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GLI ESTREMISTI ISLAMICI MINACCIANO ASIA BIBI: RAFFORZATE LE MISURE DI SICUREZZA IN CARCERE

ESTERI ( Lahore, PAKISTAN) – L’uccisione di Osama Bin Laden ha comportato un rafforzamento delle misure di sicurezza attorno ad Asia Bibi, 45nne cattolica e madre di cinque figli, condannata a morte per blasfemia. Lo riferisce Haroon Barkat Masih, presidente della Masihi Foundation, organizzazione pro-diritti umani, incaricata della sua tutela legale. La donna è rinchiusa nella sezione femminile della prigione di Sheikhupura, nel Punjab, ed è oggetto di continue minacce da parte degli estremisti islamici. Tuttavia, la sua fede resta salda e non ha perso la speranza di essere presto liberata. Per questo, “prega e digiuna con regolarità nonostante il fisico debole e vulnerabile”. La vicenda di Asia Bibi ha toccato i governi occidentali e numerose organizzazioni in tutto il mondo. Nel novembre scorso, durante l’udienza generale del mercoledì, papa Benedetto XVI ha lanciato un appello per la liberazione e ha chiesto al governo pakistano di abrogare la “legge nera”.

Un gruppo di 736 membri del Parlamento europeo hanno sottoscritto una petizione, chiedendo al presidente Asif Ali Zardari di modificare la legge. A sua difesa sono intervenuti anche l’ex governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro [cattolico] per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti. Per aver perorato la causa della madre cattolica e chiesto emendamenti alle famigerate leggi sulla blasfemia, entrambi sono stati assassinati (Taseer a gennaio, Bhatti a marzo) da gruppi vicini all’estremismo islamico e ai talebani pakistani. In carcere fra imponenti misure di sicurezza e in attesa dell’appello, la donna è oggetto di continue minacce di morte da parte dei fondamentalisti. Yusef Qureshi, imam di Peshawar, ha posto sulla sua testa una taglia di 500mila rupie (circa 4.500 euro). Numerose cellule estremiste hanno sostenuto la fatwa della guida religiosa pakistana, auspicando l’assassinio di Asia Bibi. Dopo aver trascorso due anni nel braccio della morte, da diverse settimane è stata trasferita in una cella di isolamento.

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LOTTA AGLI ABUSI, LA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE DETTA LE NORME DA SEGUIRE

MINORI (Roma) – È stata resa nota a mezzogiorno di oggi la Lettera circolare inviata dalla Congregazione per la dottrina della fede alle conferenze episcopali di tutto il mondo contenente le linee guida per affrontare i casi di abuso sessuale sui minori. Entro un anno le conferenze episcopali dovranno aver preparato le loro norme, accogliendo le linee guida vaticane e armonizzandole con le situazioni e le legislazioni civili dei rispettivi Paesi. In pratica, la lettera, riprende, spiega e contestualizza meglio le nuove norme che messe in atto dopo gli aggiornamenti del luglio 2010. Un punto fondamentale è la cooperazione con le autorità civili:

«L’abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall’autorità civile. Sebbene i rapporti con le autorità civili differiscano nei diversi paesi, tuttavia è importante cooperare con esse nell’ambito delle rispettive competenze. In particolare, va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale. Naturalmente, questa collaborazione non riguarda solo i casi di abusi commessi dai chierici, ma riguarda anche quei casi di abuso che coinvolgono il personale religioso o laico che opera nelle strutture ecclesiastiche».

Inoltre, le Linee guida delle conferenze episcopali «devono tener conto della legislazione del Paese della Conferenza, in particolare per quanto attiene all’eventuale obbligo di avvisare le autorità civili».
Il Vaticano esorta dunque la collaborazione con l’autorità civile (è importante cooperare), ma non obbliga i vescovi a denunciare per primi il prete sospettato di abusi all’autorità civile, a meno che la legge del Paese non preveda quest’obbligo. La prassi generale, in questi ultimi anni, è stata quella di invitare le vittime a sporgere denuncia. Una parte importante della lettera riguarda le vittime e l’attenzione che va loro data. Per decenni sono state considerate come «nemiche» del buon nome della Chiesa, spesso respinte, invece che accolte, ascoltate, aiutate. Ecco che cosa si legge nella lettera a questo proposito, citando l’esempio di Benedetto XVI che ha sempre testimoniato concretamente questa vicinanza alle vittime:

«La Chiesa, nella persona del Vescovo o di un suo delegato, deve mostrarsi pronta ad ascoltare le vittime ed i loro familiari e ad impegnarsi per la loro assistenza spirituale e psicologica. Nel corso dei suoi viaggi apostolici, il Santo Padre Benedetto XVI ha dato un
esempio particolarmente importante con la sua disponibilità ad incontrare ed ascoltare le vittime di abuso sessuale. In occasione di questi incontri, il Santo Padre ha voluto rivolgersi alle vittime con parole di compassione e di sostegno, come quelle contenute nella sua Lettera Pastorale ai Cattolici d’Irlanda (n.6): “Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata.”». Inoltre, si afferma: «La persona che denuncia il delitto deve essere trattata con rispetto. Nei casi in cui l’abuso sessuale sia collegato con un altro delitto contro la dignità del sacramento della Penitenza, il denunciante ha diritto di esigere che il suo nome non sia comunicato al sacerdote denunciato». E «le autorità ecclesiastiche si impegnino ad offrire assistenza spirituale e psicologica alle vittime».

