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SCUOLA/ LE PAROLE DI DON MILANI, IL DONO DI UNA LEZIONE IMPREVEDIBILE

EDUCAZIONE – Il dibattito sulla “crisi del desiderio”, aperto dall’intervento di don Julián Carrón all’assemblea annuale della Compagnia delle Opere, e rilanciato pochi giorni più tardi dalla pubblicazione del Rapporto Censis, mi ha spinto a riflettere sulla situazione attuale dell’insegnamento a scuola e in università, un po’ per l’esperienza diretta che ne ho, un po’ per l’incidenza obiettiva che questa crisi ha sul modo in cui alunni e insegnanti vivono la porzione di tempo della loro vita quotidiana bene o male occupata dalla scuola (a cominciare dall’ora di lezione, che è il centro attorno al quale gravitano tutti gli altri momenti o fattori dell’esperienza scolastica).

In questa riflessione mi ha accompagnato una pagina forse poco nota di don Milani (ben più conosciuto per la Scuola di Barbiana e Lettera a una professoressa), che racconta la sua prima avventura come maestro, al tempo del servizio come cappellano a Calenzano, allora piccolo comune tra Sesto Fiorentino e Prato. Giunto nella parrocchia di San Donato (è l’ottobre del 1947), don Lorenzo, sacerdote da pochi mesi e al primo vero incarico pastorale, si accorge subito dell’enorme ignoranza civile e religiosa della popolazione. Provocato da ciò, dapprima si dedica a svolgere un’opera d’incontro e di conoscenza dei parrocchiani, a favore dei quali modifica tra l’altro l’impianto della catechesi, scegliendo di svolgerla a partire dalla narrazione storica della vita di Gesù e delle vicende di Israele e della Chiesa, piuttosto che esponendo le verità cristiane come sistema dottrinale. Poi, dopo aver constatato in vario modo l’intralcio all’evangelizzazione rappresentato dall’ignoranza, e il fatto che l’avvicinamento dei giovani alla Chiesa attraverso le occasioni del tempo libero – come il calcio, il ping pong e il circolo ricreativo parrocchiale – non produceva frutti duraturi, egli propone a quegli stessi giovani, nel 1949, la frequenza di una vera e propria “scuola serale popolare”, mediante la quale conquistare finalmente un’istruzione, e così una vera possibilità di riscatto e di promozione sociale (di “inclusione” e di “cittadinanza attiva”, diremmo oggi).

Impossibile, oltre che insensato, tentare di riassumere in poche righe la ricchezza della pagina di don Milani, redatta (è un motivo ulteriore di bellezza) ricorrendo all’artificio letterario di fingere che a rispondere alla domanda su che cosa si facesse nella scuola di San Donato, posta da un periodico, fosse proprio uno degli alunni che la frequentarono realmente. Meglio leggerla per intero. Da parte mia, vorrei suggerire due o tre piste di riflessione, che mi sembra offrano un qualche contributo di approfondimento sul tema della “crisi del desiderio”. La prima pista è rappresentata dall’intensità delle ore di lezione. Don Lorenzo, con l’aiuto anche di un maestro elementare, le teneva ogni sera della settimana, da lunedì a giovedì, a partire dalle 20.30, a persone che avevano alle spalle (e davanti a sé, l’indomani) giornate durissime, con sveglia alle cinque del mattino, per essere alle otto sul posto di lavoro, e che rientravano a Calenzano poco prima del ritrovo in canonica per la scuola. Il più delle volte, questa intensità comportava che si sforasse l’orario previsto, senza che gli argomenti in programma fossero svolti completamente. Anzi: molte volte accadeva perfino che il giovane cappellano “divagasse” (almeno ciò sembrava ai giovani e alle loro famiglie), seguendo la sua passione per l’etimologia delle parole, e omettendo così di trattare argomenti a prima vista ben più utili – come le cognizioni matematiche o tecniche che avrebbero permesso di superare con maggiore facilità i concorsi d’assunzione.

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LA VOCE DEI CRISTIANI È IL GRIDO DI DOLORE DELL’UMANITÀ. INTERVISTA AL CARDINALE APPIAH TURKSON

ROMA – “Il rischio è che adesso liquidino la strage di Alessandria d’Egitto come un imprevedibile atto terroristico. Ma non è così. È un grave episodio di intolleranza religiosa: contro i cristiani in primo luogo, ma anche contro tutti gli egiziani”. Il cardinale Peter Kodwo Appiah Turksonpresidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, non nasconde le sue preoccupazioni dopo l’attentato alla comunità copta ortodossa nella metropoli egiziana. “È la tragica conferma – aggiunge – della lucida visione manifestata da Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2011: un testo nel quale il Papa mette esplicitamente in guardia dai pericoli che può comportare per tutti il mancato rispetto della libertà religiosa”. Nel tracciare un bilancio del suo primo anno alla guida del dicastero, il porporato sottolinea proprio la drammatica attualità del tema del messaggio pontificio e invita a tenere alta la guardia di fronte ai ripetuti episodi di violenza che continuano a colpire le minoranze religiose.

Quali scenari si aprono ora per i cristiani in Egitto dopo la strage di capodanno?

Il timore è che si finisca per attribuire la responsabilità a gruppi terroristici. Sarà anche vero, ma ciò non deve far dimenticare che sono stati uccisi degli egiziani: e questo è avvenuto nel loro stesso Paese, nelle loro strade, tra le loro case. Uno Stato deve difendere i suoi cittadini, non deve consentire che vivano nel terrore, senza protezione. Per i cristiani questo accade troppo spesso, quasi che fossero cittadini privi di cittadinanza. Ricordo che quando qualche tempo fa l’Egitto fu preso di mira da attentati terroristici contro i turisti – una fonte di ricchezza per la nazione – vennero presi immediatamente provvedimenti efficaci per la sicurezza di quanti si recavano in visita al Paese. Io auspico che siano messe in atto le stesse misure per garantire l’incolumità dei cristiani.

Nel suo messaggio il Papa lega il rispetto della libertà religiosa alla costruzione della pace. Garantire questo diritto fondamentale è sufficiente per assicurare oggi la concordia tra i popoli?

Il mondo di oggi sembra essere stanco di Dio. È meno tollerante, meno disponibile nei confronti delle manifestazioni della religione. È un mondo che vuole allontanare Dio il più possibile, che non è più capace di amare. Un mondo in cui ognuno ha paura dell’altro, di ciò che avverte come minaccia, di ciò che può sconvolgere i suoi piani. Purtroppo è questo il frutto di una cultura negativa che va sempre più diffondendosi. Aumenta la sensazione di insicurezza, di impotenza nei confronti del male stesso. La religione rappresenta quella dimensione positiva che non trova spazio in questo mondo.

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