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LAMPEDUSA, ORRORE SUL BARCONE A BORDO 25 CADAVERI DI MIGRANTI

DALL’ITALIA (Lampedusa) – Su Lampedusa ricominciano gli sbarchi e nei «viaggi della speranza» si contano ancora i morti. Mentre l’Italia deve fare i conti con la rivolta a Bari degli immigrati del Cara che protestano per i ritardi nel riconoscimento dello status di rifugiati.

Un’altra tragedia del mare si è consumata nella notte, al largo di Lampedusa. Venticinque cadaveri sono stati trovati nella stiva di un barcone soccorso dalla Guardia Costiera. La causa del decesso potrebbe essere stata per afissia dovuta ai gas emessi dal motore. I corpi sono stati individuati dopo che erano stati trasbordati su due motovedette i 271 stranieri che viaggiavano sul ponte dell’imbarcazione. Tra di loro, 36 donne e 21 bambini.

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UNITÀ D’ITALIA, VIAN A ‘LA CIVILTÀ CATTOLICA’: “L’ITALIA SAREBBE IMPENSABILE SENZA IL PAPATO”

UNITÀ D’ITALIA – ‘La Civiltà Cattolica’, rivista fondata nel 1850 dalla Compagnia di Gesù su espressa volontà di Pio IX, ha organizzato, il 16 aprile, nella sua sede di via di Porta Pinciana, una tavola rotonda su “L’Unità d’Italia e i cattolici”. L’incontro si è voluto inserire nel dibattito sul ruolo della Chiesa cattolica nel processo risorgimentale. Argomento d’attualità considerato anche il 150° anniversario dell’Italia unita. Presenti alla conferenza in qualità di relatori, la docente di Storia Contemporanea alla Sapienza Emma Fattorini, il professor Francesco Margiotta Broglio ordinario di Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa, Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea alla Sapienza e Gian Maria Vian direttore dell’Osservatore Romano e docente di Filologia Patristica alla Sapienza. Moderatore padre Gian Paolo Salvini direttore de La Civiltà Cattolica.

Proprio quest’ultimo, nel discorso introduttivo, si sofferma sul fatto che “le celebrazioni del 150° dello Stato laico sono in sordina rispetto ai festeggiamenti del 1911 e del 1961”. Nei primi infatti “s’inaugurò il Vittoriano, nei secondi, invece, venne fondato un intero quartiere a Torino”. Ma forse ora “c’è meno retorica e più attenzione”, conclude padre Salvini, evidenziando come il “cambio di rotta dei cattolici nel processo unitario è stato nascosto dalla storiografia”. Visione cattolica che non fu “contraria all’Unità d’Italia”, sottolinea Fattorini. “Pio IX non era contro l’Italia ma contro un processo rivoluzionario percepito dal Pontefice come una corrente unitaria: che andava dalla Rivoluzione francese fino ai moti del 1848”, aggiunge la docente. E spiega come “l’Unità non comportò una crisi della religiosità” e come “anche le élites non fossero ostili all’attività pastorale della Chiesa almeno fino all’epoca di Francesco Crispi”.

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IMMIGRATI, DOMANI A RADIO VATICANA INCONTRO CARITAS SULLA COLLETTIVITÀ POLACCA A ROMA

SOCIETÀ (Roma) – Domani alle 17, presso la sala conferenze di Radio Vaticana, si terrà il primo di una serie di incontri dedicati alle collettività di immigrati a Roma, con l’introduzione di padre Federico Lombardi. L’iniziativa, promossa dalle organizzazioni cui fa capo l’Osservatorio Romano sulle Migrazioni (Caritas diocesana, Camera di Commercio e Provincia di Roma), si propone di presentare questi gruppi nazionali che ormai costituiscono parte strutturale del tessuto sociale della Capitale e dell’intera area romano-laziale. Gli incontri sono imperniati sul più ampio coinvolgimento non solo delle realtà istituzionali, sociali e religiose (a partire dai cappellani degli immigrati, coordinati dalla Fondazione Migrantes), ma anche delle strutture collegate a queste stesse collettività, dalle ambasciate alle associazioni, dagli imprenditori ai mediatori culturali, ai giornalisti e così via.

L’incontro di apertura è dedicato alla Polonia, di cui, nella ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, va ricordata la partecipazione a diverse iniziative del Risorgimento e, durante le tragiche vicende della seconda guerra mondiale, l’apporto che il II Corpo d’Armata polacco diede per sfondare la “linea Gustav” e, quindi, la “linea Gotica” per liberare Bologna, a costo di 4.000 morti e 9.000 feriti. Questi soldati erano poco più di 100.000, all’incirca tanti quanti sono adesso gli immigrati polacchi, dei quali un quinto è concentrato nell’area romana. Pur rappresentando l’ottava collettività per consistenza numerica e pur essendo l’Italia molto amata dai polacchi, come attestano diverse indagini, il nostro paese non sta in cima alle preferenze dei migranti di Varsavia e dintorni che, avendo fruito di un’ottima formazione, si indirizzano altrove (ad esempio in Gran Bretagna) per trovare più significativi sbocchi professionali. La collettività polacca, nella quale le donne incidono per il 70%, è uno dei casi più significativi del cosiddetto “spreco dei cervelli” e, ciò nonostante, si tende ancora a inquadrarle sempre come collaboratrici domestiche.