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IL 20 APRILE GIORNATA DI PREGHIERA PER ASIA BIBI E TUTTE LE VITTIME DELLA BLASFEMIA

SOLIDARIETÀ (Roma) – Mercoledì 20 aprile tutto il mondo si mobiliterà per pregare per Asia Bibi, la donna cristiana pakistana condannata a morte in base alla legge sulla blasfemia, e per tutte le altre vittime di questa legge, sempre più spesso strumentalizzata per combattere nemici personali. Lo riferisce l’agenzia vaticana Fides, spiegando che il mercoledì della Settimana Santa il Pakistan e tutti i Paesi del mondo si uniranno in una “Speciale Giornata di preghiera per Asia Bibi e per le vittime della legge sulla blasfemia”. L’iniziativa, lanciata dalla Masihi Foundation, che si occupa dell’assistenza legale ad Asia Bibi e del sostegno materiale alla sua famiglia, sarà diffusa ovunque “perché tutti i credenti e tutti gli uomini di buona volontà possano unirsi in comunione di preghiera e accendere una candela, implorando da Dio la salvezza e la liberazione di questa donna e di tutti coloro che soffrono per le conseguenze di false accuse di blasfemia”, ha siegato a Fides Haroon Masih, direttore della Fondazione.

Commentando l’iniziativa, monsignor Andrew Francis, Vescovo di Multan e presidente della Commissione per il Dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Pakistana, ha affermato che “la preghiera è uno strumento importante per i fedeli del Pakistan, che confidano nell’opera di Dio”. Alla Giornata aderiranno anche le Pontificie Opere Missionarie in Pakistan, che “aiuteranno a sensibilizzare le comunità locali”. Pregheranno inoltre gli “Angeli custodi di Asia Bibi”, le monache di alcuni ordini di clausura: le suore del Monastero delle Francescane Concezioniste di Escalona di Toledo, le Benedettine del Monastero di Rosano (Firenze) e le Clarisse francescane di Roasio e Sarzana. “Davanti al Santissimo Sacramento esposto, ricorderemo Asia Bibi, nostra sorella in Cristo, e pregheremo per le vittime di ogni sopruso compiuto in ogni parte del mondo. Il Signore Crocifisso e Risorto apra i cuori di tutti perché si edifichi il Suo Regno di pace e di giustizia”, hanno scritto le Clarisse di Roasio e Sarzana in un messaggio inviato a Fides.

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PAUL BHATTI INCONTRA IL PAPA: AMORE E PERDONO VINCONO L’ODIO

BENEDETTO XVI (Città del Vaticano) – Al termine dell’udienza generale, il Papa ha incontrato Paul Bhatti – il ministro per le minoranze religiose pakistano ucciso da estremisti islamici -, il vescovo di Faisalabad, in Pakistan, mons. Joseph Coutts e Syed Muhammad Abudl Khabir Azad, Gran Imam della moschea Badshahi di Lahore. Nella giornata di ieri, durante un incontro promosso dalla comunità di Sant’Egidio, Paul Bhatti, fratello di Shahbaz, ha detto di aver perdonato gli assassini del fratello sottolineando anche la volontà di scoprire gli autori del delitto e di intraprendere quel percorso che il fratello stava percorrendo prima di essere assassinato: esserci per quella gente che ha bisogno di una guida.

Di seguito l’intervista a Paul Bhatti, fratello del Ministro pakistano Shahbaz ucciso poco più di un mese fa. Di Francesca Sabatinelli per Radio Vaticana.

R. – Nostro fratello Shahbaz aveva una fede cristiana e la fede cristiana dice di perdonare. In questo caso, noi, la nostra famiglia, abbiamo deciso di perdonarlo. Allo stesso tempo, però, vogliamo scoprire chi sono gli autori di questo delitto.

D. – Lei ha detto che da fratello maggiore più di una volta aveva cercato di proteggerlo. E lei, oggi, riprende la sua stessa strada…

R. – Quando lo consigliavo, vedevo mio fratello con amore fraterno. Non mi rendevo conto dell’azione reale che stava compiendo, della responsabilità che si era assunto. Adesso, vivendo la sua situazione, vedendo la gente che magari ha bisogno di una guida, osservando le persone emarginate, sento l’esigenza di continuare.

D. – E i timori ci sono anche per lei, ora?

R. – Penso che i timori ci siano, perché la gente, probabilmente, ragiona secondo una logica di odio, di terrorismo. Magari prova odio verso la nostra famiglia e quindi agiscono di conseguenza. Metto in conto che questo possa succedere.

D. – Il punto nevralgico di questa legge sulla blasfemia è la possibilità di interpretarla?

R. – Sì, credo sia la sua interpretazione. Questa legge è stata fatta dagli inglesi, quando erano ancora in India. Solo che, ultimamente, è stata usata o interpretata soggettivamente dalla gente, per fini personali: Asia Bibi – essendo una donna di un ceto socio-culturale molto basso, molto povera – non penserebbe minimamente di insultare Maometto. E’ evidente che è stata creata una certa situazione per fare in modo di punirla o magari per un rancore personale.

D. – Quali sono le prime sfide che si troverà di fronte?

R. – La prima è questa discriminazione religiosa, che sta crescendo giorno per giorno. Non perché i fedeli non possono convivere tra loro, ma perché c’è una campagna di odio creata da una base terroristica che continua ad usare la religione. Noi dobbiamo combattere quest’odio. Se non lo facciamo, queste vittime continueranno ad esserci. Non si tratta solo di mio fratello: in Pakistan ci sono tutti i giorni bombe che esplodono e persone che vengono uccise. Questa è, in qualche modo, la prima sfida.

D. – Lei ha ringraziato la comunità internazionale e Benedetto XVI per il sostegno che avete ricevuto dopo la morte di suo fratello. Ma il sostegno del suo Paese, conta di averlo?

R. – Sì, certo. Il sostegno dell’attuale governo c’è. Il fatto che mi abbiano proposto di continuare l’opera di mio fratello testimonia la loro disponibilità, perché questo posto, che ora occupo, era desiderato da molti altri. Il governo pachistano, però, affinchè si continuasse a lottare, ha dato a noi il compito ed inoltre ha dichiarato il suo pieno appoggio per qualsiasi cosa che faremo, perché queste cose non accadano più.

