dell’ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto il carattere sacro della vita, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identita’ naturale”. Lo ha denunciato Benedetto XVI parlando per 29 minuti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in occasione del 60.esimo anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. ”L’azione internazionale volta a preservare l’ambiente e a proteggere le varie forme di vita sulla terra – ha proseguito il Santo Padre – non deve garantire…

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