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GIOVANI E LAVORO, RAGAZZI DISORIENTATI NEGLI ATENEI E PRECARI UN ANNO DOPO LA MATURITÀ

GIOVANI (Italia) – C’è soprattutto l’università e un po’ di lavoro nei giorni dei giovani che hanno superato da un anno la maturità. Ci sono le lezioni, il caos delle aule e le nuove amicizie. Ma anche gli ordini del capo, le mansioni quotidiane e la paga a fine mese. I primi passi negli atenei e nelle imprese produttive. Eppure un sesto di loro sono fuori da tutto questo. Qualcuno, così presto, sta facendo i conti con il muro altissimo della disoccupazione e altri non hanno non neppure quello. Né un po’ di studio, né un impiego. Né la voglia di cercarlo più. E’ molto complessa e articolata la realtà dei giovani che escono in questi anni dalle superiori. Il consorzio interuniversitario AlmaLaurea ne restituisce un articolato profilo nel Rapporto sulla condizione occupazionale e formativa dei diplomati che verrà presentato all’università di Sassari giovedì 26 maggio. Nell’indagine, realizzata insieme all’organizzazione AlmaDiploma, vengono esplorati con attenzione i percorsi di un campione di giovani, circa 20.000, che si sono diplomati nel 2009 e nel 2007. 

Nella gran mole di dati si registra un leggero calo, rispetto agli anni scorsi, della proporzione di chi sceglie l’università. A un anno dal diploma, sei su dieci si sono iscritti a un ateneo. Ma non tutti seguono, o possono seguire, i corsi alla stessa maniera. Tre quarti di loro sono così studenti a tempo pieno mentre gli altri cercano di tenere insieme studio e lavoro. Poi c’è chi lavora e basta. Chi con lo studio, almeno per ora, ha chiuso. Sono in tutto il 23,6 per cento. E poi, ci sono i ragazzi più in difficoltà. L’undici per cento della generazione uscita dalla maturità nel 2009 cerca un impiego ma non lo trova. Sono loro a fare i prematuri conti con il permanere anche in Italia del mostro della disoccupazione. A loro si aggiunge un altro cinque per cento che ha smesso di studiare e un lavoro neppure lo cerca più.

Le traiettorie dei giovani sono molto diverse a seconda delle superiori che hanno frequentato. Il settanta per cento di quelli che sono stati al liceo, a un anno dal diploma, si impegnano solo negli studi universitari. Un altro 22 per cento è uno studente-lavoratore. Molto diverse le proporzioni negli altri casi. Va all’università il 51,6 per cento dei diplomati degli istituti tecnici e il 21,4 per cento degli istituti professionali. Così come sono diverse le proporzioni di quelli che a un anno dal diploma hanno già un impiego: il 53 per cento dei giovani usciti dagli istituti professionali, il 28 per cento dai tecnici e solo il 4 per cento dei liceali. Allo stesso tempo, i ragazzi degli istituti professionali sono quelli che più di altri stanno soffrendo la disoccupazione o lo “scoraggiamento”: il 25,6 per cento di loro sono in questa condizione. Tanti sono anche i ragazzi dei tecnici senza un impiego o che non lo cercano (il 19,7 per cento). “Il successo formativo del sistema scolastico secondario superiore – dice Andrea Cammelli – non si misura solo dall’esito finale dell’Esame di Stato, ma anche e soprattutto sulla capacità di inserimenti professionali o formativi di alto livello qualificati, dove sia certificato e valorizzato il sapere come il saper fare. Capire quali scelte, al di là delle intenzioni e dei desideri, i diplomati hanno compiuto per davvero, quali strade hanno seguito o abbandonato a uno e tre anni dal conseguimento del titolo, è una sfida importante perché incide sul miglioramento del sistema scolastico, sulle politiche all’istruzione, e sull’orientamento”.

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ELOGIO DEL GIUDIZIO: UN ANTIDOTO AL NICHILISMO

RIFLESSIONE – La qualità del disagio giovanile che colpisce molti ragazzi di oggi è stata analizzata da numerosissimi studiosi. Il dato incontrovertibile, di natura culturale ma soprattutto esistenziale, che da queste ricerche campeggia con chiarezza, è il seguente: è entrato in casa quello che Nietzsche chiama “l’ospite più inquietante”, ovvero il nichilismo.

