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CINEMA / IL GRANDE SOGNO: MEGLIO GLI ATTORI DEL REGISTA, AL QUALE MANCANO ANELLI DI PASSAGGIO

filmRECENSIONE FILM – Cosa sarà mai stato questo ormai mitizzato 1968? Secondo qualcuno una grande rivoluzione. Secondo altri un tentativo di marca americana di destabilizzare la cultura europea. Secondo Bernardo Bertolucci («The Dreamers») un’ondata ormonale che dura tutt’oggi. Secondo Lindsay Anderson («Se…») un’esplosione di rabbia nei confronti delle istituzioni togate. Secondo Michele Placido, che lo ha vissuto in prima persona da recluta della polizia, un marasma nel quale si potevano ascoltare frasi tanto celebri quanto fatte, osservare esplosioni di violenza senza colpevoli e innocenti o vincitori e vinti, scegliere una parte o l’altra a seconda dell’ispirazione o della necessità, perdere la verginità come atto più di protesta che d’amore. Il tutto, naturalmente, in prospettiva di un inquadramento che, una volta passata la tempesta, avrebbe ricondotto la maggioranza a un nuovo tipo di conformismo. Così nasce «Il grande sogno», cui avrebbe maggiormente giovato un titolo che gli amanti del cinema conoscono molto bene: «La grande illusione».

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TWO LOVERS. LA STORIA D’AMORE CHE HA INCANTATO IL FESTIVAL DI CANNES

RECENSIONE – Su James Gray sembra gravare la maledizione dell’autore. Sarà perché realizza le sue opere prendendosi lunghe pause di riflessione (quattro film in quindici anni), fatto sta che alla fine sembra aleggiare intorno a lui un certo alone a metà tra il mistero e la sopravvalutazione. «Little Odessa», «The Yards», «I padroni della notte» e adesso «Two Lovers» sono lì a testimoniare un lavoro scrupoloso, talvolta imprevedibile, ma non esattamente al di sopra della media. Diviso tra il noir e il melodramma romantico/esistenziale, Gray agisce sempre all’interno di un genere. Quale che esso sia, per arrivare a risultati di eccellenza richiede comunque un approccio originale o un mestiere a prova di bomba. «Two Lovers», che appartiene al settore del melodramma, lascia forti dubbi su ciò che lascia intravedere e ciò che è in realtà. La tentazione della lettura interamente simbolica è forte, ma non riesce a far dimenticare che di storie come questa è pieno l’archivio del cinema. Ci si domanda, insomma, se il lavoro di Gray vada in direzione contraria al genere (se cioè ne tenti una rilettura critica) o se, non avendone la forza o gli strumenti, preferisca adagiarsi nella tradizione lanciando qua e là segnali di novità. A Brighton Beach (due passi da Coney Island) Leonard vive un’esistenza fortemente tormentata. Ebreo, di famiglia molto tradizionale, è reduce da svariati tentativi di suicidio susseguenti a una cocente delusione amorosa. La sua prospettiva è quella di subentrare al padre nell’attività commerciale (una tintoria) e di vivere un’esistenza abitudinaria e tranquilla. In questa direzione lo porterebbe l’amore per Sandra, figlia di un altro tintore che sta per rilevare i locali dell’azienda paterna. Ma di fronte a casa sua abita Michelle, che ha una relazione con un uomo sposato e vive all’insegna dell’illusione e dell’angoscia. L’incontro potrebbe essere fatale.

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VERSO L’EDEN» UNA SORTA DI FIABA SURREALE E OCCASIONALMENTE POETICA

CINEMA – Forse rendendosi conto che l’età (76 anni) e una certa stanchezza non gli permettono più di lanciarsi nei suoi pamphlet politici che da «Z» a «Missing» gli hanno dato fama e fortuna, Costa-Gavras, che non intende rinunciare a guardarsi intorno e ad analizzare la realtà che lo circonda, per raccontare la storia di un emigrante e delle sue traversie in un lungo viaggio verso Parigi sceglie un cambio di tono e di registro espressivo. Così «Verso l’Eden» diventa una sorta di fiaba surreale e occasionalmente poetica, rinunciando fin dall’inizio a una rappresentazione realistica che avrebbe per forza di cose invocato il registro drammatico. Che si tratti di un dramma è fuori di dubbio. Ma è anche vero che l’autore ha optato per una rappresentazione leggera, spesso sognante, che se non intacca l’importanza dell’assunto rischia talvolta di fuorviare per eccesso di astrazione. Ricordiamo comunque che non è il caso di parlare di esperimento: già ne «La piccola apocalisse»

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TEATRO: GIGI PROIETTI, ORGANIZZARE NUOVI LABORATORI PER I GIOVANI

CULTURA – Stavo pensando se oggi non fosse il caso di organizzare un laboratorio teatrale nuovo e serio, come quello che avevo un tempo”. Lo afferma l’attore Gigi Proietti, a termine della presentazione del nuovo spettacolo teatrale “Pippi Calzelunghe”, al Teatro Argentina di Roma. Sento – racconta l’attore – che e’ necessario organizzare anche piu’ di un laboratorio nelle diverse citta’, perche’ tutto quello che c’e’ di possibile aggregazione, mirata pero’ a fatti importanti, e’ da salutare positivamente. Personalmente – spiega – alla mia eta’ mi piace l’idea di ritrovare qualche giovane di oggi e per me significherebbe anche un po’ fare uno studio dall’interno sul tipo di societa’, raffrontandola e rapportandola a quella che era. Le scuole – aggiunge – sono osservatori notevoli e i giovani nei laboratori devono necessariamente raffrontarsi con la societa’ in cui vivono. Questo – conclude – e’ importante non solo didatticamente ma nella formazione vera della societa’.