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RIVOLTE ANCHE IN SIRIA, DA QUATTRO GIORNI MANIFESTAZIONI CON MORTI, FERITI E ARRESTI

ESTERI (Beirut, LIBANO) – La rivolta nordafricana si sposta nel Medio Oriente. Da quattro giorni in Siria si registrano manifestazioni di protesta e scontri con le forze di sicurezza, con un bilancio non ufficiale di almeno cinque morti, centinaia di feriti ed un numero imprecisato di arresti, soprattutto a Deraa, nel sud del Paese, e ad Enkhel, Nawa e Jassem. Nonostante la Siria sia il Paese mediorientale con il più stretto controllo sulla stampa e sulla vita dei cittadini, a dare il “la” alle manifestazioni è stata una pagina Facebook, apparsa il 15 marzo ed intitolata “La rivoluzione siriana contro Bashar al-Assad 2011”. La pagina invitava a manifestare “per una Siria senza tirannia, senza leggi di emergenza né tribunali speciali, senza corruzione né furti, né monopolio delle ricchezze”.

Manifestanti hanno protestato anche a Damasco ed in molte altre città, ma la polizia li ha rapidamente dispersi. Il centro delle contestazioni è Daraa, un centinaio di chilometri a sud di Damasco, dove l’arresto di un gruppo di 15 studenti che avevano scritto sui muri slogan delle rivolte egiziane ha provocato una reazione popolare, sfociata nell’incendio del Palazzo di giustizia. La reazione molto dura delle forze di sicurezza ha causato morti e feriti, tra cui un ragazzino di 11 anni, intossicato dai lacrimogeni. Ieri, ai funerali delle vittime, davanti alla moschea al-Omari erano presenti migliaia di manifestanti, che hanno gridato “Dio, Siria e libertà!” e “Rivoluzione, rivoluzione!”. Alcuni residenti riferiscono che da ieri pomeriggio migliaia di agenti e militari sono schierati “ovunque”, e che “la città è stata divisa in due e la gente non ha il permesso di passare da una parte all’altra”.

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GIOVANNI PAOLO II, IL 13 MAGGIO CELEBRAZIONE DI AZIONE DI GRAZIE AL SANTUARIO DI FATIMA

SPECIALE BEATIFICAZIONE (Fatima, PORTOGALLO) – Una celebrazione di azione di grazie al Santuario di Fatima per Papa Giovanni Paolo II. È l’iniziativa con cui la Conferenza Episcopale Portoghese (CEP), in occasione del pellegrinaggio internazionale dell’anniversario al Santuario di Fatima del 13 maggio, invita i portoghesi a partecipare alla beatificazione del Santo Padre Karol Wojtyla, tre volte pellegrino dalla Madonna (nel 1982, nel 1991 e nel 2000). Per padre Manuel Morujão, portavoce della CEP, questo giorno è “un grande motivo per far festa per la beatificazione del nostro Papa”.

L’ufficio stampa del Santuario, nell’edizione del 13 marzo di “Voz da Fátima”, ha reso noto che il rettore del Santuario, padre Virgílio Antunes, ha ricordato l’azione e la testimonianza di fede di Papa Wojtyła. Il sacerdote ha sottolineato che, leggendo le biografie di Giovanni Paolo II risultanti dal processo di beatificazione, “scopriamo un uomo al di sopra di tutto, caratterizzato dalla profondità della spiritualità cristiana, che è basata su una fede inamovibile e su un continuo atteggiamento di preghiera. Mai un Papa era stato tanto conosciuto e tanto amato”. Il rettore ha ricordato anche come “nell’ambito ecclesiale, nella relazione con le altre Chiese e le altre religioni, nel mondo sociale e politico, nella cultura, ogni persona abbia finito per valorizzare aspetti diversi della figura di Giovanni Paolo II, con una grandezza morale capace di entrare nei mondi più vari”.

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BENEDETTO XVI IN PRIMA UDIENZA DI QUARESIMA:“DIGIUNO È ASTINENZA DAL MALE, ELEMOSINA SCELTA DEL BENE

Nel Mercoledì delle Ceneri, Benedetto XVI sollecita tutti fedeli, raccolti nell’Aula Paolo VI per l’udienza generale, ad entrare nel tempo di Quaresima prendendo ogni giorno la propria croce per seguire Gesù. “La Quaresima è un cammino, è accompagnare Gesù che sale a Gerusalemme, luogo del compimento del suo mistero di passione, morte e resurrezione”. Questo itinerario di fede – ha sottolineato Benedetto XVI – “ci ricorda che la vita cristiana è una ‘via’ da percorrere, consistente non tanto in una legge da osservare, ma nella persona stessa di Cristo, da incontrare, da accogliere, da seguire”. “Gesù infatti ci dice: ‘Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua’”.

“La Chiesa sa che, per la nostra debolezza, è faticoso fare silenzio per mettersi davanti a Dio, e prendere consapevolezza della nostra condizione di creature che dipendono da Lui e di peccatori bisognosi del suo amore; per questo, in Quaresima, invita ad una preghiera più fedele ed intensa e ad una prolungata meditazione sulla Parola di Dio”. Ed è soprattutto la Liturgia, ha ricordato il Papa, a condurci in questo cammino con il Signore, per ripercorrere gli eventi che ci hanno portato la salvezza, ma “non come una semplice commemorazione, un ricordo di fatti passati”, perché “nelle azioni liturgiche”, “quegli avvenimenti salvifici diventano attuali”. “Partecipare alla Liturgia significa allora immergere la propria vita nel mistero di Cristo, nella sua permanente presenza, percorrere un cammino in cui entriamo nella sua morte e risurrezione per avere la vita”.