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LIBIA: LE VERE RAGIONI DI UNA GUERRA SBAGLIATA

ESTERI (Libia) – Oltre alla sofferenza di un popolo sotto la minaccia di mitra, raid aerei, bombardamenti, in queste ore colpisce l’ipocrisia dei governi occidentali, coperta da un diritto internazionale che appare ormai ambiguo. L’operazione militare in Libia è la logica espressione di una politica neocoloniale che ormai domina le dinamiche internazionali dell’Occidente. Il pretesto è sempre l’intervento umanitario o la difesa della pace messa a repentaglio. Si cominciò con la Serbia negli anni 90. Con la giustificazione di interventi umanitari Belgrado e la Serbia furono bombardati in modo indiscriminato portando alla caduta di Milosevic. Arrestato e processato per crimini contro l’umanità all’Aja mise in scacco la pm Carla del Ponte dimostrando, alla luce proprio dei principi internazionali, che le ragioni addotte per l’intervento contro il suo governo non avevano basi giuridiche. A questo punto, morì misteriosamente in carcere. Quello di Milosevic non era certo un governo esemplare per rispetto dei diritti del suo popolo, ma era stato eletto democraticamente e non era certo peggiore di altri regimi (come ad esempio quello cinese) verso cui Paesi come la Francia, si sono inchinati. Si passò poi a Saddam Hussein e alle due guerre dei Bush: la prima per l’invasione del Kuwait, la seconda per il presunto possesso di armi atomiche. Si dimostrò poi che Saddam non possedeva alcuna arma di distruzione di massa. Solo Giovanni Paolo II e pochi altri, di fatto, erano contrari alla guerra.

Molti intellettuali nostrani inneggiavano all’interventismo protestante di Condoleeza Rice che avrebbe finalmente messo a posto il Medio Oriente, contro l’invito alla pace di Giovanni Paolo II. L’esito degli interventi militari, in entrambi i casi, è sotto gli occhi di tutti: nella ex Jugoslavia non ha portato alcuna stabilità e, anzi, la situazione potrebbe riesplodere da un momento all’altro, a causa della creazione di Stati senza tradizione all’indipendenza, mentre i cristiani vengono espulsi dalla nuova Bosnia a prevalenza musulmana; in Medioriente, il rilancio di un terrorismo senza tregua in Iraq, le stragi di civili, la persecuzione dei cristiani in molti Paesi musulmani, lo spazio involontariamente concesso al regime sanguinario iraniano, l’aiuto indiretto ad Al Qaeda… Non paghi di tutto questo, si ricomincia con Gheddafi: si è invocato un intervento per emergenza umanitaria per poi verificare in questi giorni che Francia e Gran Bretagna, con l’acquiescenza del pensiero debole Obama-Clinton e di altri, stanno conducendo, non un’operazione umanitaria, ma una vera e propria guerra per rovesciare il regime a spese della popolazione libica. Sia ben chiaro, Gheddafi, come Milosevic e Saddam, è un dittatore, ma lo sono anche le leadership di Cina, Iran, Cuba, Venezuela, Corea del Nord o la giunta militare birmana. Dovremmo fare una guerra umanitaria contro ognuno di questi Paesi, vale a dire una guerra mondiale? E chi pensa all’alternativa per evitare ciò che è successo in Iraq dopo la guerra, l’espandersi di Al qaeda e la minaccia dalla guerra civile, o i 130.000 morti sgozzati dai fondamentalisti in Algeria?

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EGITTO, NUOVI SCONTRI FRA MUSULMANI E COPTI: 6 MORTI E 42 FERITI

ESTERI (Il Cairo, EGITTO) – In Egitto cresce la tensione fra copti e musulmani, con violenti scontri nel quartiere di Abhazya, al Cairo. Secondo Rafic Greiche, capo ufficio stampa della Chiesa cattolica egiziana, il bilancio sarebbe di 6 morti e 42 feriti. Le violenze sono nate nel corso di una protesta dei cristiani per la ricostruzione della chiesa copta di San Mina e San Giorgio nel villaggio di Soul, distrutta dai musulmani sabato scorso. Greiche ha dichiarato che, per evitare ulteriori scontri, il governo militare potrebbe velocizzare la ricostruzione della chiesa.

Secondo fonti di AsiaNews, ieri migliaia di copti, appoggiati anche da alcuni musulmani, hanno bloccato due strade che portano verso piazza Tarhir, suscitando l’ira degli automobilisti. Gruppi di radicali islamici sono giunti sul luogo e hanno iniziato a scontrarsi con i manifestanti, costringendo l’esercito ad intervenire. Molti copti dei quartieri più poveri, che in passato hanno subito violenze da parte dei musulmani, hanno contribuito a far degenerare la manifestazione. “Nel quartiere – spiegano le fonti – c’è ancora molta tensione, si sentono spari e molte famiglie non hanno mandato i figli a scuola”.