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CINEMA – FROST/NIXON IL DUELLO FILM ISPIRATO ALL’OMONIMO DRAMMA TEATRALE DI PETER MORGAN.

RECENSIONE – Se pensavate che la famosa ammissione pubblica di colpa (l’unica) fatta da Richard Nixon dopo il Watergate e le dimissioni da Presidente durante la lunga intervista televisiva rilasciata al giornalista inglese David Frost nell’estate del 1977 discendesse da spinte ideali, principi etici o ansia di giustizia, «Frost/Nixon il duello» di Ron Howard provvederà a correggere ogni eventuale ansia idealista. Ispirato all’omonimo dramma teatrale di Peter Morgan (che ha anche sceneggiato il film), il lavoro di Howard è in questo senso spietato nell’affermare a chiare lettere che tutto, proprio tutto, è stato fatto per l’audience. Diversamente da Oliver Stone, che con «W.» ha rischiato molto soprattutto per la freschezza dell’argomento, Howard non rischia niente e, essendo passati trent’anni dagli avvenimenti, ha la possibilità di riflettere pacatamente e di esaminare il tutto con il necessario distacco, favorito anche dal fatto che gli eventi narrati sono ormai alla luce del sole e non prevedono rivelazioni sconvolgenti. Mantenendo intatta l’impostazione teatrale, quindi puntando tutto più sulla tensione dialettica che sulla necessità di una messa in scena complessa, Howard (che di solito è bravo in funzione della qualità della sceneggiatura che si trova a filmare) aveva una sola possibilità di fallire, affidandosi cioè agli attori sbagliati.

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CINEMA – IL FILM DI OLIVER STONE «W.»,: QUANDO LA CENSURA E’ ANCORA PRESENTE

RECENSIONE – Lo strano destino del film di Oliver Stone «W.», dedicato alla resistibile carriera del Presidente George W. Bush, dà un’idea abbastanza precisa di quanto il concetto di censura, da tutti condannato e aborrito, sia in realtà ancora vigente e operante. Il distributore Dall’Angelo, che ne ha acquisito i diritti per la distribuzione italiana, a seguito dei rifiuti (diciamo disinteresse) sia della Rai che di Mediaset, si è visto costretto a un’occasionale distribuzione in digitale (cioè un DVD) e a un passaggio televisivo su LA7.

Se «W.» si è visto in sala a Firenze, ad esempio, è stato soltanto grazie ai buoni uffici di Stefano Stefani e, in seconda battuta, dell’Istituto Stensen, che hanno dato, indipendentemente dalla qualità dell’opera, una bella lezione di democrazia a tanta gente. Sì, perché da tutto questo inutile ostruzionismo si poteva anche trarre l’impressione che, più di Michael Moore, spettasse a Oliver Stone il titolo onorario di Lupo Cattivo, anche in virtù delle sue precedenti incursioni nel ramo presidenziale con «JFK» (Kennedy) e «Gli inganni del potere» (Nixon). Tutto ciò rischiava di creare un alone mitico intorno a un film che, alla prova dei fatti, finisce per non fare paura a nessuno. Anzi, democrazia a parte, pensiamo francamente che l’operazione di Stone sia carente in tempistica e risultanze. Una riflessione su George W. Bush, sul quale ormai è stato detto tutto e il contrario di tutto, avrebbe avuto un senso forse tra qualche anno, quando le conseguenze della sua politica interna ed estera avessero portato a qualche esito incontestabile. Oppure anche oggi, ma con qualche bel jolly da giocare o con una modalità più surreale che realistica. Invece «W.» è una sorta di reportage interiore che, partendo dal 1966 quando il Presidente era al college, attraversa alcuni momenti topici della sua esistenza privilegiando quelli privati (il rapporto con Bush padre, l’incontro con la moglie Laura, l’alcolismo) a quelli pubblici (le conferenze stampa, le decisioni in campo internazionale, un 11 settembre del quale si accenna appena), per disegnare il ritratto di un uomo che, a parte la discendenza familiare e una sorta di incrollabile fede, proprio non aveva le carte in regola per guidare il paese più potente del mondo. Alla fine di tutto questo, comunque, sorge spontanea la domanda: «Tutto qui?». «W.» è un film estenuante fatto interamente di dialoghi. Ma, diversamente dalle previsioni, è anche un film che rischia di prendere in contropiede quanti si attendessero un attacco frontale alla maniera di «Fahrenheit 9/11».

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