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INDIA, LA CORTE SUPREMA DICE ‘NO’ ALL’EUTANASIA ATTIVA

ETICA (Mumbai, INDIA) – La Corte suprema ha respinto il 7 marzo la richiesta di eutanasia per Aruna Shanbaug avanzata dallo scrittore Pinki Virani. La corte ha osservato che “l’eutanasia passiva è ammissibile, sotto la supervisione della legge, in circostanze eccezionali, mentre l’eutanasia attiva non è accettabile”. I giudici hanno sottolineato che c’è la necessità di legiferare in tema di eutanasia, ma che fino a quando non vi sarà una nuova legge resterà in vigore il giudizio della Corte suprema.

Aruna Ramachandra Shanbaug, infermiera del King Edward Memorial Hospital (Kem) fu aggredita e violentata il 27 novembre 1973 da Sohanlal Bhartha Walmiki, uno spazzino dell’ospedale, che cercò anche di strangolarla. L’uomo fu condannato a sette anni di prigione. Aruna soffrì di severi danni al cervello, e restò quasi completamente paralizzata. Pinki Virani in un suo libro sostiene che è “praticamente morta”, e quindi sarebbe giusto sospenderle nutrimento e idratazione. Le autorità dell’ospedale hanno dichiarato alla Corte che la donna “accetta il cibo in maniera normale e risponde con espressioni del viso”, e reagisce “ in maniera intermittente ai comandi, esprimendo suoni”.

Il dottor Sanjay Oak, portavoce dell’ospedale, ha accolto con soddisfazione il verdetto. “Sono grato alla suprema Corte. Continueremo a occuparci in maniera speciale di Aruna. È bene che questo caso apra un dibattito sull’eutanasia. In un rapporto di quattro pagine i dottori JV Divatia, Roop Gurshani e Nilesh Shah) hanno dichiarato ai giudici che “ad ogni nuova infornata di allievi infermieri, le infermiere sono condotte a vedere Aruna; viene detto loro che Aruna è una di noi e che continua a stare con noi, è una bimba di cui hanno avuto cura e assistito con amore per 37 anni. La sola idea di privarla di cibo o di addormentarla con un farmaco in maniera attiva è molto difficile da accettare per chiunque qui in ospedale. Aruna ha probabilmente passato i 60 anni, e un giorno giungerà alla sua fine naturale. I dottori, le infermiere e tutto lo staff del Kem sono decisi a prendersi cura di lei fino all’ultimo respiro”.

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FOIBE – ZECCHI: ECCO PERCHÉ ABBIAMO TRADITO LA MEMORIA DEL NOSTRO POPOLO

ITALIA – «La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra». Fa un’operazione di verità storica, la legge firmata nel 2004 dal presidente Ciampi, riabilitando un popolo distrutto dall’odio etnico e politico. Nelle foibe del Carso trovarono la morte migliaia di italiani, vittime della violenza perpetrata dai partigiani comunisti di Tito tra l’autunno del ’43 e il giugno del ’45. Dopo di loro fu il dramma di quei 350mila italiani che, fino a tutti gli anni Cinquanta, dovettero fuggire dall’Istria e dalla Dalmazia per non subire le violenze, l’emarginazione, le confische dell’esperimento sociale comunista.

Sono queste le vicende che fanno da sfondo a Quando ci batteva forte il cuore, l’ultimo romanzo di Stefano Zecchi. «Il ricordo è un fatto principalmente educativo – dice Zecchi al sussidiario -. Per continuare a esistere dev’essere legato al senso di un’appartenenza, di una tradizione, al modo in cui questa prende importanza nel presente. Serve a non farci diventare degli infedeli, infedeli a ciò che di importante è stato nella nostra vita, personale e collettiva».

A suo modo il 10 febbraio è anch’esso un «giorno della memoria», che però a differenza di altre date più popolari è molto meno nelle corde dell’opinione pubblica.

Di questa vicenda tragica non si è mai voluto parlare, innanzitutto perché si sono voluti nascondere i crimini dei comunisti e poi tutta una serie di altre compromissioni di tipo politico. Non si è mai voluto riflettere sul fatto, drammatico e impressionante, che oltre 350mila italiani, senza contare quelli che sono stati trucidati, hanno rinunciato a tutto per rimanere italiani, e una volta arrivati in patria sono stati trattati come delinquenti e fascisti. Anche questa è la storia della nostra repubblica.

Ha parlato di convenienze politiche. Quali?

Quelle della realpolitik. Siamo in presenza di una tragedia legata al fascismo, che in un certo senso ne rappresenta la causa, ma la cui comprensione storica viene poi ostacolata dal patto tra comunisti e democristiani. Togliatti, in modo esplicito, da comunista qual era voleva che la Venezia Giulia, l’Istria, Fiume e la Dalmazia fossero annesse alla Jugoslavia. La Dc, con De Gasperi in testa, faceva fatica a controbattere a questa tesi e non voleva che si facesse il plebiscito, come chiedevano gli istriani, perché temeva che il Trentino-Alto Adige facesse prima o poi una richiesta analoga. Il silenzio è continuato con il trattato di Osimo e fino alla metà degli anni Settanta. Una storia su cui non si è mai voluto alzare il velo.

È questo lo sfondo del suo romanzo. Quanto c’è di autobiografico in Quando ci batteva forte il cuore?