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HAITI AD UN ANNO DAL TERREMOTO: ANCORA LONTANA LA RICOSTRUZIONE

HAITI – Oggi per Haiti è il giorno del ricordo. Ad un anno dal devastante terremoto che il 12 gennaio 2010 causò 250 mila morti e immani distruzioni, il cardinale Robert Sarah celebra una solenne liturgia, nella capitale Port-au- Prince sulla spianata antistante la Cattedrale distrutta dal sisma. Il presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum leggerà un Messaggio del Papa. Ieri il porporato aveva presieduto una Messa nel campo sfollati di Parc Acra. Ad Haiti sono oltre un milione le persone, di cui la metà bambini, che continuano a vivere nelle tende, mentre un’epidemia di colera ha provocato più di 3.600 morti da ottobre. Helene Destombes ha intervistato l’ambasciatore haitiano presso la Santa Sede, Carl-Henri Guiteau:

R. – C’est difficile de faire un bilan…
E’ difficile riuscire a fare un bilancio un anno dopo una catastrofe di tali proporzioni. E’ necessario anzitutto sottolineare la resistenza straordinaria del popolo haitiano, che malgrado sia ancora in mezzo alle macerie e nelle tende dà un senso alla vita. Questo è un popolo che ha sofferto molto nella sua storia ma che ha imparato a sorridere, a vivere. Tuttavia c’è un limite a questa capacità di adattamento. Bisogna anche sottolineare che l’aiuto umanitario è stato essenziale ed è arrivato da tutti i Paesi del mondo, permettendo di ridare speranza tante persone. Ora, a livello della ricostruzione – bisogna dirlo francamente – la situazione è penosa: ci sono state molte promesse, ma non abbiamo visto ancora segni reali di ricostruzione. Abbiamo la sensazione che non sia stato fatto molto in tale direzione.

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PROTESTE E VECCHI MERLETTI, NON E’ UN’ARMA A FARE DI UN UOMO UN RIVOLUZIONARIO

RIFLESSIONE – In questi giorni di proteste, di scontri in piazza, di bombe carta e vecchi merletti, mi sono chiesto cos’è la libertà, se esistono davvero uomini liberi. Osservo i vecchi ribelli, i giovani in cammino, gli slogans, gli ordini impartiti, le grida di gioia, le urla di dolore, i giusti e gli ingiusti, mi chiedo dove sta la libertà di non condividere né accettare deleghe in bianco, dove sta la libertà di dissentire, di sottrarsi dall’effetto di mille politiche confutate o che potranno esserlo in futuro. Libertà di manifestare, libertà di protestare, libertà di non accettare, libertà di parola, e poi ancora libertà di prenderle e di darle, libertà di morire in nome dei più alti ideali, eppure in loro nome sono state commesse le nefandezze più inenarrabili. Questa non è la trama di un film già visto altre volte, come qualcuno si ostina a raccontare, è una punteggiatura nuova di zecca, dell’era digitale, e sebbene nulla del passato potrà mai ritornare, qui non c’è la possibilità di gridare: “ehi regista fammi uscire dalla trama del film, mi sono stancato. voglio ritornarmene a casa”. Con la mente ripercorro uno sceneggiato di tanti anni addietro, dove utopie e romanticismi sociali sconvolsero drammaticamente il paese, finché si perse il conto dei morti e dei feriti. Ma quella fu una degenerazione sociale fisiologica al sistema di allora, che reclamava il giusto cambiamento, eppure pochi uomini condussero alla eliminazione non solo di tante persone, ma addirittura di una intera generazione.

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ISRAELE / INCENDIO SUL MONTE CARMELO: 40 MORTI, CENTINAIA DI INTOSSICATI

ISRAELE – Inferno sul monte Carmelo, nel nord d’Israele, dove un gigantesco rogo divampato fra i boschi ha devastato ieri un’area di 3000 ettari, causando la morte di almeno 40 persone, il ferimento o l’intossicazione di diverse altre, lo sgombero di villaggi e kibbutz e ingenti danni materiali.

Un disastro di portata inedita per Israele, costretto a chiedere l’invio di aerei anti-incendio da Paesi stranieri – Italia, Russia, Cipro, Turchia e altri – per far fronte a una situazione rimasta fuori controllo per l’intera giornata dopo i primi allarmi del mattino e deterioratasi ancora nella notte. La strage si è consumata lungo una delle tortuose strade del Carmelo: suggestivo promontorio arricchito da una lussureggiante riserva naturale, affacciato sulla baia di Haifa e dominato da un santuario cattolico fra i più visitati della Terra Santa. Ne sono rimaste vittime decine di guardie penitenziarie che erano a bordo di un bus ribaltatosi mentre si allontanava dalla zona dopo l’evacuazione dei detenuti del vicino carcere di Damon. Il loro destino è stato orrendo: in trappola fra le lamiere, sono stati investiti dalle fiamme. I morti, malgrado le telefonate disperate e i tentativi di aiuto, sono stati alla fine almeno 40, ma si contano pure alcuni feriti gravi e altri più leggeri fra poliziotti e soccorritori. Alcuni feriti o intossicati si lamentano anche nel kibbutz di Givat Wolfson, evacuato come diversi villaggi (in maggioranza drusi) della zona, hotel e strutture carcerarie. La piccola località di Beit Oren appariva ieri sera spettrale e quasi completamente distrutta, in un panorama di case semi-carbonizzate. Mentre l’allerta si è estesa fino a Haifa (dove l’università è stata sgomberata nel pomeriggio) e danni si registrano anche in varie strutture, fattorie e almeno tre kibbutz di medie dimensioni: in uno figurano fra i residenti sei italo-israeliani, rimasti apparentemente incolumi.

