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PAUL BHATTI INCONTRA IL PAPA: AMORE E PERDONO VINCONO L’ODIO

BENEDETTO XVI (Città del Vaticano) – Al termine dell’udienza generale, il Papa ha incontrato Paul Bhatti – il ministro per le minoranze religiose pakistano ucciso da estremisti islamici -, il vescovo di Faisalabad, in Pakistan, mons. Joseph Coutts e Syed Muhammad Abudl Khabir Azad, Gran Imam della moschea Badshahi di Lahore. Nella giornata di ieri, durante un incontro promosso dalla comunità di Sant’Egidio, Paul Bhatti, fratello di Shahbaz, ha detto di aver perdonato gli assassini del fratello sottolineando anche la volontà di scoprire gli autori del delitto e di intraprendere quel percorso che il fratello stava percorrendo prima di essere assassinato: esserci per quella gente che ha bisogno di una guida.

Di seguito l’intervista a Paul Bhatti, fratello del Ministro pakistano Shahbaz ucciso poco più di un mese fa. Di Francesca Sabatinelli per Radio Vaticana.

R. – Nostro fratello Shahbaz aveva una fede cristiana e la fede cristiana dice di perdonare. In questo caso, noi, la nostra famiglia, abbiamo deciso di perdonarlo. Allo stesso tempo, però, vogliamo scoprire chi sono gli autori di questo delitto.

D. – Lei ha detto che da fratello maggiore più di una volta aveva cercato di proteggerlo. E lei, oggi, riprende la sua stessa strada…

R. – Quando lo consigliavo, vedevo mio fratello con amore fraterno. Non mi rendevo conto dell’azione reale che stava compiendo, della responsabilità che si era assunto. Adesso, vivendo la sua situazione, vedendo la gente che magari ha bisogno di una guida, osservando le persone emarginate, sento l’esigenza di continuare.

D. – E i timori ci sono anche per lei, ora?

R. – Penso che i timori ci siano, perché la gente, probabilmente, ragiona secondo una logica di odio, di terrorismo. Magari prova odio verso la nostra famiglia e quindi agiscono di conseguenza. Metto in conto che questo possa succedere.

D. – Il punto nevralgico di questa legge sulla blasfemia è la possibilità di interpretarla?

R. – Sì, credo sia la sua interpretazione. Questa legge è stata fatta dagli inglesi, quando erano ancora in India. Solo che, ultimamente, è stata usata o interpretata soggettivamente dalla gente, per fini personali: Asia Bibi – essendo una donna di un ceto socio-culturale molto basso, molto povera – non penserebbe minimamente di insultare Maometto. E’ evidente che è stata creata una certa situazione per fare in modo di punirla o magari per un rancore personale.

D. – Quali sono le prime sfide che si troverà di fronte?

R. – La prima è questa discriminazione religiosa, che sta crescendo giorno per giorno. Non perché i fedeli non possono convivere tra loro, ma perché c’è una campagna di odio creata da una base terroristica che continua ad usare la religione. Noi dobbiamo combattere quest’odio. Se non lo facciamo, queste vittime continueranno ad esserci. Non si tratta solo di mio fratello: in Pakistan ci sono tutti i giorni bombe che esplodono e persone che vengono uccise. Questa è, in qualche modo, la prima sfida.

D. – Lei ha ringraziato la comunità internazionale e Benedetto XVI per il sostegno che avete ricevuto dopo la morte di suo fratello. Ma il sostegno del suo Paese, conta di averlo?

R. – Sì, certo. Il sostegno dell’attuale governo c’è. Il fatto che mi abbiano proposto di continuare l’opera di mio fratello testimonia la loro disponibilità, perché questo posto, che ora occupo, era desiderato da molti altri. Il governo pachistano, però, affinchè si continuasse a lottare, ha dato a noi il compito ed inoltre ha dichiarato il suo pieno appoggio per qualsiasi cosa che faremo, perché queste cose non accadano più.