Per quanto mi riguarda è soprattutto un romanzo, anche se come ogni romanzo risente di una serie di suggestioni, emozioni, visioni, conoscenze. Ho voluto fare la storia di un padre e di un bambino, raccontare l’importanza dell’educazione là dove la vita diviene dramma. Il tema mi stimolava: quand’ero assessore a Milano partecipavo alle iniziative della Giornata del ricordo, potevo conoscere da vicino le associazioni e la loro memoria storica, che mi appariva di una drammaticità impressionante. Mia nonna poi era triestina e ricordo bene le storie che mi raccontava. L’ultima parte del romanzo (padre e figlio scappano dall’Istria e si stabiliscono a Venezia, ndr) contiene cose che io stesso ho visto con i miei occhi… Se mette insieme tutto questo, ecco che nasce il romanzo.

La vicenda narrata nel romanzo tocca da vicino, oltre che la questione della memoria, anche quella dell’identità italiana. Cosa vuol dire per lei essere italiano?

Non è qualcosa di acquisito una volta per tutte. Ha richiesto un percorso, una maturazione. Per me essere italiani significa appartenere a una storia, a una cultura, a una tradizione. Sento di appartenere molto più ad una tradizione culturale che ad una tradizione politica. È più un fatto di sentimenti che una faccenda statuale o istituzionale.

C’è un problema che tocca la memoria dei popoli e di cui si è parlato di recente anche a proposito della Shoah. Che cos’è che a distanza di tempo «salva» il ricordo e gli permette di sopravvivere alle generazioni?

Il ricordo è un fatto principalmente educativo, e dunque culturale. Per continuare dev’essere legato al senso di un’appartenenza, di una tradizione, al modo in cui questa prende importanza nel presente. Per guardare al futuro dobbiamo pensare al passato dove abbiamo le nostre radici. Ho dedicato il romanzo a mio figlio perché ricordare serve a non farci diventare degli infedeli, infedeli a ciò che di importante è stato nella nostra vita. Per ricordare serve una trasmissione di conoscenze che avviene normalmente attraverso persone, incontri, letture. Famiglia e scuola sono determinanti, o meglio lo erano. Ora hanno abdicato.

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LO SCRITTORE: CHE FINE HA FATTO NEI RAGAZZI IL PIACERE DELLA LETTURA?

SCUOLA – How to raise boys who read. Così titola un recente e interessante articolo del Wall Street Journal. La questione è di quelle grosse e sembra davvero universale: come far leggere i ragazzi, in particolare i maschi. Se la questione è grossa la soluzione più spesso perseguita è grossier per dirla alla francese; si parla infatti dei gross-out books. L’articolo americano sottolinea come in effetti gli scaffali si siano riempiti di libri che gli editori hanno creduto poter interessare ai ragazzi per il solo fatto di essere pieni di riferimenti a parti del corpo così come alle sue funzioni più elementari. Tra mutande e loro capitani e gas vari pare che un libro per attrarre i giovani uomini debba essere per forza lutulento e grossolano. In alternativa si pensano (e si vendono) quei libri che non chiedono di essere letti, libri-oggetto solamente da possedere, accattivanti nelle copertine e nei titoli, indipendentemente dal loro contenuto. Libri seriali da collezione. Col crescere dell’età sembra che debbano poi necessariamente farsi strada argomenti più pruriginosi con una malizia più o meno dichiarata a soddisfare curiosità sempre più difficili da appagare. Il linguaggio diventa slang, si impoverisce e si fa triviale. L’esito è sotto gli occhi di tutti: i giovani leggono poco e chi legge è per lo più femmina.

La questione mi interpella particolarmente come scrittore, soprattutto per ragazzi. La prima domanda che infatti mi pongo quando una bella storia mi incontra e mi chiede di essere raccontata è: per chi la scrivo? Non si tratta solo di una questione tecnica: il formato del libro, il numero delle battute, la presenza di illustrazioni. No, si tratta di pensare lingua, contenuto e forma per chi volterà le pagine. Ogni volta che scriviamo un libro per i giovani, ma anche ogni volta che lo scegliamo magari per regalarlo o solo per proporlo, non dobbiamo mai sottostimare, anzi disistimare il pensiero dei ragazzi. Non dobbiamo fare innanzitutto noi l’errore di abbassare il tiro, di vederli come un branco di brufolosi preda degli ormoni e di presunti istinti proponendo stereotipi più o meno moderni. Scrivere per loro, soprattutto scrivere qualcosa che possa piacere e interessarli, significa saper cogliere i desideri e le domande di cui sono portatori e rappresentarle all’interno di una storia credibile, non necessariamente verosimile. Ciò che infatti permette la necessaria identificazione del lettore è ritrovare tratti di sé nei temporanei compagni di carta. Sarà vedere come riescono ad affrontare le situazioni e risolvere questioni personali che offrirà spunti di pensiero, farà sentire meno soli, proponendo possibili soluzioni che altrimenti non verrebbero in mente.

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SCUOLA/ LE PAROLE DI DON MILANI, IL DONO DI UNA LEZIONE IMPREVEDIBILE

EDUCAZIONE – Il dibattito sulla “crisi del desiderio”, aperto dall’intervento di don Julián Carrón all’assemblea annuale della Compagnia delle Opere, e rilanciato pochi giorni più tardi dalla pubblicazione del Rapporto Censis, mi ha spinto a riflettere sulla situazione attuale dell’insegnamento a scuola e in università, un po’ per l’esperienza diretta che ne ho, un po’ per l’incidenza obiettiva che questa crisi ha sul modo in cui alunni e insegnanti vivono la porzione di tempo della loro vita quotidiana bene o male occupata dalla scuola (a cominciare dall’ora di lezione, che è il centro attorno al quale gravitano tutti gli altri momenti o fattori dell’esperienza scolastica).