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DON LUIGI MEROLA, IL PRETE ‘ANTI CAMORRA’ LASCIA IL MINISTERO E ATTACCA IL GOVERNO

NAPOLI – Mercoledi 26 maggio, con un mese di anticipo, don Luigi Merola ha lasciato l’incarico di consulente esterno per la legalità, la cittadinanza e la costituzione presso il Ministero della Pubblica Istruzione. Il suo incarico era cominciato nel 2008, quando l’allora Ministro Giuseppe Fioroni, gli affidò la dirigenza dell’ufficio terzo presso il Ministero. Già alla fine dello scorso anno scolastico, il sacerdote anticamorra napoletano, aveva manifestato il suo malumore col nuovo Ministro, nei suoi discorsi spesso ripeteva la frase «in un anno la Ministro Gelmini non mi ha mai ricevuto». “In questi tre anni ho fatto un lavoro di promozione della cultura della legalità visitando più di 950 istituti e ho potuto toccare con mano gli effetti nefasti della politica di questo Governo e dei tagli voluti dai ministri Gelmini e Tremonti.

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ALTRI MORTI (TRA CUI 6 ITALIANI) NELLA GUERRA CHE CI VIENE ‘VENDUTA’ COME MISSIONE DI PACE

GUERRA – Come può una missione di pace continuare a provocare morti? Gravissimo attentato contro il contingente italiano in Afghanistan. Un kamikaze si è fatto esplodere al passaggio di due mezzi dell’Isaf uccidendo 6 militari italiani e almeno dieci civili afghani. Si tratta dell’attentato più grave da quello avvenuto a Nassirya nel 2003. Il Papa, appena informato, ha espresso il proprio profondo dolore per l’accaduto assicurando la sua preghiera per le vittime e la sua vicinanza alle famiglie e a tutte le persone coinvolte. Lo ha detto ai giornalisti padre Federico Lombardi. Il direttore della Sala Stampa vaticana ha auspicato che “tutto questo sangue alla fine possa essere sostituito dalla pace per la quale tante persone sono impegnate e stanno donando la loro vita”. “Quello che ferisce di più – ha sottolineato padre Lombardi – è il fatto che continui questa violenza proprio nei confronti di persone che sono impegnate per la pace”.

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Benedetto XVI sarà tra i terremotati dell’Abruzzo. Prima di lui erano usciti dal Vaticano per circostanze simili solo Pio XII e Giovanni Paolo II. Messaggio alle vittime: “Sono con voi nel dolore”