Il nichilismo consiste nella negazione di qualsiasi valore, nella perdita di qualsiasi punto di riferimento: ogni cosa si avvolge su se stessa in un’assenza assoluta di orizzonte e di orientamento. Il futuro, più che un’opportunità, rappresenta una minaccia, ragion per cui ci si raccoglie nel presente cercando di vivere tutto ai limiti dell’esuberanza e della decenza. Dovrebbe risultare quantomeno paradossale che nell’era della comunicazione, di Internet e di Facebook, i giovani siano così soli: la solitudine è una delle più chiare espressioni del nichilismo all’interno dei rapporti relazionali che si costruiscono. La confusione lievita fino a soffocare. Il ricorso alla droga pare la soluzione più semplice ed efficace al problema e, intanto, la depressione incalza. Sono sempre più numerosi, troppi, i casi di ragazzi che crollano o addirittura si tolgono la vita. Ma qual è la causa originaria di tale problema? Quale può essere la soluzione? All’origine del disagio vi è un problema di “esperienza”. Una risposta reale alla questione consiste nel recuperare e comprendere il vero significato della parola “esperienza”. Sicuramente, oggi più che in passato, i giovani sono sollecitati da molteplici stimoli esperienziali fin dalla prima adolescenza; e tuttavia quanti di questi impulsi si trasformano in vere e proprie esperienze? La confusione che domina è l’immediata conseguenza di una concezione sempre più errata dell’esperienza: tante volte quest’ultima è ridotta all’impatto che le cose provocano, al riverbero sentimentale che le cose suscitano, dimenticando, puntualmente, di giudicare tutte queste provocazioni del reale.

Quello che caratterizza l’esperienza è il “giudizio”. È il giudizio che rende esperienza una cosa che si fa. L’esperienza è la strada dello sviluppo della persona umana, è lo strumento che noi abbiamo nelle nostre mani per il nostro sviluppo, per la nostra crescita; perciò, se noi lo riduciamo o lo usiamo male, tutto quello che ci capita nella vita è inutile, è sterile, non serve: si può diventare vecchi e vuoti, pur avendo vissuto tante cose, perché non si è fatta veramente esperienza. Tante volte per noi l’esperienza è ridotta semplicemente alle impressioni che le cose suscitano che, per quanto reali, sono solo impressioni: l’esperienza, perciò, è cieca e meccanica. Quello che noi chiamiamo esperienza non è altro che mera emozione, mera sensazione, senza intelligenza, senza giudizio. Senza capacità di valutazione l’uomo non può fare esperienza: l’esperienza include, certo, il “provare” qualcosa, ma, soprattutto, coincide col giudizio dato su quel che si prova. Questa incomprensione della parola “esperienza” è resa evidente dal modo in cui siamo soliti opporla al “giudizio” (conoscenza): dove c’è l’una, non c’è l’altro. È il segno più chiaro che si è confusi sull’uno e sull’altro termine. Sovente l’esperienza è ridotta a questa sorta di impatto, di “shock meccanico”, mentre il giudizio ci appare come qualcosa di intellettuale, di appiccicato, una forzatura che si impone al reale e che rovina l’incantesimo di quello che si vive, come se lo “spoetizzasse”. Quando le cose sono state interessanti, belle, persuasive, che bisogno c’è di giudicarle? Ce la siamo goduta! Insomma, si vive una cosa bella e si deve pure giudicarla? In altri termini, sembra di compiere un’operazione artificiosa e faticosa.

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UN FILO DI UNIONE CON PAOLO VI NELL’ATTESO VIAGGIO DI BENEDETTO XVI A BRESCIA

notiziaBRESCIA – Il comitato organizzatore della visita del Papa a Brescia, domenica 8 novembre, per voce del segretario don Claudio Zanardini, insiste sulla “festa di popolo” che Brescia prepara in Piazza Paolo VI, per la Messa e l’Angelus domenicale, ma anche lungo il percorso fra l’aerobase militare di Ghedi, dove Papa Ratzinger atterrerà alle 9.30, e Botticino passando per Castenedolo, Virle, Rezzato; poi da Botticino a Brescia attraverso Sant’Eufemia. Festa di popolo anche in centro dove saranno collocati maxischermi in largo Formentone e piazza Loggia (qui sarà impartita anche l’eucarestia), ma pure in corso Zanardelli e piazzetta San Luca. Gli organizzatori hanno sciolto ieri uno dei dubbi residui: il Papa si fermerà alla stele che ricorda i caduti della strage, come fece Giovanni Paolo II nel 1982? La risposta è no: “La Papamobile rallenterà, il vescovo spiegherà il significato della stele”. Nulla di più. “Non è mancanza di rispetto, è un problema di tempi”, viene spiegato. Nel pomeriggio poi ci sarà la trasferta a Concesio. “Nel complesso sarà il tragitto più lungo mai compiuto dal Pontefice in Papamobile” dicono gli organizzatori. Le occasioni ed i punti per vedere il Papa, insomma, non mancheranno. Almeno 40mila fedeli sono attesi lungo il percorso dove si collocheranno 2.700 volontari di Ana, Protezione civile, Agesci riconoscibile per l’inconfondibile pettorina azzurra. Difficile trovare ancora i pass per un posto in Piazza Paolo VI, davanti al palco in legno disegnato da Fausto Baresi su cui il Papa celebrerà la Messa. Richieste arrivano da altre diocesi, dalla Germania. Neppure il Comitato organizzatore ha più margini: tutti i pass per i 12mila posti in piazza sono stati distribuiti alle 473 parrocchie, e poi pro-quota a movimenti e istituzioni. Per un posto in piazza non resta che chiedere a loro.