In questa riflessione mi ha accompagnato una pagina forse poco nota di don Milani (ben più conosciuto per la Scuola di Barbiana e Lettera a una professoressa), che racconta la sua prima avventura come maestro, al tempo del servizio come cappellano a Calenzano, allora piccolo comune tra Sesto Fiorentino e Prato. Giunto nella parrocchia di San Donato (è l’ottobre del 1947), don Lorenzo, sacerdote da pochi mesi e al primo vero incarico pastorale, si accorge subito dell’enorme ignoranza civile e religiosa della popolazione. Provocato da ciò, dapprima si dedica a svolgere un’opera d’incontro e di conoscenza dei parrocchiani, a favore dei quali modifica tra l’altro l’impianto della catechesi, scegliendo di svolgerla a partire dalla narrazione storica della vita di Gesù e delle vicende di Israele e della Chiesa, piuttosto che esponendo le verità cristiane come sistema dottrinale. Poi, dopo aver constatato in vario modo l’intralcio all’evangelizzazione rappresentato dall’ignoranza, e il fatto che l’avvicinamento dei giovani alla Chiesa attraverso le occasioni del tempo libero – come il calcio, il ping pong e il circolo ricreativo parrocchiale – non produceva frutti duraturi, egli propone a quegli stessi giovani, nel 1949, la frequenza di una vera e propria “scuola serale popolare”, mediante la quale conquistare finalmente un’istruzione, e così una vera possibilità di riscatto e di promozione sociale (di “inclusione” e di “cittadinanza attiva”, diremmo oggi).

Impossibile, oltre che insensato, tentare di riassumere in poche righe la ricchezza della pagina di don Milani, redatta (è un motivo ulteriore di bellezza) ricorrendo all’artificio letterario di fingere che a rispondere alla domanda su che cosa si facesse nella scuola di San Donato, posta da un periodico, fosse proprio uno degli alunni che la frequentarono realmente. Meglio leggerla per intero. Da parte mia, vorrei suggerire due o tre piste di riflessione, che mi sembra offrano un qualche contributo di approfondimento sul tema della “crisi del desiderio”. La prima pista è rappresentata dall’intensità delle ore di lezione. Don Lorenzo, con l’aiuto anche di un maestro elementare, le teneva ogni sera della settimana, da lunedì a giovedì, a partire dalle 20.30, a persone che avevano alle spalle (e davanti a sé, l’indomani) giornate durissime, con sveglia alle cinque del mattino, per essere alle otto sul posto di lavoro, e che rientravano a Calenzano poco prima del ritrovo in canonica per la scuola. Il più delle volte, questa intensità comportava che si sforasse l’orario previsto, senza che gli argomenti in programma fossero svolti completamente. Anzi: molte volte accadeva perfino che il giovane cappellano “divagasse” (almeno ciò sembrava ai giovani e alle loro famiglie), seguendo la sua passione per l’etimologia delle parole, e omettendo così di trattare argomenti a prima vista ben più utili – come le cognizioni matematiche o tecniche che avrebbero permesso di superare con maggiore facilità i concorsi d’assunzione.

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IL PAPA AL CORPO DIPLOMATICO: DIFENDERE DOVUNQUE LA LIBERTÀ RELIGIOSA FONDAMENTO DELLA PACE

CITTA’ DEL VATICANO – Ricercare la via di una pace autentica attraverso il rispetto della libertà religiosa: è l’accorato appello rivolto da Benedetto XVI ai membri del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, ricevuti stamani in Vaticano in occasione dei tradizionali auguri di inizio anno. Parlando agli ambasciatori, il Papa ha compiuto un giro d’orizzonte sulla condizione della libertà religiosa nel mondo ed è tornato a condannare con forza le violenze anticristiane, in particolare in Iraq ed Egitto. Quindi, ha chiesto l’abolizione della legge sulla blasfemia in Pakistan. Il Pontefice ha inoltre messo in guardia dai tentativi, soprattutto in Occidente, di marginalizzare la dimensione della fede. L’indirizzo d’omaggio al Santo Padre è stato rivolto dall’ambasciatore decano Alejandro Valladares Lanza. Attualmente, sono 178 gli Stati che intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa Sede.

“La dimensione religiosa è una caratteristica innegabile e incoercibile dell’essere e dell’agire dell’uomo”: muove da questa verità incontrovertibile la riflessione di Benedetto XVI, che parlando agli ambasciatori di tutto il mondo ha ribadito che quando viene negato il diritto alla libertà religiosa “si creano squilibri e conflitti a tutti i livelli, tanto sul piano personale che su quello interpersonale”. Riprendendo il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, il Papa ha riaffermato che il diritto alla libertà religiosa, “troppo spesso messo in discussione o violato”, è in realtà “il primo dei diritti”. La pace, ha soggiunto, si può dunque costruire solo se “l’uomo può liberamente cercare e servire Dio nel suo cuore, nella sua vita e nelle sue relazioni con gli altri”. Il pensiero del Pontefice si è così rivolto agli attentati anticristiani in Iraq che, ha detto, “ci hanno profondamente addolorato”:

“Je renouvelle aux Autorités de ce pays et aux chefs religieux musulmans… ”
Il Papa ha rinnovato “alle autorità di quel Paese e ai capi religiosi musulmani” il suo “preoccupato appello ad operare affinché i loro concittadini cristiani possano vivere in sicurezza e continuare ad apportare il loro contributo alla società di cui sono membri a pieno titolo”. Anche in Egitto, ad Alessandria, ha rammentato, “il terrorismo ha colpito brutalmente dei fedeli in preghiera in una chiesa”. Tale “successione di attacchi”, è stata la sua amara constatazione, “è un segno ulteriore dell’urgente necessità per i governi della regione di adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose”. E ancora una volta, ha rimarcato che i cristiani del Medio Oriente “sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro doveri nazionali”. Quindi, ha elogiato quei Paesi del Vecchio Continente che hanno auspicato una “risposta concertata dell’Unione Europea” a difesa dei cristiani nella regione. Né ha mancato di chiedere che, nella Penisola arabica, dove vivono numerosi lavoratori immigrati cristiani, “la Chiesa cattolica possa disporre di adeguate strutture pastorali”:

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PRESENTATO IL LIBRO-INTERVISTA DI PETER SEEWALD CON BENEDETTO XVI: “LUCE DEL MONDO…”

CITTA’ DEL VATICANO – E’ stato presentato stamani presso la Sala Stampa della Santa Sede il libro “Luce del Mondo. Il Papa, la Chiesa, i segni dei tempi. Una conversazione del Santo Padre Benedetto XVI con Peter Seewald”. Il volume, a cura della Libreria Editrice Vaticana, uscirà domani. Frutto di una settimana di conversazioni tra il Papa e il giornalista tedesco, l’estate scorsa a Castel Gandolfo, il libro conta circa 280 pagine: oltre 90 le domande a cui risponde il Pontefice.