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PROTESTE E VECCHI MERLETTI, NON E’ UN’ARMA A FARE DI UN UOMO UN RIVOLUZIONARIO

RIFLESSIONE – In questi giorni di proteste, di scontri in piazza, di bombe carta e vecchi merletti, mi sono chiesto cos’è la libertà, se esistono davvero uomini liberi. Osservo i vecchi ribelli, i giovani in cammino, gli slogans, gli ordini impartiti, le grida di gioia, le urla di dolore, i giusti e gli ingiusti, mi chiedo dove sta la libertà di non condividere né accettare deleghe in bianco, dove sta la libertà di dissentire, di sottrarsi dall’effetto di mille politiche confutate o che potranno esserlo in futuro. Libertà di manifestare, libertà di protestare, libertà di non accettare, libertà di parola, e poi ancora libertà di prenderle e di darle, libertà di morire in nome dei più alti ideali, eppure in loro nome sono state commesse le nefandezze più inenarrabili. Questa non è la trama di un film già visto altre volte, come qualcuno si ostina a raccontare, è una punteggiatura nuova di zecca, dell’era digitale, e sebbene nulla del passato potrà mai ritornare, qui non c’è la possibilità di gridare: “ehi regista fammi uscire dalla trama del film, mi sono stancato. voglio ritornarmene a casa”. Con la mente ripercorro uno sceneggiato di tanti anni addietro, dove utopie e romanticismi sociali sconvolsero drammaticamente il paese, finché si perse il conto dei morti e dei feriti. Ma quella fu una degenerazione sociale fisiologica al sistema di allora, che reclamava il giusto cambiamento, eppure pochi uomini condussero alla eliminazione non solo di tante persone, ma addirittura di una intera generazione.

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IL ROMPICAPO D’ISRAELE TRA BOMBE LANCIATE, BAMBINI ESPLOSI E SOLUZIONI DA TROVARE

CRONACA – Le intenzioni del governo guidato da Kadima erano chiare: lanciare una campagna su Gaza che facesse vedere il polso forte, mostrarsi capaci di fermarsi dopo aver sottomesso il nemico senza infierire, giusto alla vigilia del nuovo insediamento alla Casa Bianca, e incassare l’effetto Obama. Ma le cose non sono andate così. La campagna su Gaza è stata durissima e ha colpito anche i civili senza mettere a tacere Hamas. Con le vittime innocenti il governo ha perso consenso internazionale, nonostante molti avessero dato a Israele una sorta di tacito assenso ad agire. E con i razzi di Hamas la destra israeliana ha potuto continuare a giocare alle elezioni la carta della paura. Il risultato elettorale, così, ha prodotto un rompicapo complicatissimo. Il paese ha preferito la destra, ma il Likud di Bibi Netanyahu, già premier di un disastroso governo che fece arretrare il processo di pace dopo l’attentato a Rabin, non ha ottenuto la maggioranza relativa. Per un seggio è stato battuto da Kadima, il partito di centro inventato da Sharon e guidato oggi da Tzipi Livni. In un sistema proporzionale puro, dove le alleanze non si stringono prima del voto, questo conta e Bibi non ha automaticamente il mandato a formare il governo. Alle spalle di Kadima e Likud, i laburisti, al minimo storico, sono stati superati dal fatto nuovo delle elezioni, il partito di Avigdor Liebermann. Seguono il partito ultraconservatore Shas e altre piccole formazioni che vanno dalla destra estrema alla rappresentanza araba. La somma dei seggi delle destre arriva a 65, ma non è facilmente componibile. Yisrael Beitenu, la forza politica creata da Liebermann, è il partito degli ebrei russi, considerati dagli ortodossi cittadini di serie B e mai del tutto riconosciuti come veri componenti della comunità sociale e religiosa di Israele. Il loro voto esprime un riscatto rancoroso e per questo pare non facile una loro alleanza di governo organica con chi sinora li ha emarginati, come gli ortodossi di Shas. Bibi Netanyahu dovrebbe usare tutte le sue doti di mediatore, peraltro scarse, per tenere in piedi una coalizione sospettosa basata su una maggioranza di soli 5 seggi. Per questo rimane più probabile la grande coalizione tra Likud e Kadima. Ma realizzarla è tutt’altro che facile. I rapporti reciproci sono difficili e le posizioni sul processo di pace opposte.

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