CITTA’ DEL VATICANO – Papa Benedetto XVI, durante l’Udienza Generale a San Pietro, ha annunciato che ”appena possibile” si rechera’ all’Aquila per portare il suo personale conforto alla popolazione colpita dal terremoto. In Abruzzo lo aspettano la prossima settimana; padre Federico Lombardi, portavoce del Vaticano, ha precisato che la visita avverra’ quanto prima, probabilmente ”non subito dopo Pasqua”, e che in ogni caso e’ necessario l’accordo delle autorita’ italiane e in particolare del responsabile della Protezione Civile, Guido Bertolaso. ”Carissimi – ha detto il Pontefice rivolgendosi alle comunita’ abruzzesi nei saluti al termine della tradizionale catechesi pubblica del Mercoledi’ -,  appena possibile spero di venire a trovarvi. Sappiate che il Papa prega per tutti, implorando la misericordia del Signore per i defunti, e per i familiari e i superstiti il conforto materno di Maria e il sostegno della speranza cristiana”. ”Ancora una volta – ha aggiunto – desidero dire a quelle care popolazioni che il Papa condivide la loro pena e le loro preoccupazioni”. ”La sollecitudine con cui autorita’, forze dell’ordine, volontari e altri operatori stanno soccorrendo questi nostri fratelli – ha proseguito Benedetto XVI -, dimostra quanto sia importante la solidarieta’ per superare insieme prove cosi’ dolorose”. Subito dopo l’Udienza, il Santo Padre ha telefonato all’Arcivescovo dell’Aquila, Monsignor Giuseppe Molinari, esprimendo tutto il suo dolore per l’accaduto e la vicinanza nella preghiera per tutti i fedeli della Diocesi colpiti dal sisma. Il Pontefice ha inoltre confermato personalmente al prelato la sua presenza tra i terremotati. ”La visita del Papa – ha commentato il presule – ci da’ speranza e forza per affrontare una situazione cosi’ difficile e dal futuro cosi’ incerto. Siamo commossi e ringraziamo fin da ora il Santo Padre per la sua visita. La sua presenza sara’ davvero consolante”. In Irpinia, a 48 ore dal terremoto del 1980, gli aiuti non erano ancora arrivati. Arrivarono, prima di essi, il Papa e il Presidente. Era il 26 novembre 1980, terzo giorno dal sisma che aveva ucciso 2.500 persone. Non era mai successo che, di fronte ad una catastrofe nazionale, si muovessero contemporaneamente da Roma il Capo dello Stato e il Pontefice. Giovanni Paolo II pare decidesse in perfetta solitudine quel gesto, piu’ da primate della Chiesa italiana che da guida universale della Chiesa Cattolica. Anche Sandro Pertini aveva deciso da solo, e probabilmente sapeva gia’ cosa avrebbe fatto al suo ritorno a Roma. Per la precisione, il Capo dello Stato era  a Napoli quando il Papa si imbarcava sul DC9 che lo avrebbe accompagnato a Capodichino. Qui sali’ su un elicottero dell’Areonautica militare, per fare tappa a Potenza e Balvano, Sant’Angelo dei Lombardi e infine Avellino. Era la prima volta, dal giorno del bombardamento di San Lorenzo a Roma il 19 luglio del 1943, che un Papa (in quella circostanza era Pio XII) usciva dal Vaticano senza preavviso. Cronaca di una scena da bolgia dantesca. Alle 16.04 l’elicottero atterra nel prato dello stadio Partenio. Mentre sale sull’Alfetta blu della prefettura di Avellino, insieme con il ministro degli esteri Colombo, il Pontefice ha gli occhi arrossati per le scene di dolore cui ha assistito e la constatazione, ancor piu’ dolorosa, della disorganizzazione e dell’improvvisazione dei soccorsi che regna in tutta l’Irpinia. Ad accoglierlo c’e’ anche il vescovo Minerva; a lui, Giovanni Paolo II, passando per piazza Liberta’, dove sono state allestite le cucine da campo dei militari che distribuiscono minestre, chiede commosso quanti siano ancora sotto le macerie. “Dio solo sa”, gli risponde il prelato. Insieme a Colombo, il Papa si reca all’Ospedale civile di Avellino, nel cortile del quale e’ stata drizzata la tendopoli allestita per i feriti. Riesce a stento a scendere dalla macchina prima di essere travolto dalla folla che lo cerca con insistenza: sono in centinaia a volergli stringere la mano, a mostrargli i propri figlioletti. I giornali parlano di un servizio d’ordine inesistente che fa irritare non poco il ministro, che teme si perda il controllo della situazione. In effetti ci vuole un po’ perche’ Wojtyla riesca a liberarsi dalla stretta della gente, e soltanto poi si sapra’ che l’Ospedale in quel momento era pericolante. Giovanni Paolo II entra, e la folla letteralmente lo tiene prigioniero, per alcuni minuti, nel nosocomio che puo’ crollare da un momento all’altro. Gli agenti devono nuovamente fare cordone intorno al Pontefice per consentirgli di uscire. A tutti, Wojtyla dispensa carezze e soprattutto ascolta, cerca il contatto con la gente, distrutta dal dolore. “Il Papa fra le rovine ha pianto coi feriti”, scrive “Repubblica” il giorno dopo. Cosi’ e’ anche quando raggiunge lo stadio Partenio per risalire sull’elicottero: la gente si accalca ai cancelli che i poliziotti non hanno fatto in tempo a richiudere. Uomini, donne e bambini rincorrono l’auto del Pontefice pure quando si e’ gia’ avviata verso la pista. Ma il Santo Padre sente che quelle persone lo chiamano; cosi’, mentre il pilota riaccende i motori, si volta, si avvicina alla rete, le guarda e le benedice. E’ un saluto pronunciato con un fil di voce, un arrivederci: “Vi chiedo coraggio e speranza. Vi sono indispensabili per superare questo momento terribile. Avrei voluto rimanere piu’ a lungo con voi, abbracciare tutti i vostri fratelli colpiti dal terremoto. Vado via con una speranza: quella di rivedervi in un momento migliore”. Ad Avellino, quando l’elicottero si alza in volo, comincia a fare scuro. Alle 19.00, Giovanni Paolo II e’ di nuovo in Vaticano. Lascia i luoghi della tragedia con un cruccio. “Avrei voluto vedere tutto e confortare tutti ma non mi e’ possibile. Ho il cuore pieno di amarezza. Preghiamo insieme per le vittime di questo disastro”, confida al suo segretario.