Un libro-intervista semplice e profondo sul Papa, sulla Chiesa e sul mondo, che si legge d’un fiato. Benedetto XVI parla della sua vita quotidiana – gli manca di non poter fare una gita o una semplice passeggiata in città – e dei grandi temi dell’attualità. Oggi – dice – occorre riannunciare con “parole nuove” che “Dio è amore” a un’umanità che non comprende più che “il Sangue di Cristo sulla Croce è stato versato in espiazione dei nostri peccati” per la salvezza di tutti. “Sono formule grandi e vere” ma che sono ormai lontane dal nostro ragionare, sempre più intriso di “ateismo pratico”, incapace di alzare lo sguardo verso nuovi orizzonti. La Chiesa esiste per annunciare questa verità nonostante gli scandali che la feriscono e tuttavia ci dimostrano che è proprio Gesù ad averla fondata: “Se dipendesse dagli uomini – nota il Papa – la Chiesa sarebbe già affondata da un pezzo”. Ma ci sono tanti segni di speranza, “un fiorire di nuove iniziative” nella Chiesa che non nascono da strutture o burocrazie. “La burocrazia – afferma con forza – è consumata e stanca. Sono iniziative che nascono dal di dentro, dalla gioia dei giovani. Il Cristianesimo forse assumerà un volto nuovo, forse anche un aspetto culturale diverso” perché si trova di fronte ad “una nuova dinamica” ed ha una “forza vitale” che cambia il mondo. E’ una forza piccola perché anche se i cattolici sono un miliardo e 200 milioni – spiega con sant’Agostino – “molti che sembrano stare dentro, sono fuori” in una “sorta di schizofrenia” tra voler appartenere alla comunità ecclesiale ed essere permeati da una mentalità secolarizzata. Anche se è vero pure il contrario: “molti che sembrano stare fuori, stanno dentro”. E in questo contesto guarda “con tristezza” a quei giornalisti cattolici che nei media ecclesiali fanno propri gli slogan della solita critica alla Chiesa. Il Papa, da parte sua, “non ha il potere di imporre nulla”: è solo un uomo che deve “rendere testimonianza a Colui che è stato crocifisso”. E di fronte alle critiche e agli attacchi Benedetto XVI afferma: “Se avessi continuato a ricevere soltanto consensi, avrei dovuto chiedermi se stessi veramente annunciando il Vangelo”.

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40MILA E-MAIL E UNA PETIZIONE ANTI-BLASFEMIA. MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE PER SALVARE ASIA BIBI.

ISLAMABAD – La mobilitazione internazionale per la salvezza di Asia, Bibi, la donna cristiana condannata a morte per blasfemia, sta dando i primi risultati: grazie all’impegno di associazioni cristiane, gruppi che tutelano i diritti umani, semplici cittadini, gli uffici governativi del Pakistan sono stati inondanti, in pochi giorni, da circa 40mila messaggi e-mail che chiedono la liberazione della donna.

La Chiesa in Pakistan e le comunità cristiane a livello internazionale hanno rilanciato la petizione per l’abolizione della legge sulla blasfemia, diffusa un anno fa: grazia a una iniziativa della “Commissione Giustizia e Pace” dei Vescovi pakistani, condivisa da numerose altre associazioni, sono state raccolte in Pakistan oltre 75mila firme per chiedere al governo l’abrogazione della norma. L’iniziativa ha varcato i confini nazionali ed è stata raccolta dall’opera “Aiuto alla Chiesa che Soffre”: in Francia il Segretariato dell’Opera ha raccolto e consegnato di recente al governo francese otre 10.600 mila firme, mentre il Segretariato italiano di ACS in poche settimane ha raggiunto quota 1.400 adesioni e si appresta a rilanciare la petizione in occasione della presentazione del Rapporto 2010 sulla Libertà religiosa che si terrà il 24 novembre a Roma. Il provvedimento continua a destare un acceso dibattito nella società pakistana. La Chiesa, la “Commissione Nazionale per i Diritti Umani” e altri gruppi della società civile, anche musulmani, contestano apertamente la legge e ne chiedono l’abolizione. Oggi domandano al governo di aprire un tavolo ufficiale in Parlamento per riesaminarla. Il Ministro Federale per le Minoranze religiose, Shahbaz Batti, ne promuove la “revisione”. La Conferenza degli “Jamiat Ulema del Pakistan” (JUP), in rappresentanza di oltre 30 partiti religiosi, la ritiene invece “intoccabile” e minaccia dure proteste in caso contrario. Fonti locali di Fides notano che, negli ambienti islamici fondamentalisti, “è in atto un tentativo di definire ‘blasfemo’ chiunque vuole abolire la legge sulla blasfemia. Ciò potrebbe fomentare ulteriormente l’odio religioso nella società”. La “Legge sulla blasfemia” include gli articoli 295b, 295c, 298a, 298b e 298c del Codice Penale pakistano e prevede il carcere o anche la pena capitale per quanti insultano o dissacrano il nome del Profeta Maometto e del Corano. (PA)