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SBARRATA LA STRADA AL REATO DI OMOFOBIA. UN INTERVENTO DEL PROF. ROBERTO DE MATTEI

RIFLESSIONE – Il tentativo di introdurre il reato di omofobia nel nostro ordinamento è per il momento fallito, grazie alla mobilitazione, principalmente su Internet, delle associazioni cattoliche e all’impegno profuso da alcuni parlamentari del Pdl e dell’Udc. Vale la pena ricostruire la vicenda nei suoi passaggi essenziali. Alla fine del 1999, su proposta dell’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema, venne per la prima volta proposta l’introduzione nel nostro Paese del reato di omofobia. Il Governo D’Alema cadde e ci si avviò verso le elezioni anticipate che portarono al primo Governo Berlusconi.

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GIOVANI E MONDO DEL LAVORO: LA “GENERAZIONE Y”. UNA RADIOGRAFIA DEL ‘SOLE 24 ORE’

GIOVANI & LAVORO – Ottimisti, ma anche sfuggenti e un po’ cinici. Sono queste alcune delle caratteristiche distintive dei giovani italiani nati negli anni Ottanta secondo quanto emerso da una recente ricerca realizzata dall’Area Giovani Fondazione Istud: “Generazione Y. I surfisti nella rete e il mondo del lavoro”. La ricerca si è proposta di esplorare e identificare le peculiarità dei giovani italiani nati tra il 1980 e il 1990 – la cosiddetta “Generazione Y” – con particolare attenzione al tema delle aspettative nei confronti del proprio futuro, ai significati attribuiti al lavoro, alle visioni e attese nei confronti delle organizzazioni e alle esigenze in termini di orientamento e accompagnamento nella transizione dalla formazione al lavoro.

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POLIZIA E YOUTUBE AIUTANO GIOVANI A NAVIGARE SICURI SU WEB CON IL PROGETTO ‘NON PERDERE LA BUSSOLA’

ROMA – Aiutare i giovani a “Non perdere la bussola” durante la navigazione in Internet e ad evitare cosi’ le insidie, a cominciare dagli ‘attentati’ alla privacy, che si celano in Rete: e’ l’obiettivo dell’iniziativa congiunta della Polizia delle comunicazioni e di Youtube, in collaborazione con il ministero dell’Istruzione, dell’Universita’ e della Ricerca, che punta alla sensibilizzazione dei ragazzi tra i 13 e i 18 anni sui temi della sicurezza in Rete e dell’uso responsabile delle community on line. Destinatari dell’iniziativa gli studenti ma anche gli insegnanti delle scuole medie inferiori e superiori su tutto il territorio nazionale. Il progetto educativo intende fornire loro strumenti conoscitivi e didattici per garantire una navigazione in Internet consapevole e sicura. “E’ da anni che la Polizia di Stato opera per far si’ che i rischi della Rete, soprattutto nei confronti dei minori non debbano costituire un limite allo siluppo della comunicazione sul web”, ha spiegato Maurizio Masciopinto, direttore delle relazioni esterne del Dipartimento di pubblica sicurezza.

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OGNI POPOLO DEVE POTER ESPRIMERE LA VERITÀ SALVIFICA CON IL LINGUAGGIO CHE GLI È PROPRIO. UDIENZA.

luCITTA’ DEL VATICANO – “Ogni popolo deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne la verita’ salvifica con il linguaggio che gli e’ proprio”: questo si intende con il termine inculturazione, di cui i Santi Cirillo e Metodio rappresentano un “esempio classico”. Lo ha detto il Papa, che nel corso dell’Udienza Generale del Mercoledi’, ha parlato dei due Santi, noti come “apostoli degli salvi”, vissuti nel nono secolo. Essi hanno evangelizzato quelle terre e hanno tradotto i testi sacri nella lingua slava, fino a inventare un nuovo alfabeto, “aderente alla lingua parlata”, poi chiamato cirillico, dal nome del suo inventore, San Cirillo. Tale inculturazione – ha continuato Benedetto XVI – “suppone un lavoro traduzione molto impegnativo, perche’ richiede l’individuazione di termini adeguati a riproporre senza tradirla la ricchezza della parola rivelata. Di cio’ – ha sottolineato – i due Santi fratelli hanno lasciato una testimonianza quanto mai significativa alla quale la Chiesa guarda anche oggi per trarne ispirazione e orientamento”.

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