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VISITA DEL PATRIARCA TWAL A GAZA: “STRAORDINARIA VOGLIA DI VIVERE DELLA POPOLAZIONE”

GERUSALEMME – Una delegazione composta dai leader delle chiese cristiane di Terra Santa, tra cui il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, gli arcivescovi armeno-ortodosso e etiope-ortodosso, e rappresentanti luterani e anglicani, si è recata lo scorso 4 febbraio in visita a Gaza dove è stata accolta dal parroco padre Manuel Musallam e da esponenti musulmani. “Sono rimasto ammirato dalla volontà di vivere della popolazione – ha detto Twal a Telepace Holy land tv –. Nella guerra tutti perdono e le rovine che abbiamo visto ne sono il segno evidente. Il dopoguerra rischia di essere peggio della guerra. Fortunatamente vediamo anche tanta solidarietà, che arriva da tutto il mondo e da tante Chiese”. “La forza di vivere di questa gente è straordinaria – ha aggiunto il patriarca – se strade e accessi in superficie vengono chiusi, ne aprono di altre sotterranee. Vogliono vivere ad ogni costo”. Circa la possibilità che il Papa possa, nella sua prossima visita in Terra Santa, recarsi a Gaza il patriarca è stato chiaro: “se il Pontefice non potrà andare a Gaza, allora sarà la popolazione di Gaza ad andare dal Papa”. Dal canto suo il parroco della Striscia, padre Manuel Musallam, sempre a Telepace Holy Land tv, ha ricordato che “nella sofferenza attuale non ci sono cristiani e musulmani, ma solo la gente palestinese. Soffriamo e resistiamo tutti insieme”.

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NETANYAHU “PREVEDE” ATTENTATO AL SANTO SEPOLCRO. LE FALSITA’ DI UNA PROPAGANDA E DELL’ALTRA

GERUSALEMME – Tutta un’altra guerra, tutta un’altra storia: è quella che vi stiamo raccontando, ormai da un po’ di giorni, attraverso le nostre pagine di Papaboys; una guerra che sui giornali e sulle televisioni nazionali non leggerete e non troverete mai, poichè scomoda, troppo simile e vicina alla realtà. La propaganda di ‘servizio al potere’ dei media ‘servili a questo potere’, queste cose non potrebbero scriverle e dirle: noi ci sentiamo liberi, grazie a Dio! E andiamo avanti. Vediamo di approfondire. “Questi i titoli che mi sporge l’amico Canonico Francesco Peggi, scrive Rossella De Fero su Terra Santa Libera, portale ‘on line’ – nostro prezioso collaborarore e ricercatore: “Bibi (l’abbreviativo-vezzaggiativo di Benjamin): Al Quaeda vuol far saltare in aria il più santo sito cristiano”, “Netanyahu predice che Al Qaeda tenterà di distruggere il Santo Sepolcro”, “L’esuberante sionista Netanyahu minaccia posticci e simulati attacchi ai danni del luogo della sepoltura di Cristo”.

“Caspita!”, diranno gli islamofobi, saltando sulla sedia nell’apprendere la notizia, e Allam sarà già col telefono in mano per dire a Vespa e Mentana che bisogna fare uno speciale sul terrorismo arabo.

Ma potete star certi che si tratta di una bufala, la solita trovata propagandistica israeliana per guadagnare consensi. Mai come ora infatti, dopo la strage di Gaza, che pare non finire, anzi sembra aggravarsi, i progetti di destabilizzazione del Medio Oriente, da parte dell’intelligence sionista, hanno bisogno del supporto di quel che resta di una civiltà cristiana scristianizzata, ma che rappresenta ancora pur sempre la massa dell’opinione pubblica occidentale e il grosso della forza militare appartenente alle varie Nazioni atlantiche, che potrebbero essere impiegati in funzione organica alle strategie militari di Tel Aviv.

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ANGELUS – BENEDETTO XVI SPERA “VIVAMENTE” CHE SI RIPRISTINI LA TREGUA A GAZA E DIFENDE GLI IMMIGRATI