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IL SINODO CHIEDE LIBERTÀ RELIGIOSA PER IL MEDIO ORIENTE. L’INTERVENTO DEL RABBINO ROSEN

SINODO PER IL MEDIO ORIENTE – Il Medio Oriente ha il diritto di sperare: è la voce unanime del Sinodo dei vescovi dedicato alla regione mediorientale, in corso in Vaticano sul tema della “comunione e testimonianza”. Mercoledì mattina, al centro della sesta Congregazione generale svoltasi alla presenza del Papa, anche i temi dell’uguaglianza dei diritti e del rafforzamento dei sistemi di comunicazione. Mercoledì pomeriggio, invece, si è svolto l’atteso intervento del rabbino David Rosen, Invitato speciale, che è stato anche ricevuto in udienza da Benedetto XVI. Nel pomeriggio di ieri, l’intervento di due rappresentanti musulmani.

Noi fedeli della tormentata regione del Medio Oriente abbiamo il diritto di sperare e ci aspettiamo molto da questo Sinodo: lo dicono a gran voce i vescovi, ribadendo che la regione mediorientale alterna pagine cupe a momenti di luce. Se in Libano, infatti, la Chiesa ha un ruolo primordiale e in certi Paesi del Golfo si contano nuove chiese o che Arabia Saudita si incoraggiano gli incontri interreligiosi, è anche vero che dove l’Islam è religione di Stato, la libertà religiosa manca, le leggi sull’immigrazione sono restrittive, i sacerdoti scarseggiano. Come conciliare tutto questo, chiede il Sinodo, con la tolleranza di cui parla il Corano, se manca la libertà di coscienza e i cittadini non sono tutti uguali davanti alla legge? In questo contesto è quindi importante rilanciare anche i sistemi di comunicazione che favoriscono la conoscenza reciproca, dettando l’agenda del pensiero delle persone. Spazio allora alla formazione mass mediatica non solo per i laici, ma anche per i seminaristi, in particolare alla cultura digitale, presente ormai anche nelle diverse nazioni del Medio Oriente. Altro tema forte trattato in Aula: l’evangelizzazione della famiglia, spesso attaccata dalla cultura occidentale che parla di divorzio o di contraccettivi. Il nucleo familiare va quindi recuperato come Chiesa domestica, fulcro della trasmissione della fede.

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E MENTRE NELLE LOCALITA’ DI MARE SI SGUAZZA DAL SOLE E DAL CALDO, IN PERU’ IL FREDDO MIETE VITTIME

PERU’ – Chi aiuta i poveri colpiti in maniera drammatica dall’insolita temperatura glaciale del Perù di questi giorni? Chissà se si impegneranno i giornalisti di Panorama, così tanto abili a sparare sulla Chiesa, oppure qualche ‘firmona’ di Repubblica! Faranno qualcosa??? Oppure i poveri del Perù (coime sempre ndr) saranno costretti ad affidarsi alla Chiesa locale. E proprio in questi giorni di‘solleone’, con chiappe all’aria e tutti sdraiati sotto l’ombrellone, c’è gente in difficoltà di vita causa freddo. Temperature insolitamente basse – riferisce l’agenzia missionaria della Santa Sede ‘Fides’ – stanno colpendo quasi tutta la parte meridionale dell’America Latina. In Perù è stato dichiarato lo stato di emergenza in 16 delle 25 regioni nelle quali è suddiviso il territorio peruviano. Il freddo ha causato diversi morti e gravi danni materiali. L’ondata di gelo è caratterizzata da temperature che raggiungono i 23 gradi sotto lo zero in alcune aree della regione meridionale di Puno, confinante con la Bolivia.

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ELEONORE METTE IN CRISI LA FRANCIA. LA CORAGGIOSA BATTAGLIA CONTRO L’EUGENETICA LEGALIZZATA

CONTROCORRENTE – La coraggiosa battaglia di una ragazza down di 24 anni contro l’eugenetica legalizzata. Protagonista di iniziative pubbliche, la giovane si batte contro la selezione dei concepiti che recano i segni dell’anomalia genetica. E fa breccia nei francesi. E non solo… Eleonore Laloux, 24 anni, e’ una sorridente ragazza francese che si e’ battuta piu’ degli altri per un lavoro. Nella cittadina di Arras, presso Lille, e’ impiegata negli uffici amministrativi di una clinica. Ormai a suo agio con i colleghi, si rende conto in genere solo all’uscita dall’ufficio che nonostante tutto resta spesso una persona ‘anormale’ negli sguardi dei passanti che incrocia. Sguardi che le fanno male, perche’ la classificano in un batter d’occhio in una casella giudicata a priori priva di speranza: quella delle persone down.

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“LA LIBERTÀ RELIGIOSA, VIA PER LA PACE”: E’ IL TEMA SCELTO DA BENEDETTO XVI PER LA PROSSIMA GIORNATA

CITTA’ DEL VATICANO – E’ “Libertà religiosa, via per la pace” il tema scelto da Benedetto XVI per la celebrazione della Giornata mondiale per la pace del 2011. La giornata – che si celebra dal 1968 il primo giorno di ogni anno – porrà dunque l’accento sul tema della libertà religiosa. “Ciò – commenta un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede – mentre nel mondo si registrano diverse forme di limitazione o negazione della libertà religiosa, di discriminazione e marginalizzazione basate sulla religione, fino alla persecuzione e alla violenza contro le minoranze. La libertà religiosa, essendo radicata nella stessa dignità dell’uomo, ed orientata alla ricerca della ‘immutabile verità’, si presenta come la ‘libertà delle libertà’. La libertà religiosa è quindi autenticamente tale quando è coerente alla ricerca della verità e alla verità dell’uomo.

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