CITTA’ DEL VATICANO – “Spero vivamente” che a Gaza “si sappia approfittare, con saggezza, degli spiragli aperti per ripristinare la tregua e avviarsi verso soluzioni pacifiche e durevoli”. Lo ha detto Benedetto XVI al termine della tradizionale preghiera domenicale dell’Angelus. Il Papa ha quindi rinnovato il suo incoraggiamento “a quanti, da una parte come dall’altra, credono che in Terra Santa ci sia spazio per tutti, affinche’ aiutino la loro gente a rialzarsi dalle macerie e dal terrore e, coraggiosamente, riprendere il filo del dialogo nella giustizia e nella verità”. “E’ questo – ha garantito il Pontefice – l’unico cammino che puo’ effettivamente schiudere un avvenire di pace per i figli di quella cara regione”. Nel suo breve discorso, il successore di Pietro, che continua a seguire “con profonda trepidazione il conflitto”, ha voluto anche ricordare “le centinaia di bambini, anziani, donne, caduti vittime innocenti dell’inaudita violenza, i feriti, quanti piangono i loro cari e coloro che hanno perduto i loro beni”. “Vi invito – ha affermato il Papa rivolgendosi ai fedeli presenti in Piazza – ad accompagnare con la preghiera gli sforzi che numerose persone di buona volonta’ stanno compiendo per fermare la tragedia”. Nel suo breve discorso prima dell’Angelus, il Papa ha invece ricordato di aver scelto quest’anno come tema della Giornata Mondiale dei Migranti e degli Itineranti: “San Paolo migrante, Apostolo delle genti”, perche’ “Saulo nacque in una famiglia di ebrei emigrati a Tarso, importante citta’ della Cilicia, e crebbe con una triplice cultura – ebraica, ellenistica e romana – e con una mentalita’ cosmopolita. Quando si converti’ da persecutore dei cristiani in Apostolo del Vangelo, Paolo divenne ‘ambasciatore’ di Cristo risorto per farlo conoscere a tutti, nella convinzione che in Lui tutti i popoli sono chiamati a formare la grande famiglia dei figli di Dio”. “Questa – ha sottolineato – e’ anche la missione della Chiesa, piu’ che mai in questo nostro tempo di globalizzazione. Come cristiani, non possiamo non avvertire il bisogno di trasmettere il messaggio d’amore di Gesu’ specialmente a quanti non lo conoscono, oppure si trovano in situazioni difficili e dolorose”. “Ognuno di noi, secondo la propria vocazione e la’ dove vive e lavora, e’ chiamato – ha rammentato il Pontefice ai fedeli – a testimoniare il Vangelo, con una cura piu’ grande per quei fratelli e sorelle che da altri Paesi, per diversi motivi, sono venuti a vivere in mezzo a noi, valorizzando cosi’ il fenomeno delle migrazioni come occasione di incontro tra civilta’. Preghiamo ed agiamo – e’ stato il suo invito – perche’ questo avvenga sempre in modo pacifico e costruttivo, nel rispetto e nel dialogo, prevenendo ogni tentazione di conflitto e di sopraffazione”.

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A GAZA SI COMBATTE ANCORA; ARRIVA BAN KI-MOON

 

 

 

 

 

GERUSALEMME – Forti combattimenti sono continuati all’alba fra l’esercito israeliano e i miliziani di Hamas alla periferia di Gaza City. Intanto oggi arriva in Medio Oriente il segretario dell’Onu Ban Ki-moon, nel tentativo di fermare il conflitto che è ormai al suo 19° giorno. Oggi Ban dovrebbe incontrare il presidente egiziano Hosni Mubarak, e quindi il governo israeliano e l’Autorità palestinese. Non incontrerà però Hamas, e ad oggi non si sa se visiterà la stessa Gaza. Nella notte aerei israeliani hanno compiuto più di 60 raid nel sud della Striscia nel tentativo di distruggere i tunnel che dall’Egitto passano in Gaza e vengono usati per il rifornimento di razzi e munizioni. Ieri almeno 70 palestinesi sono stati uccisi, portando il numero dei morti a 975 e quello dei feriti a 4400. Israele da parte sua afferma che i suoi morti sono 13: 10 militari e 3 civili. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha accusato Israele di voler “annientare” la popolazione della Striscia di Gaza.

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L’APPELLO DEL PAPA “PER LA FINE DI TUTTI GLI ATTI DI TERRORISMO” E LA VICINANZA ALLE SUORE RAPITE

CITTA’ DEL VATICANO – In seguito alla serie di attentati terroristici verificatisi a Mumbai, capitale economica dell’India, il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha inviato un telegramma all’Arcivescovo di Bombay, Cardinale Oswald Gracias, a nome del Santo Padre Benedetto XVI. Il Papa è “profondamente preoccupato per l’esplosione di violenza a Mumbai” e nel presentare le condoglianze alle famiglie delle vittime, assicura la sua vicinanza spirituale alle autorità civili, ai cittadini e a tutti coloro che sono stati colpiti. “Sua Santità — si legge nel telegramma, in inglese — lancia un pressante appello per la fine di tutti gli atti di terrorismo, che offendono gravemente la famiglia umana e destabilizzano duramente la pace e la solidarietà necessari per costruire una civiltà degna della nobile vocazione dell’umanità all’amore di Dio e del prossimo”. Benedetto XVI prega per il riposo eterno delle anime delle vittime e implora il conforto di Dio per i feriti e quanti sono nel lutto.

La vicinanza espressa dal Santo Padre attraverso Padre Lombardi alle due suore rapite è importante, per tutti noi. Spero che le due suore, come è accaduto in altri casi simili in altre parti del mondo, possano ascoltare la radio e attraverso di essa aver appreso la sollecitudine del Papa nei loro confronti” ha affermato all’Agenzia Fides Sua Eccellenza, Mons. Paul Alain Lebeaupin, Nunzio Apostolico in Kenya. Il 27 novembre, P. Federico Lombardi, Direttore della Sala Stampa Vaticana, aveva dichiarato: “sono ormai oltre 15 giorni che le due religiose italiane Suor Maria Teresa Olivero e Suor Caterina Giraudo sono state rapite in Kenya, dove sono note per il loro generoso impegno in favore dei più poveri. Il prolungarsi del sequestro è seguito con preoccupazione dal Santo Padre, che è vicino nella preghiera alla sofferenza non solo delle due religiose rapite, ma anche dei familiari e del Movimento Contemplativo Missionario Padre de Foucauld a cui appartengono.

Per leggere tutto il testo visita: http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=2000

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MOSUL, CONTINUA IL MARTIRIO DEI CRISTIANI IRACHENI

MOSUL – Ancora sangue cristiano a Mosul: ieri, martedì 7 ottobre, padre e figlio sono stati ammazzati nel quartiere di Sukkar mentre lavoravano. Amjad Hadi Petros e il figlio sono morti perché “colpevoli di essere cristiani” in una terra dove si registra ormai una “persecuzione sistematica”. In un secondo attacco, registrato in un altro quartiere della città, un gruppo fondamentalista è penetrato in una farmacia e ha ucciso un assistente anch’egli di religione cristiana. Ieri vi avevamo raccontato dell’esecuzione, lunedì 6 ottobre, di Ziad Kamal, 25enne disabile e proprietario di un’attività commerciale in città. Il giovane, affetto da handicap, possedeva un negozio nel quartiere di Karama; egli è stato prelevato da un gruppo armato all’interno del suo negozio e condotto in un luogo poco distante, dove è stato ucciso a colpi di arma da fuoco. E ancora, sabato 4 ottobre, altri due uomini erano stati barbaramente assassinati in due diverse zone di Mosul: Hazim Thomaso Youssif, di 40 anni, era stato freddato di fronte al negozio di abbigliamento di sua proprietà, mentre un giovane di 15 anni, Ivan Nuwya, era stato ucciso a colpi di pistola nel quartiere di Tahrir, davanti alla soglia di casa, di fronte alla locale moschea di Alzhara.

Una fonte anonima di AsiaNews a Mosul denuncia la “persecuzione sistematica” contro la comunità cristiana il cui unico desiderio è quello “di vivere in pace”, mentre da tempo è vittima di “esecuzioni mirate” a causa della “fede”. La fonte ribadisce “il silenzio” sui media locali e nella comunità internazionale “sul martirio” compiuto ai danni dei cristiani di Mosul e in tutto l’Iraq, e parla di una “solidarietà di facciata” mentre nel concreto non vi sono passi tangibili che dimostrino la precisa volontà di migliorare la situazione.

Per leggere tutto il testo visita: http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=1834

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LA CONDANNA DEL SILENZIO: MORTI BIANCHE COSÌ BIANCHE DA ACCECARE PERSINO I CONTUSI NELL’ANIMA

PARLIAMONE – Ogni giorno che passa è scandito dalla notizia di un nuovo morto, quando va bene un ferito raccolto sbrigativamente per non creare ulteriori disagi. E’ un bollettino di guerra in piena regola, neppure sotto guerra di mafia, di camorra, di Sparta e di Troia, c’è stata così terrificante la somma di vite umane andate in frantumi. Un clichè sbalorditivo per la monotonia ripetitiva con cui si sottolineano sempre identiche le cause, riconducibili ai soliti ultimi anelli deboli della catena produttiva, eterno maledetto l’accidente inevitabile. Uno, due, tre morti al giorno, in fabbrica, in cantiere, sulla strada, per ogni posto di lavoro rimasto sguarnito, eccone subito un altro da conquistare, rimesso in gioco per il miglior offerente, quello che arrampica veloce, che produce e tace, senza bisogno di funi salva vita, di perdite di tempo che non possono essere conteggiate, di eccessivi e improbabili ripensamenti. Un morto, uno sull’altro, tutti uguali, senza nome né storia vissuta, ma con la stessa imperturbabile insignificanza, morti sul lavoro che non costituiscono allarme sociale. Sono morti che non hanno più odore, neppure quello dell’inaccettabilità. Il silenzio che avvolge questa ecatombe è inspiegabile, eppure ogni indicatore di cui disponiamo, ogni statistica divenuta dato esponenziale, ogni verifica e indagine segnalano una impennata dei pericoli che investono i lavoratori, al punto da essere diventati potenziali vittime predestinate. Inutile domandarsi ancora e con colpevole ritardo quanto numerosi siano i fattori che concorrono alla prosecuzione di questa strage, soprattutto l’indifferenza per rendere meno infame il diritto di tutela della propria dignità personale, per ogni cittadino lavoratore, che intende essere sempre presente per arrivare a fine mese, tentando di riuscirci in maniera decorosa.  Ogni anno migliaia di morti, accompagnati alla fossa con tutte le risposte ben cucite sulla pelle, eppure questa immane ingiustizia non genera sentimenti di rigetto, di rifiuto, di rivalsa, il popolo bisbiglia, lo Stato sottolinea la tragedia con malcelata impotenza, le istituzioni puntano i piedi attraverso l’esibizione di qualche bel concerto. Le litanie prendono le sembianze delle campagne politiche e mediatiche, ma l’effetto che si ottiene è la condanna al silenzio e all’immobilismo….

Per leggere tutto il testo visita: http://www.papaboys.it/news/read.asp?id=1789

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